PD: l’arte di farsi del male
L’insperato accordo sulla toponomastica è risultato nel merito incomprensibile ai più. Perennemente confusi tra: elenchi, allegati, nomi bilingui, trilingui, nomi salvaguardati perché di competenza statale, nomi aggiunti dopo e quindi sempre stati di fatto monolingui, nomi ‘salvati’ dal CAI ma segreti, nomi di malghe sconosciute ma ’simbolo irrinunciabile di identità italiana’, e chi più ne ha più ne metta.
Il compromesso raggiunto ha però suscitato dinamiche che senz’altro non sono sfuggite ai cittadini elettori. Neanche a dirlo la reazione delle destre è stata immediata ed unanime, definendo sciagurato l’accordo ed additandone alcuni singoli aspetti come sacrileghi, avendo gioco facile vista la complessità della materia. Con ogni probabilità gli strali di Urzì e di Süd-Tiroler Freiheit sono anche riusciti paradossalmente a confortare la massa di elettori ‘moderati’ che, pur non entusiasmandosi, avevano colto nella trattativa le potenzialità di un passo per andare oltre, lasciandosi finalmente alle spalle uno dei tormentoni più stantii tra quelli che ‘bloccano’ da decenni il dibattito sul futuro della convivenza in Alto Adige.
A proposito di trattativa una cosa è indubbia: SVP e PD hanno lavorato duramente ed a lungo per portare a casa il risultato. Ed entrambi i partiti per raggiungere lo scopo hanno messo in campo allo scopo ‘squadre’ composite. Comprendenti battitori liberi super partes come Francesco Palermo, esponenti politici con il compito di digrignare i denti rappresentando l’ala più intransigente (Karl Zeller e Roberto Bizzo) ed altri che invece hanno lavorato per lo più nell’ombra per tentare di garantire che si riuscisse a pervenire al famigerato accordo (Arno Kompatscher, Christian Tommasini, Gianclaudio Bressa).
La SVP in questo modo ha dimostrato ancora una volta non solo di trovarsi a suo agio ma addirittura di avere un suo vero e proprio punto di forza nella capacità di lavorare su più piani. Spesso riuscendo a veicolare contemporaneamente istanze opposte e quindi svolgendo in questo modo anche il compito peculiare in ogni ‘partito di raccolta’. E’ questo è il motivo per cui, una volta raggiunto l’accordo, la SVP si è dimostrata esternamente assolutamente compatta nel difenderlo e rivendicarne a spada tratta la positività. Senza distinguere più di tanto nei ruoli avuti dai vari attori in gioco.
Non si può dire che ciò sia accaduto anche per il PD che, dunque, in questo caso ha perso una (ennesima) grande occasione.
Prima dell’accordo i frequenti attacchi a Bizzo - che si era evidentemente assunto il compito di ‘tirare la corda’ (“pensa solo al suo tornaconto elettorale e al Partito degli Italiani”, si era detto di lui) - avevano gettato nello sconforto una parte di elettori italiani ‘più sensibili alla tematica’. Ma allo stesso tempo i termini e le motivazioni impliciti nello ‘sforzo di mediazione’ messo in atto da Christian Tommasini, Gianclaudio Bressa, Liliana Di Fede e Carlo Costa erano stati bollati da Bizzo stesso come un ‘calare le brache’ di fronte alla SVP.
Ebbene: ciò che poi è avvenuto dopo l’accordo non ha fatto altro che confermare le precedenti percezioni, vanificando in buona parte la soddisfazione per il ‘passo in avanti compiuto’.
Le dichiarazioni rese infatti via social da Bizzo e Tommasini poche ore dopo l’accordo hanno confermato uno scontro in atto ormai senza esclusione di colpi tra i due importanti esponenti del PD. O meglio: tra il vicepresidente della Provincia e il Presidente del Consiglio Provinciale.
E’ evidente che tali atteggiamenti, dal punto di vista del consenso attorno al PD, sono in grado di vanificare in gran parte il risultato raggiunto attraverso il ‘compromesso storico’ sulla toponomastica. Ogni partito solido e ben organizzato non può infatti che avere le idee chiare sul fatto che in certi passaggi le forze comunque debbano confluire perché il risultato positivo a ben vedere avvantaggia tutti.
Il PD dalla sua ha che la lenta agonia della sua segreteria, iniziata dopo le elezioni comunali del maggio 2016, con ogni probabilità si concluderà entro la primavera.
A livello nazionale gli eventi precipitano, il congresso è alle porte ed anche a livello locale il partito sarà dunque costretto a serrare le fila e contarsi. Consentendo forse a forze fresche e non compromesse in litigi infiniti di emergere e prendere in mano un partito che ormai da troppo tempo è sull’orlo di una crisi di nervi.
I Democratici dunque forse avranno la possibilità di arrivare alle prossime elezioni provinciali con le idee più chiare. Sempre che i risultati delle elezioni nazionali del 2017 non ribaltino radicalmente i termini della questione, naturalmente.