Politik | Intervista

“La rendita non durerà in eterno”

Il mito della casa di proprietà alimenta la speculazione del mercato finanziario. Esiste via d’uscita alla mercificazione dell’abitare? L’intervista a Sarah Gainsforth.
Sarah Gainsforth
Foto: Sarah Gainsforth

Dal problema dell'affitto vissuto in prima persona all’osservazione e analisi degli effetti della turistificazione a Roma. La giornalista e autrice Sarah Gainsforth ha pubblicato nel corso degli anni una ricca produzione incentrata sul diritto all’abitare. Nell’ultimo libro “Abitare stanca”, che verrà presentato domani (26 agosto) a Bolzano, la casa si fa racconto politico: da condizione per abitare il mondo a merce destinata alla rendita di pochi, mentre i costi sociali sono destinati a finire sul conto non richiesto delle prossime generazioni. Esiste una via d'uscita alla messa a reddito della più antica esigenza della storia dell'umanità?

salto.bz: Gainsforth, dalla casa come spazio fisico fondamentale alla casa come merce. Come siamo passati dal paradigma della proprietà a quello della rendita?

Sarah Gainsforth: Il ruolo del culto della proprietà è fortissimo. Ma il cuore del problema risiede nella trasformazione della casa, intesa nella sua funzione sociale, a vero e proprio asset finanziario. Una metamorfosi incentivata dalle politiche pubbliche che hanno favorito la proprietà di massa. L’obiettivo era quello di aprire il settore abitativo al mercato finanziario, alimentandolo con prestiti, debiti e interessi. Per quanto emblematico, il settore abitativo non va letto in una chiave isolata bensì compreso all’interno di tutto quel processo di ristrutturazione dell’economia in generale, che passa dall’essere fondata sul lavoro, specie quello generato dal settore manifatturiero, all’essere fondata sul terziario, sul consumo e, appunto, sull’immobiliare. Noi oggi ci troviamo in mezzo a questa fase di rottura dove, rispetto a cinquant’anni fa, le situazioni si sono invertite: lo sciopero del ‘69 a Torino è iniziato quando la Fiat ha annunciato la volontà di assumere 15.000 operai, facendo scoppiare le proteste proprio perché non c’erano le case. 

Se il settore abitativo non si è mai aggiornato rispetto alla trasformazione dell’economia è semplicemente perché la rendita immobiliare ha sostituito il salario da lavoro

Mentre oggi?

Oggi la situazione si è invertita: le case ci sono, milioni sono quelle vuote, ma manca il lavoro. Se il settore abitativo non si è mai aggiornato rispetto alla trasformazione dell’economia è semplicemente perché la rendita immobiliare ha sostituito il salario da lavoro, la famosa “proprietà salvagente”. Ma questo non può durare in eterno perché in assenza di reddito nemmeno la proprietà può garantirti di non cadere in povertà: se possiedi una casa, ma non un lavoro, prima o poi quella casa verrà venduta. In questo modo le proprietà sono concentrate in sempre meno mani. Si sente sempre più spesso parlare del problema degli alloggi universitari, dell’impossibilità degli studenti di accedere a soluzioni a prezzi accessibili. Questo perché non esiste più mercato dell’affitto, se non veicolato totalmente dai privati. Nonostante questo, si continua a proporre la proprietà privata come soluzione. Gli scorsi mesi Draghi ha annunciato la misura di sostegno dei mutui agevolati rivolta agli under 35, ma è un’operazione che non sta in piedi: con questo mondo del lavoro, pochi hanno i requisiti per accedere a un mutuo. Un recente report della Banca d’Italia rivelava che dopo la crisi del 2008 le banche sono diventate più responsabili nell’elargire prestiti, concedendoli solo a chi si dimostrava in grado di fornire garanzie solide, di fatto la fascia più ricca della popolazione, alimentando ulteriormente le disuguaglianze.

 

In "Abitare stanca”, viene smontata mattoncino dopo mattoncino una retorica apparentemente indissolubile, ovvero che la proprietà non è davvero qualcosa di naturalmente desiderabile, ma una cultura indotta negli ultimi decenni. Per quale motivo?

Va innanzitutto ribadito, e questo è evidente nel caso inglese con Margaret Thatcher, che la proprietà privata in un contesto di ristrutturazione dell’economia si è rivelata uno strumento chiave per rompere le lotte di classe che si erano susseguite alla fine degli anni ‘70. Questa premessa è fondamentale per smontare il falso mito dell’Italia come paesi di proprietari, quando il sorpasso è avvenuto solamente all'inizio degli anni ‘80 e solamente perchè è stata incentivata dai governi di allora.  La cultura della proprietà è stata inculcata, rendendo a sua volta sempre più difficile vivere in affitto. D’altronde se hai un buon lavoro e paghi poco di affitto, che motivo avresti per indebitarti con un mutuo?

Le politiche abitative, così come il welfare, sono ancora strettamente relegate a un target familiare, non evolvendo di pari passo con i mutamenti del tessuto sociale. Quali sono le ripercussioni?

Le politiche di oggi sono totalmente inadeguate proprio perché l’offerta è ancora tarata sul modello di famiglia tradizionale, quando invece la maggior parte di chi si trova in difficoltà abitativa e a necessitare di alloggi popolari non corrisponde a questo modello, trattandosi perlopiù di persone sole quali single, divorziati e anziani. Il mercato prova a intercettare questa domanda inevasa, inventandosi soluzioni inefficienti come il co-housing, una formula, così come sta venendo implementata, che rimane funzionale al mantenimento del mercato stesso. La retorica della condivisione che l’accompagna è una mistificazione della realtà: la verità è che siamo costretti a coabitare perché il salario medio italiano non può permettersi di sostenere un affitto intero.

Come lo descriverebbe Marx, è l’esercito di poveri che deve vendersi a salari bassissimi

Nel libro viene analizzata, da un punto di vista storico, la stigmatizzazione della povertà: dal sistema feudale che puniva chi - attraverso per esempio l’elemosina - si sottraeva al sistema della servitù, all’Italia dei “bamboccioni” dell’ex ministro Brunetta, passando per il Reddito di cittadinanza “colpevole”, secondo le categorie economiche, di sottrarre manodopera a un lavoro sempre più precario e ricattabile. Le politiche implementate negli ultimi anni hanno reso la casa un affinato strumento di ricatto: dal permesso di soggiorno vincolato alla residenza, alla stretta repressiva sulle occupazioni abitative volute da Salvini, sulla scia del decreto Renzi-Lupi, che vieta la residenza e l’allaccio delle utenze a chi si ritrova ad occupare immobili e alloggi. Come si è arrivati a trattare la questione abitativa come un problema di ordine pubblico?

In “Abitare stanca” ho provato a ripercorrere i passi di alcuni slittamenti semantici, per cui il povero assume sempre più i tratti del criminale. Questo tipo di identificazione in realtà trae origine sempre dal modello di accumulazione della terra. Per esempio, la parola idle che ricorre negli scritti di John Locke, significa "terra vuota", cioè non produttiva perché non coltivata. Thomas Moore la utilizza per indicare gli spossessati, i senza-terra, dunque i poveri e i vagabondi: idle non è più un terreno non occupato bensì una persona disoccupata. È interessante notare come certe narrazioni siano in grado di sopravvivere nei secoli. Pensiamo alla colpevolizzazione di chi voleva sottrarsi dal lavoro nelle fasi più acute della pandemia: già molto tempo prima, in concomitanza alla diffusione delle epidemie di peste, era stata cristallizzata la distinzione tra “pigri” e “inabili al lavoro”. È evidente che qualsiasi forma di welfare e tutela sociale ostacoli i principi del mercato del lavoro salariato. Come lo descriverebbe Marx, è l’esercito di poveri che deve vendersi a salari bassissimi.

In un'epoca di dominio incontrastato dell'ideologia della proprietà privata, ecco che invece un intervento normato è riuscito a contrastarne l'egemonia

Cosa succede quando il ruolo pubblico nella pianificazione del territorio viene meno sgomberando il campo all’iniziativa privata?

L'assenza di protezioni sociali dal mercato, come scriveva Polanyi, porta alla morte. Ed è quello che effettivamente è successo. Nelle prime fabbriche le condizioni erano talmente malsane da far scoppiare numerose epidemie, dal tifo al colera. Una situazione di vita o di morte che ha fatto scattare le prime norme statali mirate a risolvere la situazione sanitaria. In un'epoca di dominio incontrastato dell'ideologia della proprietà privata, ecco che invece un intervento normato è riuscito a contrastarne l'egemonia. Pian piano lo stato comincia a intervenire sempre di più, soprattutto nell’immediato dopoguerra, ricevendo anche legittimazione e consenso fino a subire un’altra battuta d’arresto. Siamo tornati in un clima culturale che ha come perno gli interessi individuali privati, mentre l'interesse collettivo generale è pressoché scomparso, nonostante gli effetti nefasti sulla società. C’è stato un brevissimo momento, subito dopo lo scoppio della pandemia in cui è apparso evidente quanto questo modello sia insostenibile: erano sotto gli occhi di tutti i risultati di anni di privatizzazioni e tagli alla sanità pubblica. È stata una parentesi breve che si è richiusa definitivamente con il PNRR, uno strumento che restaura il modello economico passato basato sulla rendita di posizione e privilegio.

Esistono delle vie d’uscita alla casa mercificata che possono venire individuate e implementate?

Ci sono delle proposte interessanti che provengono dal mondo dei movimenti e dell'attivismo in generale. C'è sicuramente bisogno di protagonismo e questo si vede anche rispetto alla questione ambientale. C'è bisogno anche di rinnovare questa classe dirigente, di creare un contatto con tutte le realtà, sia accademiche sia che vivono a contatto costante con i territori. Va cambiata la rappresentazione dell'Italia, la percezione dei problemi del nostro paese, vanno attivate delle politiche che siano comuni, che abbiano la reale conoscenza dei problemi. Io non vedo fondamentalmente altra strada se non quella del rafforzamento del pubblico, svuotato in questi anni di poteri, fondi e competenze.
 

La questione della casa è il problema fondamentale. Se non riusciamo a garantire un tetto a tutti si perde il senso di comunità. Il problema è mondiale! Ma dobbiamo agire. E dobbiamo fare in modo che non esista alcuna possibilità di speculare sulla casa. Al netto della casa di residenza qualsiasi altro investimento dev'essere pesantemente tassato. Deve risultare una perdita. E bisogna costruire edifici per edilizia agevolata.

Do., 25.08.2022 - 08:54 Permalink