Gesellschaft | Desideri Post-Covid

“Non abbiate paura di inventarvi”

Elena Caricasole, designer, anima di Poivorrei, il progetto virale su instagram. Dalla Libera Università di Bolzano allo studio in proprio, l’ottimismo come ispirazione.
Hinweis: Dies ist ein Partner-Artikel und spiegelt nicht notwendigerweise die Meinung der SALTO-Redaktion wider.
Elena Caricasole - Poivorrei
Foto: Elena Caricasole

“Approfittiamo di questo tempo di rottura e di transizione. Ci sono tante potenzialità positive. Ai ragazzi che vogliono approcciarsi alle professioni creative, dico: non bisogna avere paura di reinventarsi, o di inventarsi direttamente”. Un invito a credere in se stessi, e a non lasciarsi scoraggiare. È quello che giunge da Elena Caricasole. Perché, spiega la designer - anima dello studio Mezzopieno di Verona e del progetto Poivorrei (in comune con le sorelle Sofia e Lidia), la pagina dedicata ai desideri post-lockdown divenuta virale sui social - “non abbiamo bisogno di qualcun altro per definire ciò che siamo”. Così racconta la creativa, partita a livello di formazione dalla laurea in Design e Arti alla Libera Università di Bolzano, ateneo che attraverso il progetto #unibzcareers è in prima fila nel sostenere i laureati nei primi passi della vita lavorativa. “Ciò che mi è rimasto dentro del mio percorso di studi - rivela - è la formazione poliedrica. Un valore aggiunto quando ti approcci ai progetti”.

unibzone: Elena Caricasole, l’ottimismo è una caratteristica che la contraddistingue, come persona e come professionista, è così?

Elena Caricasole: Sì, è un’attitudine che sento mia e che mi si è connaturata molto nel periodo universitario. Io ho iniziato il percorso studi nel 2012, con la crisi economica in corso, e come studentessa non sentivo che frasi pessimistiche attorno a me. Non c’è futuro per noi giovani, ci dicevano, il Paese sta andando a rotoli, e ancora non troverete mai lavoro. Ebbene, una ragazza di 20 anni sentendo tutto questo è davanti a un bivio: o si abbatte, oppure si arrabbia. Io ho optato per la seconda opzione. I giovani possono dimostrare di avere quella marcia in più, di saper farcela in ogni caso.

 

Al termine degli studi a Bolzano ha scelto di non fare la classica “gavetta”, ma di lavorare sulla crescita individuale, in autonomia. Com’è andata?

A distanza di tempo posso dire di aver fatto la scelta giusta. Terminato il mio percorso di studi a Bolzano avevo la possibilità di fare gavetta in azienda, ma ho capito che questo non faceva parte del mio modo di essere. Ho quindi deciso di avviare una mia attività in maniera seria. Lo studio Mezzopieno è stata una deriva naturale. Mi ha sempre accompagnato una mentalità aperta verso il pensiero positivo, un primo impatto di filosofia di vita e lavorativa con cui ciascun cliente che si rivolge a noi può confrontarsi. Il tempo è passato veloce: nel gennaio 2021 sono tre anni dall’apertura.

 

Lo studio Mezzopieno ha anticipato il progetto Poivorrei nato durante il primo lockdown: qual è il filo rosso che li lega?

Ciò che li lega è sicuramente, come dicevamo, l’atteggiamento positivo, ma alla base c’è la convinzione che il design è al servizio alle persone. Che è poi l’impronta professionale che diamo a tutte le nostre attività. Quando sei giovane e apri uno studio, ti accolli un grosso rischio. Quello che attutisce il rischio è la consapevolezza che sei tu, in prima personal a giocarti le tue carte. Lavorare con empatia e ironia è tutto ciò che collega il nostro lavoro.

 

Può farci un esempio?

Certamente. Tempo fa un teatro comunale è venuto da noi per la campagna pubblicitaria sulla riapertura della stagione. Un piccolo teatro della provincia di Mantova, in uno di quei territori spesso sottovalutati a favore delle grandi città. Per noi la sfida era trovare un linguaggio efficace per far sì che la campagna fosse vicina alle persone. Alla fine, la campagna pubblicitaria in dialetto mantovano ha avuto un sacco di successo. Ecco cosa intendo quando dico che il design è vicino alle persone, che è anche il concetto alla base di Poivorrei. Quello che progettiamo deve essere bello esteticamente, ma senza mai dimenticare che abbiamo la capacità di fornire supporti e linguaggi e strumenti per la società. La comunicazione è a 360 gradi: partendo dalla persona al centro tu come creativo sviluppi lo strumento, che sia un logo, una campagna, un linguaggio sui social in funzione del pubblico.

 

Veniamo a Poivorrei: da cosa è partito un progetto che in poco tempo ha superato i 450mila follower?

Il progetto è nato da un’idea in comune con le mie due sorelle, Sofia e Lidia. Era il periodo del primo lockdown e volevamo fare una lista di cose da fare finita l’emergenza. Confrontandoci assieme abbiamo detto: perché non fare una cosa partecipativa, mettendo in comune le competenze? I primi post erano i desideri di amici e conoscenti. Cose semplici, del tipo “vorrei andare al supermercato con te”, oppure “vorrei vedere il mare”. La mia coinquilina ad esempio aveva scritto, pensando al suo ragazzo che stava in Lombardia e lei in Veneto, “scendi, sono sotto casa tua”. Poi tutto è esploso quando un ragazzo ha scritto “Poi vorrei andare… a un concerto di Cesare Cremonini”. Sofia mi ha detto: “Elena, prepara la grafica per questo post e tagga Cesare Cremonini”. Lui è stato al gioco, ha scritto un testo molto bello, cogliendo in pieno lo spirito della pagina, e da lì è partita la viralità più assoluta. Vedevamo i follower crescere a colpi di 40.000 unità, una cosa impressionante.

 

Poi… è arrivata l’estate.

È stato una fase di assestamento. Verso la fine dell’estate i contatti sono cominciati a scendere. Poi, con la ripresa dei contagi in autunno i follower sono tornati ad aumentare. Una cosa che colpisce.

 

Cos’è cambiato nell’approccio a Poivorrei tra la prima e la seconda ondata del coronavirus?

Adesso le persone hanno ricominciato ad interagire di più con la pagina e con il sito. Penso con il restringimento delle misure abbiano avvertito nuovamente il bisogno di sentirsi parte di una comunità che al momento non si può ritrovare fuori.

 

Questa fase è più difficile della precedente?

Io penso che ci sia la sensazione di ricadere nel loop. Il secondo lockdown risulta una specie di dejà vu. Questo secondo me spiega la stanchezza che avvertiamo, per il fatto di essere ricaduti di nuovo nell’emergenza. Ma anche qui dobbiamo cogliere gli aspetti positivi.

 

In che direzione bisogna guardare?

Secondo me la parte positiva, forse l’unica che ci vedo, è che si interrompe nuovamente la quotidianità frenetica in cui spesso siamo immersi. Il ritmo elevato si spinge talvolta a cercare la frenesia della settimana nel weekend, andare in giro, in vacanza, riempirci di cose fare e da vedere. Tutto molto bello, ma riflettiamo. L’essere forzati a stare a casa può diventare l’occasione per “prenderci il nostro tempo”. Io ho reagito così, mi sono presa tele per dipingere, il kit per fare le candele a casa, ho stilato un elenco di cose che pensavo da tempo di fare e cerco di coltivare i miei hobby. Magari hobby creativi, manuali, giusto per non stare solo al computer o davanti alla smart tv. Dedicarsi una pausa è importante per arricchire gli interessi e liberare la mente. Non ci capiterà in vita l’occasione di riprenderci così tanto tempo per noi stessi, quell’aspetto che abbiamo provato nel primo lockdown. Certe volte che ci si riempie vita di 300 cose, più che altro per paura del vuoto. Fermarci e ragionare non fa poi così tanto male.

 

A livello professionale che insegnamento ha tratto da questo successo sui social?

L’insegnamento a livello professionale è che certe volte bisogna avere il coraggio di credere nelle proprie idee. Questo progetto è stata un’intuizione, ma all’inizio pensavo fosse l’ennesima cavolata che mi veniva in mente. Se l’avessi lasciata a mezza via non sarei dove sono. Poivorrei non ha aperto le porte del paradiso, però risulta estremamente formativo, dal punto vista umano e professionale. Gestire una community di 460mila persone è un lavoro di per sè.

 

E con lo studio Mezzopieno come sta andando?

Bene, nell’ultimo periodo abbiamo visto un incremento costante delle richieste dei clienti. Prova che il lavoro che stiamo portando avanti sta dando i suoi frutti. Veniamo contattati da persone che apprezzano il nostro approccio, diverso magari da quello degli altri studi di Verona. Un riconoscimento che dopo tre anni ci fa molto piacere.

 

Molto del suo bagaglio formativo viene dalla Facoltà di Design e Arti di Bolzano. Cosa si porta dentro in particolare del percorso di studi?

Sicuramente quello che ho interiorizzato è metodologia progettuale che la Libera Università di Bolzano ti insegna. Una formazione molto poliedrica, in cui passi da una disciplina all’altra, cosa che ti dona maggiore elasticità quando ti approcci a un progetto. È un grandissimo valore aggiunto.

 

Consigli per i new designer o per i giovani interessati a iniziare questo percorso?

Lavorare nel campo creativo è una fortuna. Il mio consiglio è di non seguire un percorso obbligato. Ci sono tante regole non scritte imposte dalla società, schemi del passato. Non per forza per iniziare una carriera lavorativa al termine della laurea, che resta fondamentale, è obbligatorio andare a imparare il lavoro in un’azienda. Conosciamo l’iter classico, lo stage, il tirocinio che talvolta può diventare occasione di sfruttamento a danno dei giovani. Non in tutti i casi, ovviamente. Può capitare però di trovarsi sotto una figura che ti svalorizza. Mi addolora infatti sentire di ragazzi che vengono sfruttati, magari circondati da assunti del tipo: “Nessuno ti prende alla prima esperienza”. Invito i giovani quindi a iniziare direttamente la propria attività, cercando di sviluppare il proprio linguaggio, per far sì che le aziende ti accettino per quello che sei.

 

Non bisogna avere paura?

Assolutamente no. Visto il tempo che stiamo vivendo, di rottura e di transizione, non bisogna avere paura di reinventarsi, o di inventarsi direttamente. In altre parole, non abbiamo bisogno di qualcun altro per definire ciò che siamo.