Gesellschaft | Gastbeitrag

La retorica si sconfigge con la testimonianza

Maratona di lettura stamani, al liceo “Pascoli” di Bolzano, in occasione della Giornata della Memoria. Al centro le pagine di un libro: “Il silenzio dei vivi” (Marsilio), scritto dalla sopravvissuta ai campi di sterminio Elisa Springer. La testimonianza di Giovanni Accardo, scrittore e insegnante di quel liceo.

Il 23 giugno 1944 due SS si presentarono nella casa milanese dove Elisa Springer era nascosta sotto falso nome e l’arrestarono. Viennese di nascita, era fuggita attraverso l’Europa dell’Est - Ungheria, Bulgaria, Jugoslavia - per salvarsi dalla deportazione. La mattina del 23 giugno aspettava una vicina di casa che le aveva chiesto una traduzione dal tedesco, invece, all’ora stabilita, arrivarono le SS: la vicina di casa l’aveva tradita. Il 2 agosto fu deportata a Birkenau, dove conobbe per intero la violenza della follia nazista, quindi fu trasferita a Bergen Belsen, nella stessa baracca di Anna Frank, e poi a Theresienstadt. Uscì dal campo di concentramento che pesava venti chili, dopo essersi ammalata di tifo e restando a lungo tra la vita e la morte. Per molti anni - intanto si era trasferita in Italia, a Manduria, in provincia di Taranto - ha coperto con un cerotto il numero di matricola inciso sul braccio: A-24020. Finché il figlio non l’ha convinta a raccontare la sua storia, così è nato Il silenzio dei vivi, pubblicato nel 1997 e oggi giunto alla trentesima edizione.

Ho conosciuto Elisa Springer nell’ottobre del 1998, aveva ottant’anni e sul suo esile corpo sentiva il dovere di raccontare ai giovani la sua drammatica storia, come scrive nella prima pagina del suo libro: “Affido questo libro a tutti i ragazzi che avrei voluto conoscere, agli altri che ho incontrato, conosciuto, amato e che da me hanno voluto sapere. Loro saranno i veri giudici del nostro passato e del loro domani.“ Sono andato a prenderla all’aeroporto di Bolzano. Arrivava da Vienna, dove andava una volta all’anno da cinquant’anni per pregare sulla tomba di suo padre e trovare gli amici e i pochi parenti sopravvissuti. Mi raccontò che anche quella volta era andata nella via in cui era cresciuta - Strozzigasse 32 - aveva guardato le finestre della sua casa e aveva pianto. La casa era stata occupata da una famiglia ariana e non le era stata mai più restituita; aveva potuto riprendere soltanto un quadro. La casa in cui aveva lasciato la sua giovinezza, come mi disse. Dopo quell’incontro e dopo i suoi racconti, per due notti non riuscii a dormire. E l’emozione si è ripetuta anche questa mattina, mentre sentivo i sessanta studenti del liceo “Pascoli” leggere, pagina dopo pagina, la storia di Elisa.

Ci sono tanti che ogni 27 gennaio parlano di retorica della memoria e ogni volta io mi domando se non è un modo, tutto italiano, di farsi sempre del male, di sputarsi addosso, anche nelle circostanze più solenni, anche nei momenti in cui dovremmo condividere qualcosa. Io ringrazio la mia collega Valentina Mignolli, per avere organizzato la maratona di lettura di questa mattina, ringrazio Francesca Schir e Michele Parigino che hanno intervallato la lettura cantando Guccini, Vecchioni e De Andrè. Ringrazio gli studenti che hanno letto e ascoltato con estrema attenzione e partecipazione, li ringrazio perché hanno preso sulle loro giovani spalle il dolore di Elisa Spinger e dei milioni di ebrei che hanno patito i lager e i campi di sterminio. Ognuno di noi, ognuno di loro, col suo piccolo contributo, ha voluto testimoniare quale violenza sia stata fatta dai nazisti e dai fascisti all’umanità intera, per non dimenticare, come ci hanno chiesto di fare i sopravvissuti. Non dimenticare, affinché ciò che è stato non si ripeta. Testimoniare, anche per neutralizzare i professionisti della retorica, buoni solo a criticare o a nascondere dietro vuoti discorsi il loro imbarazzo per non aver mai davvero trovato le parole di condanna nei confronti dei carnefici.