Il rap di Segni e Saragat

Saragat Segni, Saragat Segni, Segni Segni Saragat Segni. Era quasi un rap ante litteram quello che sgorgava, nella primavera del 1962, dall'altoparlante della tv in bianco e nero, accesa anche in orari inusitati nel salotto di casa. C'era da eleggere un presidente della Repubblica e per la prima volta lo scrutinio veniva trasmesso in diretta. La corsa a due tra il candidato laico e quello cattolico finiva per diventare una sorta di sprint che agganciava anche l'attenzione di chi fosse del tutto all'oscuro delle manovre politiche celate dietro quell'ipnotico alternarsi di due cognomi, interrotto a tratti da un "Sofia Loren" sottolineato da grandi risate dei parlamentari.
Facevamo così la conoscenza con due personaggi, Giuseppe Saragat e Antonio Segni appunto, che il destino avrebbe posto di fronte anche drammaticamente negli anni successivi.
Erano tempi cupi e densi di prospettive angoscianti sia per l'Italia nel suo complesso che per la piccola realtà altoatesina. A livello nazionale l'ipotesi sempre meno remota di un ingresso al governo dei socialisti, ormai sganciatisi dall'abbraccio frontista con il PCI, provocava la rabbiosa e risoluta reazione di tutto l'arco conservatore e non era solo una reazione di tipo politico. Sono gli anni in cui si comincia a parlare di un colpo di Stato da parte dei militari, di quel "tintinnar di sciabole" evocato dal leader socialista Pietro Nenni per far capire i pericoli che stava correndo la gracile democrazia italiana. In questo quadro tutte le ricostruzioni storiche successive indicano come centrale la figura del presidente della Repubblica Antonio Segni, eletto per l'appunto dopo il "testa a testa" con Saragat nel maggio del 1962.
E' negli ambienti che ruotano attorno al capo dello Stato che si concentrano gli sforzi di coloro che vogliono impedire la formazione del primo governo di centro-sinistra. Sono gli anni e mesi in cui, si saprà poi, viene predisposto il cosiddetto "Piano Solo", che prevede la presa del potere da parte delle forze armate e l'arresto di tutti i principali esponenti della sinistra politica e sindacale.
Sono anche gli anni e i mesi nei quali, con un parallelismo a dir poco inquietante, il terrorismo altoatesino si fa sentire in maniera sempre più marcata e sanguinosa. Il fallimento, ormai conclamato, della prima autonomia regionale impone scelte precise, specialmente dopo che, nonostante l'opposizione italiana, l'Austria è riuscita ad ottenere che, a New York, l'assemblea dell'Onu dia mandato ai due governi di trovare una soluzione concordata alla controversia sull'Alto Adige.
È a questo punto che, digerita la sconfitta alle presidenziali del 1962, Giuseppe Saragat torna in scena come ministro degli esteri nel primo governo di centro-sinistra guidato da Aldo Moro a partire dai primi giorni di dicembre del 1963. Saragat, un passato antifascista, esponente di punta della socialdemocrazia, non fa neppure a tempo a posare le carte sulla nuova scrivania e subito deve occuparsi di Alto Adige. Il 14 dicembre, a margine di una conferenza internazionale in corso di svolgimento a Parigi incontra il ministro degli esteri austriaco Bruno Kreisky. È il primo di tre vertici, i due successivi si svolgeranno in Svizzera, a Ginevra, con i quali le due diplomazie cercano di trovare un accordo per dare all'Alto Adige quella nuova e più corposa autonomia che la minoranza di lingua tedesca chiede in maniera sempre più pressante da un decennio almeno. A dire il vero in Alto Adige, ma anche a Vienna e Roma, vi sono forze potenti che a quell'accordo non credono e che quell'intesa non vogliono venga raggiunta.
Ci sono in primo luogo i terroristi, organizzati nel BAS, il Befreiung Ausschuss Südtirol, che individuano nel possibile compromesso il peggior pericolo possibile e che quindi si impegnano a scandire con i loro attentati tutti i vari passaggi del percorso diplomatico in modo da renderlo più difficile. Ci sono anche le profondissime ambiguità che segnano la politica dei due governi. In Italia è forte, e non solo nell'estrema destra missina, il partito di chi vede nella trattativa con l'Austria e nelle nuove concessioni alla Suedtiroler Volkspartei che essa presuppone, un inaccettabile cedimento su una questione di mero carattere interno.
E' una fronda esistente nello stesso partito democristiano, che in quei mesi parla con le voci di autorevoli esponenti come Mario Scelba o Paolo Emilio Taviani. C'è sullo sfondo, ed è qui che la questione altoatesina va a intrecciarsi e confondersi con quella delle ipotesi golpiste di cui abbiamo accennato più sopra, la suggestione di un'ipotesi di gestione militare del problema altoatesino. La provincia di Bolzano rigurgita già di reparti in grigio verde ma soprattutto di poliziotti e carabinieri. L'idea di una repressione su vasta scala rimarrà sempre sottotraccia nelle vicende altoatesine sin quasi alla soglia degli anni 90.
Ambiguità pesanti vi sono però anche da parte austriaca. Lo stesso ministro degli esteri Bruno Kreisky si dovrà difendere con affanno dalle accuse di aver prima incoraggiato e poi scaricato i bombaroli arrivati dall'Alto Adige. Nell'intera vicenda sono sempre più pesanti infine le infiltrazioni di personaggi di origine neonazista, manovrati e manovrabili senza troppi problemi dai servizi deviati dell'una e dall'altra parte.
Non è questo il luogo in cui rievocare passo per passo l'andamento delle trattative che si sviluppano tra il dicembre del 1963 e l'autunno del 1964. Sta di fatto che Saragat e Kreisky, basandosi anche sui risultati del lavoro portato avanti nei mesi precedenti dalla commissione istituita dal governo italiano, la famosa commissione dei 19, elaborano un'ipotesi d'intesa che tra il maggio e l'ottobre del 1964 viene ulteriormente perfezionata da una commissione mista formata da esperti dei due paesi.
Nel frattempo, però, succedono altre e inquietanti cose. Il primo governo Moro è costretto a dimettersi nell'estate del 1964 il clima interno in Italia diviene sempre più cupo. Il 7 agosto di quell'anno dopo una violentissima lite che lo vede opposto proprio a Giuseppe Saragat il presidente della Repubblica Antonio Segni viene colto da un gravissimo malore che ne pregiudica gravemente le facoltà. Aldo Moro costituisce un nuovo governo nel quale Saragat resta ministro degli interni. L'ultimo incontro con Bruno Kreisky avviene agli inizi del mese di settembre. L'ipotesi d'intesa è pronta ma affonda irrimediabilmente sullo scoglio di un irriducibile opposizione da parte della Suedtiroler Volkspartei che giudica le competenze e le garanzie ottenute del tutto insufficiente.
Passano ancora alcune settimane e il quadro muta nuovamente. Dopo le dimissioni di Segni il Parlamento torna a eleggere il capo dello Stato e questa è la volta di un laico: Giuseppe Saragat diventa presidente della Repubblica il 29 dicembre del 1964. Il presidente del consiglio Aldo Moro assume l'interim del ministero degli interni ed è in questo quadro che matura l'ipotesi di abbandonare momentaneamente lo schema delle trattative diplomatiche tra Roma e Vienna è di affidare a un rapporto diretto tra la SVP e il governo le sorti della trattativa. Inizia così la serie di incontri tra Silvius Magnago e Aldo Moro che, non senza difficoltà e attraverso alcune fasi di stasi prolungata, porterà nel giro di qualche anno all'accordo sul "pacchetto" e alla seconda autonomia. In quegli anni Giuseppe Saragat è al Quirinale e segue da lì lo svolgersi della vicenda.
Non si può dire che la sua intesa con Kreisky sia stata premiata dalla storia, ma sarebbe ingiusto e sbagliato archiviarla alla stregua di un puro fallimento. I due esponenti del socialismo europeo hanno comunque dimostrato che quella del dialogo era l'unica strada possibile in un momento nel quale molti potenti forze spingevano in direzione contraria. Dai loro risultati sono partiti altrettanto sicuramente coloro che poi hanno costruito l'intesa definitiva.
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