Kultur | Transart Festival

Symbiont: tra musica e tecnologia

Il compositore altoatesino Hannes Kerschbaumer racconta l’imminente ritorno dell’ensemble chromoson al festival bolzanino che nel 2014 ne ha ospitato il debutto.
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l'ensemble chromoson al completo in un paesaggio alpino
Foto: Leonard Angerer
  • SALTO: L’ensemble chromoson è attivo ormai da più di dieci anni. Come è nato e quali sono stati gli sviluppi nel corso del tempo?

    Hannes Kerschbaumer: L’idea di creare un ensemble è nata in Austria, dove durante gli studi e le prime collaborazioni ho avuto l’opportunità di conoscere Carolin Ralser e Philipp Lamprecht, che oggi sono rispettivamente la flautista e il percussionista del nostro gruppo, nonché attivi nella direzione artistica e nell’organizzazione. In Austria ogni Bundesland ha un proprio ensemble di musica contemporanea, e noi ci siamo resi conto che in Alto Adige questa varietà mancava, perlomeno nella generazione più giovane. Così, ispirati dall’approccio austriaco, abbiamo cercato di portare qualcosa di simile nel nostro territorio d’origine. 

    Il debutto è avvenuto a Transart nello stesso anno della fondazione. Per noi è stato un concerto molto importante, seguito negli anni da svariati progetti internazionali: Carolin aveva lavorato per diverso tempo a Hong Kong e a Singapore, il che ci ha permesso di esibirci laggiù; altre esperienze significative sono state il Novalis Festival for Contemporary Music and Art in Croazia e il Distat Terra Festival in Argentina. 

    In parallelo, inoltre, per noi è sempre stato fondamentale svolgere attività sul territorio altoatesino ponendoci come un collettivo a supporto di giovani musicisti e compositori decisi a concretizzare le loro idee. Quando possibile li invitiamo a suonare nella nostra formazione, fermo restando che ad oggi il cuore dell’ensemble chromoson conta cinque componenti stabili: oltre alla composizione io mi occupo della direzione artistica, e insieme ai già citati Philipp Lamprecht e Carolin Ralser ci sono Massimiliano Girardi, il nostro sassofonista, e Luca Lavuri al pianoforte.

     

    Qual è la vostra personale visione della musica contemporanea?

    Viviamo in un’epoca post-digitale. Proprio per questo, pur essendo partiti da concetti appartenenti al mondo strumentale, ci siamo focalizzati sempre di più su progetti che potessero portare a una ricerca ulteriore data dall’integrazione dell’elettronica e di altre tipologie di media. In questo senso abbiamo alle spalle diverse collaborazioni per così dire ibride, intermediali, in cui la componente sonora si accompagna a installazioni video. Un esempio è il concerto che abbiamo tenuto a giugno a Bressanone: grazie alla presenza di due visual artist altoatesini, Nathanael Noir e Soft Bleach, abbiamo esplorato il legame tra suono e percezione visiva. 

    In futuro ci piacerebbe continuare in questa direzione, esplorandone le possibili implicazioni. Al tempo stesso, un discorso che va senza dubbio approfondito è quello sull’intelligenza artificiale. Non sappiamo ancora dove ci porterà, ma di sicuro eserciterà un forte impatto sia sulla composizione che sulla prassi strumentale.

     

  • Foto: privat
  • Cosa rappresenta per voi Transart? 

    Un luogo aperto a visioni contemporanee in cui sperimentare liberamente, senza la pressione di dover portare per forza ogni ricerca e ogni tentativo a un risultato utile. Molti criticano la musica contemporanea sostenendo che sia incapace di uscire dall’ambito sperimentale, ma non credo che sia vero. Ogni cosa inizia con una sperimentazione, è chiaro, ma in molti casi quest’ultima si consolida e finisce per diventare prassi. Le colonne sonore dei film, i jingle pubblicitari, il sound design, tutto questo non esisterebbe senza le esperienze della musica contemporanea anni Cinquanta e Sessanta. 

     

    Ciò che conta è la propria ricerca, così come la questione dell’identità. 

    Cos’è uno strumento musicale? Come potrebbe essere reinterpretato? 

    Sono queste le domande che ci poniamo ogni giorno.

     

    Cosa possiamo aspettarci dalla vostra partecipazione al Festival quest’anno?

    Ci esibiremo il 16 settembre ad Appiano, ore 19:00, Capannone Schwarz. Più che di un concerto nel senso classico del termine si tratterà della creazione di un vero e proprio mondo sonoro in cui esplorare assieme al pubblico il rapporto tra uomo e macchina, specie per quanto riguarda il ruolo della tecnologia all’interno della musica strumentale. Presenteremo questa fusione da varie prospettive, sia ottimiste che critiche, spaziando da riflessioni legate alla gestualità umana a ipotesi su nuovi mondi futuri plasmati dal cambiamento climatico. Lavoreremo con la cibernetica, con sensori di movimento capaci di attivare suoni in tempo reale, con algoritmi progettati per interagire con noi durante l’esecuzione, e grazie anche all’integrazione di elementi visivi metteremo in campo un approccio transdisciplinare per scoprire le infinite possibilità della musica e dell’arte sonora. 

    Non a caso, il titolo che abbiamo scelto è symbiont: indica una contaminazione, l’entità esterna del digitale che a poco a poco invade la musica così come l’abbiamo conosciuta finora, forse divorandola completamente, forse dando vita a risultati inaspettati.

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