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Convegno "Moral Panic" - intervista a Dorothy Zinn

La macchina dei media è complessa e articolata: l’Università di Bolzano ha cercato di scrivere qualche pagina di un libretto d’istruzioni potenzialmente infinito.
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“Una notizia un po’ originale non ha bisogno di alcun giornale, come una freccia dall’arco scocca, vola veloce di bocca in bocca”. Fabrizio De Andrè, però, non dice nulla sugli effetti che la punta può avere in chi viene colpito. E' questo, invece, l’aspetto che ha attirato l’attenzione di docenti, giornalisti, esperti e professionisti della comunicazione durante il convegno “Moral Panic” organizzato a Bressanone dalla Facoltà di Scienze della Formazione e dal Corso di Laurea in Scienze della Comunicazione e Cultura. Deus ex machina la professoressa Dorothy Zinn.

“E’ stato un momento di incontro stimolante e importante. Affrontare il modo di trasmettere temi socialmente sensibili è qualcosa di estremamente delicato e attuale”.

Cerchiamo prima di tutto di circoscrivere questi temi. Citiamone alcuni.

“I primi che mi vengono in mente sono i suicidi e le violenze. Argomenti su cui si innesta una precisa rete etica e deontologica, ma che presentano dei margini di scelta per i giornalisti”.

E’ colpa e responsabilità della stampa insomma. Non a caso alla tavola rotonda si sono seduti il direttore dell’Alto Adige Alberto Faustini, il caporedattore del Corriere dell’Alto Adige Roberto Magurano, Gudrun Esser della Rai e Alexandra Aschbacher dell’Ff.

“E’ stato interessante portare al tavolo della discussione i vari fattori che determinano il modo di veicolare la notizia. Sappiamo delle regole etiche e delle norme di buon senso, ma è giusto soppesare tutti i contorni di una scelta”.

Per esempio?

“Per esempio il fatto che giornali e tv sono anche imprese e vendono un prodotto che è la notizia stessa. Oppure la dimensione del tempo: la velocità è oggi determinante, ma non sempre è la migliore compagna di viaggio. I giornalisti sono chiamati a un lavoro non semplice”.

Parlando sempre di cosa si scrive non si rischia di ridurre il ruolo del lettore a semplice spugna incapace di compiere un’analisi individuale?

“Sì, questo è un tema azzeccato. Il rischio si corre. Non a caso credo che il buon giornalista sia quello in grado di capire con anticipo quale reazione può avere una notizia sulla popolazione. Talvolta è necessario un sesto senso per comprendere come un fatto possa innescare del panico sociale. Questione di sensibilità e capacità”.

Mentre i media tradizionali si interrogano su norme e comportamenti sul web fluisce una cascata di informazioni che non si cura affatto di tutte queste attenzioni.

“I nuovi media sono un tasto che mi interessa moltissimo perché hanno davvero cambiato lo scenario in modo sensibile. Non c’è un vero controllo ed è difficile regolamentare un modo simile di fare comunicazione. Siamo di fronte a un grande potenziale democratico che, però, è talmente totalizzante da non avere dei paletti fermi. Evidente come le cose vadano controbilanciate con approfondimenti che abbiano delle certezze. E’ un aspetto da veicolare anche tra i giovani che sempre più utilizzano solo i nuovi media”.

Il mondo accademico, infine, come può entrare in questo gioco?

“Noi possiamo e dobbiamo analizzare il meccanismo di trasmissione del sapere e dell’informazione che è precipuo della comunicazione. Evidenziandone le logiche è più facile interpretarle. Il convegno muove esattamente in questa direzione”.

La macchina dei media è complessa e articolata: l’Università di Bolzano ha cercato di scrivere qualche pagina di un libretto d’istruzioni potenzialmente infinito.