Di stima nella violenza
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Ho passato un fine settimana sommersa da titoli a effetto del tipo “Noto politico denunciato dalla moglie” piuttosto che titoli chiari e precisi come “Violenza domestica: V denunciato”, seguiti poi da pezzi che riportavano la denuncia per violenza domestica con successivo scattare del codice rosso ai danni di un noto politico di Bolzano – Carlo Vettori.
Un caso che è arrivato ai media considerata la pubblica rilevanza del violento, ma ahimé solo uno dei tanti che quotidianamente vediamo ai Centri D’Ascolto Antiviolenza. Sono centinaia le situazioni che ci fanno affermare che la violenza domestica è trasversale e non conosce né ceto sociale né grado d’istruzione né confessione religiosa né provenienza geografica. L’unica cosa che accomuna le storie delle svariate donne che ascoltiamo nel corso dell’anno è il fatto che la violenza è agita da un uomo, nella stragrande parte dei casi da un (ex)partner o da un famigliare di genere maschile.
Non mi sorprende il fatto che in questo caso specifico si tratti di un esponente del partito dio-patria-famiglia. Lo stesso partito che sogna le donne nel loro ruolo degli anni Trenta: madri e donne sottomesse con l’eccezione delle eccezioni, la donna più maschia di tutte che si fa chiamare “Il presidente”. Non che la sinistra sia immune alla violenza domestica, ricordiamoci la trasversalità di sopra! Ma fa sorridere (con amarezza) che chi professa e si fa eleggere con uno slogan del genere, chiuse le porte di casa propria, agisca in modo tale da guadagnarsi un divieto di avvicinamento.
Sorprendono invece i messaggi ricevuti, almeno secondo la nota diffusa dal denunciato stesso: espressioni di stima da parte dei compagni di partito. In un secondo momento non stupisce poi tanto, perché se con uno ci lavori bene, se fa parte del tuo branco, quando emerge la sua natura violenta per prima cosa scindi il privato dal pubblico e gli esprimi la tua vicinanza. Pare troppo difficile prendere una posizione diversa: di condanna della violenza maschile! È un fenomeno ben conosciuto, quello del cameratismo maschile. La violenza sulle "nostre" donne è da condannare quando ad agirla è l'altro, l'immigrato per esempio. Quando invece è agitata dai pari, ci si ricorda che sono appunto le “nostre” donne e con quelle ci fai ciò che ti pare. L’importante è non lasciare segni troppo evidenti, così la violenza può essere derubricata in litigio di coppia e relegata alla sfera privata. Ci si può girare dall’altra parte o, peggio ancora, si possono trovare attenuanti e scusanti che legittimino un’espressione di solidarietà.
Dai che manca poco al 25 novembre e quelle stesse persone potranno ripulirsi la coscienza con un post strappalacrime.
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