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Economia femminile o femminista?

Nel libro Le signore non parlano di soldi l'economista Azzurra Rinaldi indaga le ragjoni della disparità lavorativa e dimostra quanto questa sia una perdita per tutt*

Il 24 ottobre 1975 in Islanda le donne deciso di scioperare. Le associazioni sindacali e femministe organizzarono una protesta per dimostrare quanta disparità ci fosse tra i generi nel mondo del lavoro, riscuotendo un grandissimo successo: circa il 90% delle Islandesi decise di aderire all’iniziativa e l’intero paese dovette affrontare una giornata senza il costante, ma decisamente sottovalutato, contributo femminile. 
Le Islandesi non incrociarono le braccia solamente nelle attività di lavoro retribuito, ma anche in tutti i lavori di cura, dall’assistenza a figli, a quella degli anziani...fino alle consuete faccende domestiche, in una manifestazione che lasciò il paese nel caos. La protesta islandese divenne ben presto un esempio, ma a quasi 50 anni da quella data le condizioni non sono radicalmente cambiate. Le donne, infatti, hanno ancora sulle loro spalle la maggior parte del carico familiare, svolgendo mansioni fondamentali ma mai retribuite, secondo una convinzione ben radicata che continua a vedere nelle donne il naturale soggetto preposto a tali incarichi. Tutto ciò influisce inevitabilmente sul lavoro retribuito, costringendo le donne ad affrontare discriminazioni ed ostacoli, per arrivare a condizioni salariali e pensionistiche peggiori rispetto a quelle dei colleghi uomini. Siamo ancora così sicuri, però, che lasciare alle sole donne l’impegno familiare e casalingo sia un bene per l’economia? 

 

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"I pregiudizi, però, non agiscono solamente a livello più generale, ma si intrecciano con la formazione che le bambine ricevono rispetto ai maschi, che ancora le allontana dalla gestione attiva del denaro". (Foto: Fabbri Editori)


È questo il tema del libro Le signore non parlano di soldi di Azzurra Rinaldi, Economista, Professoressa di economia politica all’Unitelma Sapienza di Roma e Direttrice della School of Gender Economics: la domanda consente di ribaltare completamente tutti gli stereotipi che ancora incidono profondamente nella divisione tra i generi nel mercato del lavoro, i quali, oltre a rappresentare un freno allo sviluppo delle legittime aspirazioni femminili, diventano anche un freno al sistema economico generale. Con una scrittura scorrevole e leggera il saggio non dimentica di fornire dati e statistiche, disegnando uno scenario abbastanza sconfortante, che vede nell’Italia uno dei fanalini di coda dell’UE nella parità di genere in ambito lavorativo e familiare. Una fotografia che tradisce la visione, ancora ben radicata, della donna come madre e moglie e che spinge gli studiosi a parlare di “modello di welfare mediterraneo”, diffuso anche in Spagna e Grecia, nel quale si scaricano su nonne, mamme e zie l’accudimento degli anziani, l’educazione dei figli e la quotidianità casalinga; ma mentre la Spagna tenta di varare riforme che possano riequilibrare la situazione, in Italia gli interventi si riducono a piccoli cambiamenti marginali, che portano a modifiche troppo lente e ad inevitabili perdite di ricchezza e capacità produttiva, con un divario impietoso tra nord e sud del paese. Gli studiosi, infatti, concordano sull’ormai evidente fallimento del sistema di divisione netta tra compiti maschili e femminili nella società odierna, il vecchio modello di madri dedite alla riproduzione e padri dediti alla produzione è chiaramente entrato in crisi e il mancato coinvolgimento femminile rallenta la corsa verso un più diffuso benessere e lascia aumentare la denatalità. È proprio la mancanza di welfare statale e lavoro sicuro che costringe le coppie ad abbandonare la volontà di fare figli, mentre il modello della donna a casa ad accudire la prole rappresenta una costrizione: davanti all’impossibilità di conciliare i due ambiti sono le donne a dover rinunciare alla carriera, perché in possesso di un lavoro meno stabile e peggio pagato. Alle donne, infatti, sono riservati contratti part-time, a tempo determinato o più precari e la situazione ha subito ripercussioni ancora più ampie dopo il periodo pandemico, lasciando soprattutto alle donne la falsa agevolazione dello smart working, che mescola, senza possibilità di riposo, ufficio e ambito domestico. 

Gli studiosi, infatti, concordano sull’ormai evidente fallimento del sistema di divisione netta tra compiti maschili e femminili nella società odierna, il vecchio modello di madri dedite alla riproduzione e padri dediti alla produzione è chiaramente entrato in crisi


I pregiudizi, però, non agiscono solamente a livello più generale, ma si intrecciano con la formazione che le bambine ricevono rispetto ai maschi, che ancora le allontana dalla gestione attiva del denaro, caricandole di soggezione, agendo come una discriminante nella contrattazione del salario o nell’accesso al credito. A parità di expertise e curriculum le donne fanno più fatica ad accedere ad una retribuzione equa, non riuscendo a rivendicare il proprio valore anche a causa dei freni educativi che i colleghi uomini non subiscono. Le signore, infatti, non parlano di soldi, e la non casuale scelta del titolo da parte di Azzurra Rinaldi ha ricevuto un plauso iniziale anche dai lettori ignari dell'ironia sottintesa, sottolineando quanto ancora sia lungo il cammino da percorrere.