Pietro Ingrao spaesato in Alto Adige
Ieri ho fatto arrabbiare qualche mio amico comunista (comunista in senso affettivo, per quel che vuol dire, più che politico, giacché essere “comunisti” in senso politico non vuol dire praticamente quasi più nulla) commentando in modo irriverente la morte di Pietro Ingrao: “Ingrao riscuote la simpatia di tutti i nostalgici che non si saziano mai di contemplare le macerie delle loro idee”. Forse, se al posto di “idee” avessi scritto “ideologie” avrei fatto meglio. Chissà. Comunque, il sarcasmo era più per i nostalgici che per la persona deceduta. Oggi però ho ripensato a quello che mi è scappato di dire, dunque ho ripensato anche a Ingrao, e così mi sono ricordato che la sua figura compare nel famoso primo libro di Sebastiano Vassalli sull’Alto Adige, Sangue e suolo (Einaudi), che può essere considerato una vera e propria radiografia dello “spaesamento” italiano nei confronti dei fatti di quassù, provincia per molti versi incomprensibile, più che difficile, come diceva Claudio Nolet (ma è chiaro che, abitandoci, l’incomprensione si attenua di molto, anche se rimane pur sempre difficile spiegarsi con chi viene da fuori).
Dunque, nel libro di Vassalli Ingrao compare all’altezza del terzo capitolo, intitolato L’antiveggenza di Edipo (per la precisione a pag. 134, almeno dell’edizione che ho io), e il suo ritratto deve essere perciò datato tra il 10 e il 23 novembre del 1983. Il brano è esilarante di suo, ma io risi perché davvero lo stupore di Ingrao di fronte alla situazione in cui si trovò coinvolto è paradigmatico di molte persone che sbarcano in Alto Adige senza conoscere la sua storia, e soprattutto la persistenza di alcuni meccanismi di pensiero. A quel tempo sicuramente lo stupore era anche maggiore di adesso, ma qualcosa di comune rimane, e per questo mi piace riportarlo qui (trascriverò l’intero episodio), in modo da mostrare come il capire poco, lo sbandare, l’inciampare e altre disavventure ermeneutiche costituiscono una prassi umana e politica ben più comune di quanto gli stessi protagonisti siano disposti ad ammettere (per le incomprensioni ben più gravi, nelle quali è incappato Ingrao, rimando senz’altro a ciò che ne scrisse lui stesso in un libro di qualche anno fa).
Curioso osservare, poi, come il raffinato politico Ingrao, con tutta la sua conoscenza dei “massimi sistemi” e delle cose del “mondo”, non fosse in grado di capire quel che presto, appena pochi anni dopo, sarebbe accaduto (anche al suo partito, soprattutto al suo partito), mentre un soggetto politicamente “anacronistico” come la SVP è tuttora il partito più votato in Alto Adige e, se non sbaglio, l’unico partito “italiano” ininterrottamente esistente dal dopoguerra ad oggi. Certo, Ingrao aveva anche ragione a dire quel che disse. Ma la storia, come noto, assegna la ragione e il torto in modo piuttosto imprevedibile.
Ecco la pagina di Vassalli.
Per l’onorevole Ingrao, nella sala riunioni della Fiera, ci son trecento persone e le bandiere del Pci e il segretario D’Ambrosio che applaude in modo stranissimo, battendo uno contro l’altro i polsi anziché le palme delle mani. “Questo calcolo di continuare a far crescere la divisione alimentando la paura – esordisce Ingrao – è un calcolo miope e gretto e dannoso per tutti, anche per la popolazione di lingua tedesca. Dirò di più: è una sciocchezza, nel contesto delle attuali tempeste internazionali”.
Si scalda, interroga il vuoto: “Ma i dirigenti della Volkspartei non si guardano attorno? Ma non leggono, non s’informano su ciò che sta succedendo nel mondo?”
“La mia critica, prima ancora che di sdegno e di condanna, è di miopia e di vecchiezza per questi signori della Volkspartei”. “Io ci sento perfino un elemento di ridicolo”. “Mentre anche grandi strutture nazionali si rivelano inadeguate rispetto alle gigantesche trasformazioni dei sistemi produttivi, questo piccolo, miserabile, meschino gioco della lottizzazione nazionalistica impedisce a questa città di assumere il suo ruolo europeo”.
“Proprio perché siamo a un crocevia di lingue, di terre e di culture, questa città potrebbe parlare al sud e al centro dell’Europa”.
“Signori della Volkspartei, sappiate almeno alzare il tono della polemica con Roma. Non siate meschini e piagnoni, abbiate più consapevolezza e più dignità! “(Applausi).
Cerco di immaginare ciò che risponderebbero, in un dibattito ideale, i “signori della Volkspartei” a questo genere di critiche e di esortazioni. Niente. Non risponderebbero niente. Non capirebbero nemmeno. La logica Volkspartei è un sistema di pensiero anacronistico (nel senso che certamente viene prima della Riforma, prima dell’Enciclopedia, prima della Dichiarazione dei diritti dell’uomo, prima del Manifesto di Marx) ma autosufficiente e completo in ogni sua parte. Basta accettarne due o tre presupposti – del resto, non ne ha molti di più – per entrare in una dimensione parallela in cui non solo l’“ingraese”, ma ogni linguaggio politico posteriore al XV secolo suona alle orecchie di chi ascolta come un idioma marziano, incomprensibile e insultante.
“Noi abbiamo condannato – dice Ingrao – l’abbattimento da parte sovietica del Jumbo sudcoreano ma ora dobbiamo dire che quell’episodio ancora non s’è chiarito, che i tecnici hanno detto che un errore di rotta era impossibile, che una rottura degli apparati radiofonici di comunicazione era impossibile. Non è il gioco delle parti che mi agghiaccia, mi agghiaccia non sapere perché 260 persone sono scomparse. E sapere che non solo io, ma anche il nostro governo non sa, che anche la Dc non sa, che anche la Volkspartei non sa…”.
“Di fronte a ciò che il mondo sta vivendo, di fronte al pericolo della distruzione atomica queste risse e queste divisioni appaiono piccole, meschine”.
Sì, è vero: ma è vero anche il contrario, è la somma mondiale delle meschinità che crea gli attuali pericoli, non il confronto o lo scontro tra i massimi sistemi di pensiero. Le note di Bandiera rossa ci restituiscono alla strada, al cielo gelido e limpido con stelle talmente grandi che sembrano appese sopra le nostre teste come palloncini dell’albero di Natale. Voci che augurano la buona notte oppure chiedono aiuto (“Dammi una spinta”, “Vincenzo!”) fanno da contrappunto al rumore delle portiere sbattute, dei motori d’avviamento in difficoltà, delle automobili che si muovono.