Inquinamento dal permafrost?

I ghiacciai alpini stanno scomparendo, un fatto sempre più visibile a occhio nudo. Ma non è solo la classica distesa bianca di ghiaccio a scomparire a causa del riscaldamento climatico: questo processo riguarda anche il permafrost, ovvero il suolo permanentemente gelato. Sulle Alpi la forma più comune di permafrost è rappresentata dai cosiddetti “rock glaciers”, spesse coltri di detrito – simili a ghiaioni – ma contenenti ghiaccio al loro interno. Un ghiaccio “nascosto” che, al pari di quello visibile e spettacolare dei ghiacciai, influisce sulla quantità e qualità delle acque di sorgenti, ruscelli e torrenti che scorrono a valle.
Un nuovo progetto euregionale appena avviato, denominato “ROCK-ME”, mette in comune le competenze dei ricercatori di tre partner, ovvero unibz (Francesco Comiti, Lorenzo Brusetti e Stefano Brighenti), Fondazione Mach (Monica Tolotti e Maria Cristina Bruno) e Accademia Austriaca delle Scienze (Andrea Fischer), per determinare la composizione chimica e la dinamica ecologica nelle acque derivanti dalla degradazione del permafrost alpino di alta quota, che in Alto Adige è abbondante a quote elevate (sopra i 2.400 m).
Metalli pesanti da monitorare
Nelle sorgenti alimentate dai rock glaciers – ancor più che in quelle derivanti da ghiacciai – si trovano disciolte numerose sostanze chimiche, tra cui alcuni metalli pesanti che spesso vengono rinvenuti a concentrazioni elevate. Nonostante non si sappia ancora bene quale sia l’origine di queste sostanze, la contaminazione delle acque è un potenziale problema ambientale. “Spesso vi si rinvengono, in quantità variabili, metalli pesanti come nickel, zinco, addirittura uranio a seconda del tipo di roccia, anche di sei volte superiori ai limiti dell’acqua potabile”, spiega Francesco Comiti, docente della Facoltà di Scienze e Tecnologie dell’Unibz. “Con le nostre misurazioni vogliamo andare a capire da dove questi provengano e poi osservare quali sono le conseguenze della presenza di questi elementi sugli ecosistemi fluviali”, precisa Stefano Brighenti, assegnista di ricerca nella stessa Facoltà ed esperto del problema. “Analizzeremo se e come i metalli pesanti si trasferiscono e si accumulano nelle reti trofiche dei torrenti di alta quota” sottolinea Monica Tolotti, ricercatrice in idrobiologia della Fondazione Mach. "Inoltre, i microbi presenti nelle acque di fusione dei rock glaciers si sono lentamente adattati alle alte concentrazioni di metalli pesanti grazie a meccanismi di resistenza basati sul DNA”, aggiunge infine Lorenzo Brusetti, ricercatore e docente unibz.
La ricerca punterà a determinare anche la provenienza dei metalli pesanti, per scoprire se essi sono caratteristici del luogo oppure se si sono depositati nel corso dei decenni in conseguenza dell’inquinamento atmosferico. Sulla base dei risultati ottenuti sarà quindi possibile pianificare una gestione idrica dei bacini d’alta quota, soprattutto per il loro utilizzo nell’irrigazione o come acqua potabile, nel contesto del cambiamento climatico. “Andremo a monitorare i deflussi idrici delle sorgenti alimentate da rock glaciers”, conclude Comiti, “e sulla base di queste rilevazioni potremo realizzare modelli previsionali che ci consentiranno, includendo le proiezioni sull’aumento delle temperature, di stimare quanto i rock glaciers contribuiranno alla concentrazione di metalli pesanti nelle acque superficiali, e dove tali concentrazioni raggiungeranno una soglia critica per il loro utilizzo”.
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