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Foto: anse
Gesellschaft | Convegno

Parlar bene o farsi capire?

Considerazioni a margine di un convegno a Bolzano. Si può comunicare anche facendo errori. L'importante è avere qualcosa da dire.

Il livello di bi- e plurilinguismo in Alto Adige/Südtirol, terra di incontro tra lingue e culture diverse? Insufficiente, come si sa. Parliamo male quella che per ognuno di noi è la “seconda lingua” (e non “lingua straniera”). E la parliamo male perché la parliamo poco, ovvero perché frequentiamo poco le persone e gli ambienti dove è presente. Fin qui tutto chiaro. Ma vi è un altro fattore per così dire extralinguistico, che inibisce il bi- e plurilinguismo, sul quale si riflette poco. Lo definirei così: la paura di esporsi, ovvero di essere giudicati, che scatta di solito quando due persone di madrelingua diversa si trovano a dover o poter usare una sola delle due: ad esempio un altoatesino e un sudtirolese che s'intrattengono in italiano, o in tedesco. In questo caso, uno gioca in casa e l'altro è ospite: comprensibile che quest'ultimo si senta insufficiente, preferendo evitare la trasferta. E d'altra parte, fateci caso: chi padroneggia una lingua tende a farsi beffe degli errori di chi la parla meno bene. Sappiamo tutti come in Italia si imita e ridicolizza un tedesco che parla italiano; e ci sono anche casi speculari: una volta, persino un ecumenico come don Paolo Renner, volendo fare il simpaticone, tentò di ridicolizzare da un palco il tedesco parlato da un altro relatore: piccolo peccato di vanità.
 
È interessante osservare cosa avviene invece quando una comunità di persone si trova a dover usare una lingua che è straniera per la maggioranza di loro. Era proprio questa la situazione nella sala di rappresentanza del comune di Bolzano, dove dal 26 al 30 agosto 2019 Micki Gruber e Ilse Egger hanno organizzato la Summer University dell'Anse, Association of National Organisations for Supervision in Europe: 300 persone di diversi paesi europei, lingua di lavoro l'inglese. Per pochi in sala quella è la lingua madre; alcuni la conoscono meglio, altri meno bene, ma tutti la usano, organizzando al meglio le nozioni delle quali dispongono e soprattutto – questo è il fatto decisivo – senza timore di essere valutati e giudicati per la correttezza formale di quanto dicono. L’interesse principale è confrontarsi sui contenuti, più che fare bella figura.
 
Parlano inglese Micki Gruber, Ilse Egger e tutti gli intervenuti dal palco e dal pubblico. Il Landeshauptmann Arno Kompatscher a un certo punto passa al tedesco e chiede ai presenti come si dice una parola che sul momento non trovava; lo storico Hans Heiss, troppo bravo per sbagliare lessico e sintassi, a volte è insicuro su accenti e pronunce; era relatore anche io e ne ho fatti di strafalcioni, ma come gli altri sono riuscito a trasmettere i miei pensieri: e questo è il fatto decisivo. Il sindaco Renzo Caramaschi poi è stato esilarante, usando inglese, tedesco, italiano e persino francese nella più completa e creativa libertà. S'è capito poco? Falso, s'è capito l'essenziale: che è una persona concreta, attenta al merito più alla forma e ben consapevole dei problemi che la comunità deve affrontare, ad iniziare appunto dalla diversità di lingue e culture presente in essa. So bene che vi sono situazioni in cui è necessario esprimersi con correttezza e precisione; ma d'altra parte come comunità dobbiamo imparare ad accettare (e premiare) anche livelli di comunicazione imperfetta, purché ci sia un contenuto solido e concreto da trasmettere. Comunicare significa avere qualcosa da dire e farsi capire da chi ascolta; (poi certo ci sono i furbi e gli spregiudicati che per far colpo sui sempliciotti recitano frasi belle e correttissime: ma questo è un altro discorso)
È interessante osservare cosa avviene invece quando una comunità di persone si trova a dover usare una lingua che è straniera per la maggioranza di loro.
“Bridging”, costruire ponti, ma anche fare da ponte, era il tema del convegno di quest'anno. Per i partecipanti ben 17 workshops, gruppi di lavoro ristretti nei quali approfondire singoli aspetti del “come” si possa “bridging”. Un modo forse è anche quello di sospendere i giudizi del tipo “come parla male” (o “bene”). Meno attenzione alla forma, più al merito di ciò che vogliamo dire favoriscono la comunicazione e quindi l'intesa tra le persone.
 

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Alberto Stenico Fr., 30.08.2019 - 23:54

Bravo, Lucio. Un bel ragionamento utile ad incoraggiare tante persone a "tirar fuori" il loro tedesco (o il loro italiano) così com'è. E smetterla con l'alibi che non ci sono occasioni per usarlo.

Fr., 30.08.2019 - 23:54 Permalink