Deficit di biodiversità ad alta quota
Da molto tempo gli scienziati hanno dimostrato quanto le attività umane abbiano un impatto sull’ambiente e sul territorio. Qesto coinvolge ogni settore e ogni habitat: da quelli cittadini, universalmente considerati i più inquinati, a quelli di montagna, spesso ritenuti erroneamente i più intatti. Impianti sciistici, strutture ricettive e campi coltivati infatti hanno trasformato l’ambiente montano e negli ultimi decenni la presenza dell’uomo si è intensificata, complice la maggiore offerta di luoghi in cui passare le vacanze e l’aumentata richiesta di alcuni prodotti tipici. I boschi e i pascoli spontanei hanno quindi lasciato spazio a coltivazioni e prati artificiali, seminati con specie più produttive e concimati per permettere una resa migliore. Se da un lato questo ha permesso d’incrementare la produzione di foraggio, dall’altro ha creato un deficit di biodiversità, limitando la varietà di flora e fauna. Una maggiore diversificazione delle piante poi attrae diversi tipi d’insetti, soprattutto quelli impollinatori, che stanno scomparendo non solo per l’uso eccessivo di pesticidi, ma anche a causa dell’esigua varietà di fiori. Diversi studiosi hanno quindi lanciato l’allarme sulla pericolosa deriva che questo tipo di coltivazioni può apportare nel tempo, in tutti gli habitat, non solo nelle coltivazioni intensive di pianura. Le montagne sono ecosistemi molto delicati, in cui si susseguono vari tipi di paesaggi, dal bosco ai prati, fino alle alte quote, con la loro brulla ma comunque importante vegetazione. Questi ecosistemi risentono in maniera maggiore dei cambiamenti climatici ed impegnarsi per restaurare, dove possibile, la flora autoctona vuol dire creare barriere di resistenza all’inquinamento.
Diverse iniziative sono nate in Unione Europea, anche grazie alla direttiva Habitat (Direttiva n.92/43/CEE), dedicata proprio alla conservazione delle aree naturali e seminaturali. Tra quest’ultime si inseriscono alcuni tipi di prati: i prati seminaturali. Questo tipo di prato richiede comunque un intervento umano, poco invasivo, che spesso si limita alla falciatura e alla conservazione. La pratica, diffusa nel medioevo, è oggi quasi scomparsa, ma alcuni agronomi in varie zone d’Europa, si stanno adoperando per riscoprire l’arte della cura di queste zone. Non solo dunque prati urbani e cura degli argini o dei confini nei campi di pianura, ma la riscoperta di una floricoltura autoctona interessa anche le catene montuose. In Danimarca e in Germania anche il governo ha manifestato interesse e finanziato progetti di questo tipo, per introiti che nel paese tedesco si aggirano sui 12 milioni di euro, con oltre 1000 ettari interessati, mentre i numeri sono destinati a salire. Le regioni del nord Italia però non sembrano immuni da queste iniziative e anche in Trentino-Alto Adige stanno nascendo piccoli progetti locali che sembrano promettere un notevole sviluppo della sensibilità verso la biodiversità. Sebbene ancora nel territorio della regione non sia possibile acquistare sementi autoctone in negozi di prodotti agricoli, ci si è concentrati sullo studio e sulla raccolta di semi da prati limitrofi a quelli da rinverdire. Si raccolgono quindi sementi locali con le quali colonizzare altri prati montani, così da permettere la rinascita di biodiversità di specie tipiche. Questi interventi non riguardano solo grandi estensioni montane, ma possono essere applicati anche a territori in cui l’uomo è intervenuto in maniera massiccia, come i limiti delle piste da sci, le scarpate autostradali o gli argini dei ruscelli.
E proprio a Bolzano è nato il progetto Local Flora Seed, che si occupa di restaurare territori con semi autoctoni, raccolti in zona idonee per poi essere riutilizzati senza pericolo d’inquinamento della flora tipica. Nonostante la recente realizzazione il processo ha riscosso successo e inizia ad interessante anche realtà più circoscritte, come i masi di montagna, per i quali i proprietari decidono di optare per il restauro floristico anche in appezzamenti più piccoli. La provincia di Bolzano ha inoltre deciso di contribuire alla salvaguardia del territorio montano, mediante incentivi per coloro che lasciano una parte delle coltivazioni a prato magro, cioè prato arato, ma poco o per nulla concimato. Un’altra curiosa ed interessante iniziativa è nata in Val di Fiemme, ad opera dell’assessora di Cavalese, Beatrice Calamari, che insieme all’artista Marco Nones, ha deciso di aprire a Pampeago/Obereggen il parco artistico RespirArt, nel quale arte e natura si fondono in un percorso dedicato alla biodiversità. Nel parco infatti è possibile rilasciare dalla seggiovia Agnello, ribattezzata per l’occasione seminovia, una manciata di semi raccolti dal fieno della Val di Fiemme, per arricchire i prati di fiorume locale. RespirArt offre inoltre visite guidate e laboratori, insieme a spettacoli e concerti. Riscoprire sementi locali infatti ha un’importanza strategica non solo nella lotta al cambiamento climatico, ma fornisce una notevole diversità paesaggistica, che attira turisti e visitatori. Sempre di più la sensibilità verso questi temi sembra crescere e molte persone dimostrano interesse e attenzione alla natura anche nei loro piccoli giardini. La sfida del futuro è proprio la necessità di coniugare attività produttive e rispetto per l’ambiente e farne crescere la consapevolezza attraverso la bellezza è un modo efficace per provare a salvare il mondo.