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Centri antiviolenza, Alto Adige promosso

Bolzano vanta 4 dei 5 centri regionali (Trento solo uno), ma manca la valutazione del rischio di recidiva. In Italia aumenta il numero di donne che chiedono tutela.
violenza, donne
Foto: Pixabay

Aumenta in Italia il numero di donne che si sono rivolte ai Cav, i centri antiviolenza, diffusi sul territorio nazionale. Sono state 49.394 nel 2018, 17,2 ogni 10.000, con un incremento rispetto al 2017 del 13,6%, mentre coloro che hanno avviato un percorso di uscita dalla violenza risultano 30.056. Riguardo alle strutture, ammontano a 302 i centri antiviolenza segnalati dalle Regioni e Province autonome al 31 dicembre 2018 in Italia, secondo l’intesa siglata nel 2014 sull’argomento. Di questi, 5 si trovano in Trentino Alto Adige, regione al secondo posto in Italia dopo il Molise. Tuttavia, mentre Bolzano è ampiamente sopra la media nazionale, con 4 Cav, Trento è ampiamente al di sotto (una sola struttura). Il quadro emerge dall’indagine condotta dall’Istat sui centri antiviolenza nel 2019.

 

Centri e case rifugio

 

L’accordo tra Stato, Regioni e Province Autonome sottoscritto in Italia nel 2014, ricorda l’Istituto nazionale di statistica, stabilisce che i centri antiviolenza sono “strutture in cui sono accolte - a titolo gratuito - le donne di tutte le età - e i loro figli minorenni - vittime di violenza, indipendentemente dal luogo di residenza”. Solitamente, sono gestiti da soggetti di diritto privato e finanziati in gran parte - ma non solo - con fondi pubblici. Le operatrici che vi lavorano sono 4.494, di cui 2.002 retribuite e 2.492 impegnate esclusivamente in forma volontaria (55,5%). I Cav costituiscono il fulcro della rete territoriale della presa in carico della vittima di violenza. Molteplici i servizi offerti. I più frequenti sono quelli di ascolto e accoglienza, di orientamento e accompagnamento ad altri servizi della rete territoriale (96,5%), supporto legale (93,8%), supporto e consulenza psicologica (92,2%), sostegno all’autonomia (87,5%), percorso di allontanamento (84,0%) e orientamento lavorativo (80,5%).

A fianco dei centri figurano le case rifugio, “strutture dedicate, a indirizzo segreto, che forniscono alloggio sicuro alle donne che subiscono violenza e ai loro bambini a titolo gratuito, con l’obiettivo di proteggere le donne e i loro figli e di salvaguardarne l’incolumità fisica e psichica”.

 

Offerta in lieve aumento

 

Sui 302 centri attivi al 31 dicembre 2018, rispondenti ai requisiti dell’intesa, 30 sono stati aperti nel 2018. A questi si aggiungono circa cento presidi che ancora non rientrano nella categoria. La crescita maggiore di Cav si riscontra in Molise (+67%, due in più), Lazio (+53%, otto in più), Lombardia (+33%, 16 in più), mentre una riduzione si osserva in Sicilia (-20%, tre Centri in meno) e in Campania (-10%, cinque in meno).

 

 

50mila donne accolte nel 2018

 

Come detto, le donne che si sono rivolte ai Cav sono 49.394 nel 2018, il 13,6% in più dell’anno precedente, pari a 17,2 ogni 10mila donne (15,5 per 10mila nel 2017). L’aumento è dovuto all’ingresso di nuovi centri e alla nuova utenza. Ogni struttura ha accolto in media 207 donne.

La variabilità territoriale è elevata: da una copertura di 19,9 per 10mila donne nel Nord-est, a 19,7 nel Centro, a 8,9 nel Sud. I livelli di accoglienza più elevati, superiori a 21 per 10mila donne, si riscontrano in Friuli Venezia Giulia, Abruzzo, Sardegna, Toscana, Liguria, Provincia di Bolzano, Lazio.

Delle donne che hanno contattato il centro nel 2018, il 38,6% (30.056, pari a 9,7 per 10mila donne) ha avviato un percorso di uscita dalla violenza; di queste, 19.071 hanno iniziato il percorso nel 2018 (pari al 63,5%, con un incremento dell’1,3% rispetto al 2017).

Riguardo ai figli, ne ha il 63% delle donne che hanno iniziato il percorso di allontanamento dalla violenza, minorenni nel 67,7% dei casi. Le donne straniere costituiscono il 28% delle utenti prese in carico dai centri. Quote più elevate si rilevano in Valle d’Aosta (40%), nella Provincia autonoma di Bolzano (38,9%), in Emilia Romagna (37,7%) e Liguria (36,7%).

Nel 2018 i servizi territoriali (servizio sociale, forze dell’ordine, consultori familiari, pronto soccorso, Sert, consulenza legale, altro Cav) hanno inviato ai centri 8.483 donne che hanno poi avviato un cammino di uscita dalla violenza (28,2%). A livello regionale emergono differenze più marcate, si va dal 73,1% del Piemonte al 15,7% dell’Umbria, a circa il 25% della Liguria e della provincia di Bolzano, al 28,7% della Sardegna.

 

Il nodo del rischio recidiva

 

Fra le altre attività dei centri, continua l’istituto, vi è anche la valutazione del rischio di recidiva della violenza, che permette una corretta e personalizzata presa in carico delle vittime, in modo da individuare l’intervento più efficace sia sulla vittima stessa sia sull’uomo maltrattante”. L’84% dei centri secondo la ricerca basata sul 2019 effettua questo tipo di valutazione, con delle differenze a livello territoriale. In Liguria, Lombardia, Provincia autonoma di Trento, Friuli Venezia-Giulia, Umbria e Basilicata tutti i Cav svolgono la valutazione del rischio mentre nella Provincia autonoma di Bolzano e in Valle d’Aosta questa attività è completamente assente.

Infine, soltanto il 50% dei centri, riporta l’Istat, ha attivato una linea telefonica dedicata agli operatori della rete territoriale (forze dell’ordine, pronto soccorso, assistenti sociali, operatori delle case rifugio, eccetera). Questa linea telefonica non è stata attivata in Valle d’Aosta, nelle Province autonome di Trento e Bolzano, nelle Marche, in Molise e Basilicata.