15 anni di Family Audit
“Amare il proprio lavoro costituisce la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra”.
Quando Primo Levi scrisse questa frase in “La Chiave a Stella”, non mancarono le polemiche. Era il 1978 e la contestazione nelle fabbriche contro il lavoro che schiacciava l’uomo nella catena di montaggio era ancora accesa. Eppure, con il passare degli anni, in molti si resero conto che una simile affermazione prendeva in realtà le difese proprio del lavoratore. Se ne resero conto, per prime, le aziende “illuminate”: avere dei collaboratori felici di ciò che facevano significava, alla fin fine, ottenere due risultati che logiche miopi avevano tenuto contrapposti, ossia il benessere dei lavoratori e una produttività più alta. Nonostante oggi si tenti di superare lo schema che vede nella donna la sola responsabile dell’accudimento dei figli piccoli distribuendo i carichi tra mamma e papà, è chiaro che per una donna è più facile amare il proprio lavoro se c’è attenzione verso le delicate fasi della maternità e del rientro in ufficio.
La legislazione europea e poi quella italiana hanno cominciato a orientarsi a questo approccio a partire dagli anni Novanta. Tra le iniziative che si muovono in questa direzione c’è il Family Audit, un processo che individua in maniera continuativa iniziative e provvedimenti utili ad armonizzare i tempi della vita famigliare con quelli della vita lavorativa. Elaborato in Germania nel 1995, è stato introdotto in via sperimentale in Alto Adige nel 2005 e di qui è passato in Trentino nel 2007. La Provincia lo ha proposto come progetto pilota, chiamando enti pubblici e aziende private ad aderirvi. Nel 2010 la valenza dell’iniziativa fu riconosciuta a livello nazionale, tanto che venne siglato un protocollo con il Ministero competente per il trasferimento a tutta Italia dello standard Family Audit. Una delle prime Società che ha risposto affermativamente all’appello della Provincia fu, ancora sul finire del 2007, proprio Autostrada del Brennero. La Società era infatti consapevole, nonostante l’impegno e le implicazioni organizzative che questa scelta avrebbe comportato, della bontà del progetto e dei risvolti positivi che questo avrebbe avuto non solo sull’azienda ma anche per la società intera.
A oggi sono 370 le aziende in tutta Italia che hanno conseguito questo certificato, di cui 203 trentine. A22 lo ha ottenuto tra le prime quindi a livello nazionale e spegne oggi 15 candeline dal giorno in cui decise di intraprendere quella strada che oggi è determinata a continuare a percorrere. Sono stati così ad esempio nel tempo introdotti orari flessibili, smart working per chi è in maternità, la banca ore, campus estivi per i figli dei lavoratori a prezzi agevolati, una fermata del servizio di trasporto urbano nelle vicinanze della sede di Trento e valorizzati gli strumenti del part-time. È stata anche introdotta la figura del Referente Family Audit che, supportato dal gruppo interno di lavoro, cura il monitoraggio delle iniziative proposte in azienda, la raccolta delle richieste e la rilevazione dei fabbisogni. Lavorare otto ore al giorno significa del resto lasciare i propri figli alle babysitter o al nido o ai nonni. Significa fare i salti mortali per riuscire a seguire i bimbi che crescono nelle varie attività, sportive o ricreative. A cui vanno aggiunte magari la cura di genitori anziani e le normali incombenze quotidiane, dalla spesa alla gestione della casa. Riuscire a rispondere a queste difficoltà era e resta uno degli obiettivi della certificazione. E i numeri rivelano che il processo funziona: quindici anni fa, su un totale di poco meno di 1.000 dipendenti, le donne erano 127. Al netto delle oscillazioni annuali nel tempo la loro quota è andata sempre aumentando. Nel 2021 infatti, su un totale sostanzialmente invariato, erano 160 e nel passaggio dal 2020 al 2021 le assunzioni di donne rispetto al totale sono passate dal 15% al 25 %. E questo nonostante la natura delle attività svolte dal Gruppo comporti uno sbilanciamento verso i dipendenti di genere maschile.