Gesellschaft | Dietrologie

Storia del referendum

Quanti sono stati i referendum in Italia dal 1946 a oggi? Quali sono le tipologie principali? Cosa succede dopo l'esito di una votazione? Una panoramica.

Prosegue, a Bolzano, la “processione” verso le urne che a breve (il 4 aprile si chiuderanno i seggi) svelerà da che parte soffia il vento dell’opinione pubblica in merito al progetto Benko. Nel frattempo a livello nazionale il 17 aprile si voterà per il referendum sulle trivelle, una questione che negli ultimi giorni sta facendo discutere dal momento che il Pd ha deciso di schierarsi per l’astensione, una presa di posizione che ha fatto insorgere la minoranza dem: “Il Pd è simbolo di partecipazione democratica e di assunzione di responsabilità, l’astensione è la negazione di questi principi”, ha scritto su Facebook il deputato Roberto Speranza che guida Sinistra riformista.
Nel diritto costituzionale le consultazioni popolari hanno carattere prettamente politico e regolano fra le altre cose il referendum, abrogativo o consultivo, regolato dalla costituzione e dalla legge elettorale o da legge referendaria. Quello sulle trivelle è il 67° referendum abrogativo della storia repubblicana, per la prima volta è richiesto dalle regioni (il quesito è promosso dai consigli regionali di Basilicata, Calabria, Campania, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Sardegna e Veneto) e riguarda le attività di ricerca ed estrazione di idrocarburi in mare entro le 12 miglia marine dalla costa italiana fino all’esaurimento della vita utile dei rispettivi giacimenti.

Un po’ di storia

In Italia il referendum, che non era contemplato dallo Statuto albertino, si tenne per la prima volta il 2 giugno 1946 quando i cittadini furono chiamati a scegliere fra monarchia e repubblica. Da quel momento in poi tale strumento di partecipazione diretta dei cittadini alla democrazia si è evoluto attraversando diverse fasi. Nell’ordinamento italiano sono previsti diversi tipi di referendum, i principali sono quello abrogativo e quello costituzionale.

  • Il referendum abrogativo: costituisce la tipologia più comune, può essere proposto da 500mila elettori o da almeno 5 consigli regionali per abrogare, totalmente o parzialmente una legge “o un atto avente valore di legge”. Per considerare valido l’effetto del referendum è necessario raggiungere il quorum (deve cioè aver partecipato al voto la maggioranza degli aventi diritto).
  • Il referendum costituzionale: potrebbe coinvolgere i cittadini italiani dopo l’approvazione della riforma Boschi. Qualora venisse approvato un disegno di legge di natura costituzionale entro tre mesi dalla pubblicazione, un quinto dei membri di una delle due camere o 500mila elettori o 5 consigli regionali posso richiedere un referendum popolare. Finora due sono stati i referendum costituzionali in Italia: uno nel 2001 per la modifica al titolo V della parte seconda della Costituzione (approvato), e uno nel 2006 per l’approvazione della legge di modifica alla parte seconda della Costituzione (non approvato).

Accanto a queste due “varianti” principali si aggiungono le eccezioni del già citato referendum del 1946 e quello consultivo del 1989 per il conferimento del mandato costituente al parlamento europeo, reso possibile da una legge costituzionale ad hoc.

70 anni di referendum

I cittadini italiani hanno potuto esprimere la loro 70 volte dal 1946 ad oggi, secondo la fotografia di Openpolis la media è di 1 referendum all’anno. Il primo quesito di tipo abrogativo c’è stato nel 1974 quando gli italiani dissero “no” all’abrogazione sul divorzio, confermando quindi l’esistenza dell’istituto introdotto in Italia nel 1970 con la legge Fortuna-Baslini. Con un’affluenza superiore all’87% vinse il fronte del no con il 59,30% dei voti.
Negli anni ’90 si sono tenuti ben 32 referendum abrogativi, di questi il 34% non ha superato la soglia di validità richiesta. Numerosi sono stati i quesiti anche negli anni 2000, 16 in tutto, ma nessuno ha raggiunto il quorum. Quattro sono stati invece i quesiti nel giugno del 2011, in questo caso tutti hanno raggiunto il quorum registrando la vittoria del sì. Bassa è stata l’affluenza (di poco superiore al 54%) ma con una percentuale di consensi favorevoli oltre il 94%. Nel complesso il 40,91% dei 66 quesiti abrogativi non ha raggiunto il quorum necessario. Di quelli risultati validi, il 58,97% ha avuto esito positivo (vittoria del sì), e il restante 41,03% esito negativo (vittoria del no).

Il business dei referendum

Oltre a sancire la validità dell’esito del voto il quorum è importante perché sblocca i rimborsi da parte dello Stato per i comitati promotori, ai quali, in caso di quesito dichiarato ammissibile e quorum raggiunto, viene riconosciuto un rimborso pari a 1 euro per ogni firma valida raccolta. Una forma di finanziamento pubblico che da un lato risarcisce i comitati civici che si attivano per proporre un referendum, dall’altro rimborsa anche quei partiti politici che hanno fatto di questo strumento un loro cavallo di battaglia.

Il giorno dopo

Cosa deve accadere per rispettare l’esito del voto è una questione sancita dalla legge 352 del 1970. Se il risultato della consultazione dà parare negativo, dice l’articolo 38, non potranno essere proposti referendum per l’abrogazione della stessa legge per un periodo di 5 anni. In caso contrario, secondo l’articolo 37, il presidente della Repubblica deve dichiarare l’avvenuta abrogazione della legge tramite decreto pubblicato in gazzetta ufficiale. Tale abrogazione ha valore dal giorno successivo alla pubblicazione del decreto. Parlamento e governo non possono modificare quanto deciso dagli elettori, a meno che non si verifichino dei cambiamenti strutturali del quadro politico, o del contesto generale; una definizione ambigua e aperta a infinite interpretazioni, e che rende possibili le eccezioni. Esemplificativo, in questo senso, il referendum del 1993 per l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, di fatto poi reintrodotto lo stesso anno dal parlamento sotto forma di rimborso elettorale. Analizzando la situazione nella sua totalità il fatto che il 40% dei referendum abrogativi non abbia raggiunto il quorum spiega a dovere le difficoltà che ci sono state in questi anni dovute, ad esempio, all’abuso dello strumento (32 quesiti referendari nei soli anni ’90), ai problemi di comprensibilità degli stessi, passando per i tentativi da parte della classe politica di “neutralizzare” in vario modo i possibili effetti dei risultati elettorali.