Film | SALTO weekend

Macerie di uno scandalo

Ovvero: traumi, cicatrici ed epifanie post-datate di un lungo autoinganno. Perché May December di Todd Haynes è il film che dovete vedere.
May December
Foto: Screenshot
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    May December di Todd Haynes è giustamente uno dei titoli che più si attendevano in sala perché è un film di Todd Haynes. È il racconto disturbante di ciò che accade quando le persone si rifiutano di dire la verità, delle spinose conseguenze di un trauma e del modo in cui la società sceglie di capitalizzare quel trauma.


    Cos’è

    Elizabeth Berry (Natalie Portman) è una star della tv che, con l’obiettivo di fare ricerche sul prossimo ruolo che dovrà interpretare, si reca a Savannah, in Georgia, per far visita alla coppia su cui è incentrato il biopic: Gracie Atherton-Yoo (Julianne Moore) e Joe (Charles Melton) i quali, 24 anni prima, hanno affrontato uno scandalo - e il carcere per Gracie - a causa della loro relazione, iniziata quando la donna aveva 36 anni e il futuro marito 13. Sebbene i due abbiano trascorso anni fingendo che tutto andasse bene, bloccati in una triste illusione, l’arrivo – o meglio l’intrusione – dell’attrice sconvolgerà lo status quo aprendo le crepe già esistenti del loro difficile rapporto.

  • (c) Rotten Tomatoes

  • Com’è

    May December è un cupo e sardonico character study a tre voci. La stella polare, per Haynes, sono i melodrammi di Douglas Sirk – la forma, l’estetica, i tormenti psicosessuali (Carol e Far From Heaven ne sono l’esempio più lampante). In questo caso il regista statunitense mantiene la struttura sirkiana ed elimina il colore sontuoso e artificioso – ma di enorme impatto – del suo catalogo precedente preferendo invece le atmosfere di un suo “vecchio” film, Safe, datato 1995.

    May December è un’opera provocatoria e ambigua, piena di scene scomode e simbolismi, una bomba a orologeria. Ci sono specchi, Doppelgänger e lacrime. La sequenza d’apertura, meticolosamente coreografata, imposta il tono dell’intero film: l’orrore nella quotidianità, il vuoto nel rituale. Joe vive all’ombra della moglie finora sostenuto da una comprensibile sprovvedutezza infantile incarnata perfettamente dalla sua fisicità e dal linguaggio del corpo, uno che sta vivendo una crisi di mezz’età a 36 anni; mentre Gracie, dominante e controllante, crede di non aver fatto nulla di male e che la loro sia solo una storia d’amore contrastata. Elizabeth, venuta a osservare con distaccato cinismo i fenomeni da baraccone nel loro spettacolo, rappresenta lo sfruttamento hollywoodiano della vita vera.

    Il film è interessato a esplorare le sue dimensioni etiche, ruotando intorno al rapporto conflittuale eppure apparentemente cordiale fra due donne manipolatrici in un braccio di ferro emotivo: una che vuole scoprire e sapere cosa sia successo 20 anni prima, sezionando ogni centimetro dell’esistenza della sua “cavia”, e l’altra che non vuole rivelare tutto, insistendo perché emerga la sua versione dei fatti. È un lavoro potente e stratificato quello di Julianne Moore e Natalie Portman, mentre il nucleo emotivo del film è la performance di Charles Melton che interpreta il graduale risveglio di un uomo che realizza di essere stato in balia di cose con cui ancora non riesce a fare i conti. 

    Manca la fiammata dei lavori precedenti di Haynes ma è l’immersione nella zona grigia della morale che fa di May December un’opera da bacio accademico – è un film che non ha risposte e che si espande più ci si pensa.