Facciamo un passo indietro.
A Odessa, nel 2013, filoucraini (tanti) e filorussi (pochi) convivono pacificamente. Quest'ultimi hanno eretto quattro tende militari davanti alla Casa del Sindacato (famigerata poi per il rogo dove moriranno più di 40 persone).
Ci passo davanti ogni giorno per andare al lavoro. Ogni tanto mi fermo a leggere i cartelloni che spiegano i loro motivi. Sono perlopiù veterani ed ex sovietici. Ma davanti alle tende stazionano anche giovani attorno ai vent'anni. Qualche volta mi offrono un tè. C'è sempre un fuoco acceso e qualcuno che spignatta.
In città, conosciuta per la sua cultura cosmopolita e la tolleranza interetnica, la situazione è assolutamente pacifica
Il fine settimana, filorussi e filoucraini, organizzano dei cortei che attraversano il centro e finiscono davanti alla scalinata che dà sul mar Nero. Famosa per il film La corazzata Potëmkin e progettata da un architetto italiano, anzi sardo (siamo all'inizio dell'Ottocento), Francesco Boffo, che in quegli anni disegna mezza Odessa.
In città, conosciuta per la sua cultura cosmopolita e la tolleranza interetnica, la situazione è assolutamente pacifica.
Un giorno c'è una vecchietta che vuole attraversare la strada. Le chiedo in russo se ha bisogno di aiuto. Sente il mio accento. Non mi chiede se sono straniero. Dice: “Vy odessit?”, “Lei è odessita?”.
La popolazione di questa città è in grandissima parte russofona. Si scrive e si parla in questa lingua dappertutto. Bar, ristoranti, negozi, teatri...Ci sono tre eccezioni che mi saltano all'occhio e di cui parleremo nella prossima puntata: solo in ucraino sono i documenti ufficiali, i film e i foglietti illustrativi dei medicinali.
I miei figli frequentano un asilo che si chiama Pinocchio. Si parla in russo, così come nelle scuole primarie 119 e Kostandi che frequentano rispettivamente per i tre e quattro anni successivi.
All'università dove insegno in quel periodo, l'università Mechnikov, le lezioni si svolgono in lingua russa.
Poi la situazione cambia. Siamo nel novembre del 2013. Il presidente Janukovich, che da mesi prepara un avvicinamento all'Europa sotto forma di trattato commerciale, cambia idea. Torna a rivolgersi alla Russia, che lo sostiene. Janukovich è originario del Donbass. Durante i suoi mandati ha accumulato, per sé e per la sua famiglia, ricchezze da favola.
Ed è in questo momento che al Cremlino l'idea di “liberare” la Crimea diventa un progetto concreto
Buona parte degli ucraini, soprattutto occidentali, è furiosa. Inizia il cosiddetto Maidan. La protesta di piazza, che, nei fine settimana, si svolge a Kiev. Partono convogli da tutta l'Ucraina. Anche da Odessa. Automobili, autobus, treni. Ci sono occupazioni di palazzi, cortei, roghi in edifici pubblici.
Durante la settimana a Odessa non si parla d'altro. Del prossimo week end, di chi ci andrà, di cosa succederà.
Fino al tragico epilogo del 20 febbraio, quando le forze speciali dei Berkut sparano sulla folla. 70 morti tra i manifestanti e 16 tra i militari.
Janukovich fugge. Prima nel Donbass, poi in Russia.
Ed è in questo momento che al Cremlino l'idea di “liberare” la Crimea diventa un progetto concreto.
(continua)