Segnalo un'intervista pubblicata ieri dal settimanale “ff”. L'ha fatta Georg Mair ad Aldo Mazza, un Sommergespräch (ma qui siamo già in odore di autunno, la scuola ha riaperto le porte agli insegnanti e la prossima settimana lo farà per gli studenti) intitolato “Costruire una casa comune”. Ne voglio parlare perché condivido in toto le dichiarazioni di Mazza e mi piacerebbe non restassero lettera morta. Temo che, invece, lo resteranno. Alla fine tenterò di spiegare perché.
L'indifferenza non è già il massimo che possiamo raggiungere?
Il pezzo di Mair ha un antefatto. Qualche mese fa Mazza ha disdetto l'abbonamento a “ff” per segnalare il suo disappunto. A suo dire il settimanale – che dovrebbe essere espressione di un Alto Adige/Südtirol intellettuale, aperto e inclusivo – difetta quasi totalmente di stereofonia: invece che rappresentare una terra multiculturale, interpellando e rappresentando tutte le sue voci, anche il suo target, ormai, è quasi esclusivamente concentrato sul mondo tedesco. “Gli italiani e i tedeschi vivono gli uni accanto agli altri – afferma a un certo punto il padre della scuola e della casa editrice alphabeta –, come se non si conoscessero”. Ma se neppure gli organi di stampa più avveduti e le agenzie culturali che dovrebbero favorire il dialogo e l'integrazione cercano di combattere tale tendenza, e anzi si arrendono all'indifferenza dominante, ecco allora che potrebbe profilarsi il rischio di una alienazione reciproca molto profonda, tanto da minare la stessa base della nostra convivenza. Ora, ha ragione Mazza a pensarla così? E come si è difeso da tale accusa il caporedattore di “ff” che l'ha intervistato? Una domanda di Mair (che quindi deve restare tale, non sto cercando di camuffarla da risposta) ci porta dritti al punto: “Ich frage mich, ist die Gleichgültigkeit nicht das Maximum, was wir erreichen können? [Mi chiedo: ma non è che l'indifferenza è il massimo che noi possiamo raggiungere?]”
Perché faticare a comprendere l'altro se dobbiamo lucidare le nostre bolle?
È del tutto evidente che se davvero fosse così, se sul serio il massimo che possiamo raccogliere dopo 100 anni di annessione forzata (ma anche dopo cinquant'anni di autonomia sbandierata) è una tiepida indifferenza, le preoccupazioni di Mazza dovrebbero destare parecchio allarme. Invece, da questo punto di vista, domina il silenzio. Il tema della convivenza (o per meglio dire: della qualità della convivenza) ha ormai solo la capacità di attirare qualche sbadiglio e chi lo solleva può essere colto dal dubbio di appartenere a una preistoria in cui ci si poteva ancora illudere che uno slogan quale “Costruiamo un Sudtirolo indiviso!” prospettasse un orizzonte desiderabile. In fondo, se cogliamo il mormorio circostante, non è forse vero che i problemi oggi sono ben altri, che la frammentazione, il ritrarsi ognuno nel proprio cantuccio almeno ci impedisce di pestarci i piedi, e che – soprattutto – alla fatica di doversi confrontare con l'altro, di praticarne la lingua e apprezzarne la cultura, è di gran lunga preferibile la lucidatura delle nostre bolle rese impermeabili a tutto ciò che non ci somiglia?
L'intervista di Mazza? La leggeranno solo i moribondi
Personalmente – spiego così il timore al quale mi riferivo in apertura – anch'io ritengo, al pari di Mazza, che nel Sudtirolo attuale il benessere raggiunto ci abbia impigriti a tal punto da non farci più desiderare, persino percepire qualcosa di meglio, ma sono quasi arrivato alla conclusione (rassegnata ed estrema) che ciò che un tempo ci sembrava sul serio desiderabile, ciò che ci appariva un obiettivo per il quale impegnarci, lo sia rimasto per una minoranza moribonda di “rompicoglioni” o di “sfigati” che potrebbero tranquillamente vedersi tra loro – e non al “bar” evocato da Magnago, tutto sommato ancora un luogo mondano e vivace, quanto piuttosto in una biblioteca disabitata – senza rovinare la festa dell'indifferenza agli altri, cioè a quelli, moltissimi, che vivono tranquillamente come hanno sempre fatto, e non hanno alcuna ragione per mutare di una virgola il proprio comportamento, la propria visione delle cose. Insomma, secondo me la bellissima intervista di Mazza resterà lettera morta perché la leggeranno, e la capiranno, solo i pochissimi che, come il sottoscritto, sono già ampiamente moribondi.
P.S. Su questa testata, nei prossimi giorni, comparirà una nuova intervista ad Aldo Mazza, incentrata maggiormente sui temi della scuola e dell'apprendimento linguistico.