Ingo Schulze a Bolzano
Ingo Schulze è un intellettuale che, in altri tempi, avremmo definito “scomodo”. Come ricorda Stefano Zangrando, che ha tradotto in italiano alcuni suoi testi, nel 2013, a ridosso delle elezioni federali, Schulze dichiarò che avrebbe votato Linke, cioè un partito vicino ai suoi “avversari di un tempo” (Schulze è originario dell’ex DDR). E nel suo recente pamphlet "I nostri bei vestiti nuovi" (2012) non ha lesinato critiche alla Germania di Frau Merkel, opponendo all’idea di una “democrazia conforme al mercato” (a suo modo di vedere più ingiusta dello “stato di non diritto” realizzato nella Repubblica Democratica Tedesca) l’esigenza di evolvere “mercati conformi alla democrazia”. Abbiamo chiesto a Stefano Zangrando di parlarci di Schulze in attesa di poterlo ascoltare dal vivo.
Salto.bz: Stefano Zangrando, perché uno scrittore come Ingo Schulze è stato invitato a partecipare a una rassegna dedicata alla relazione tra bellezza e salvezza del mondo?
Stefano Zangrando: Il titolo dostoevskijano dell'intero ciclo di incontri, che di recente ha ospitato Zigmunt Bauman e Agnes Heller, è un'idea del Centro Pace di Bolzano - più precisamente del suo coordinatore Francesco Comina. Il quale, credo, è entrato in contatto con Ingo Schulze innanzitutto grazie a un loro comune interesse per lo scrittore ebreo tedesco Ludwig Greve. Io non feci altro che mediare un incontro fra i due l'anno scorso a Berlino, poiché Francesco sapeva che di Schulze sono amico e ho tradotto i libri più recenti. Da questo punto di vista l'invito a Bolzano è tutt'altro che causale; cade anzi molto a proposito, direi, visto che Schulze è tra i pochi artisti del ciclo e può quindi esprimersi sul tema della bellezza con una competenza da "specialista".
E' possibile racchiudere in poche parole il nucleo della poetica di Schulze e definire la sua collocazione all'interno della letteratura tedesca contemporanea?
Schulze si è dichiarato più volte allievo di Alfred Döblin, l'autore del celebre "Berlin Alexanderplatz", nonché di altre opere molto diverse l'una dall'altra. Come il suo maestro, Schulze afferma di aver sempre cercato non tanto la propria voce inconfondibile, ma di volta in volta lo stile adatto alla materia: ispirato agli autori russi nel suo libro d'esordio, minimalista in "Semplici storie", e così via. In tal senso si potrebbe dire che la poetica di Schulze è pluralista, ma mi rendo conto che una definizione così fa storcere la bocca ai critici di professione. Di certo quella di Schulze è una scrittura che si confronta con la propria epoca e con il passato, interrogandosi di continuo su come abbia senso scrivere oggi e sulla declinazione attuale delle questioni umane di sempre. Anche per questo, credo che oltre a rappresentare una delle voci più consapevoli e durature della letteratura tedesca contemporanea, Schulze sia perfettamente collocabile in un orizzonte sovranazionale accanto ad autori come Esterhazy, Bolaño e Ugresic.
In che lingua si svolgerà l’incontro di domani? Lei ritiene che una "poetica pluralista", come l'ha appena definita, possa essere recepita meglio in un ambiente "plurilinguistico" com’è il nostro?
Domani Schulze parlerà in tedesco e io in italiano, e gli interpreti tradurranno in cuffia per chiunque ne abbia bisogno o voglia. Alla seconda domanda rispondo: assolutamente sì. Se si ritiene, come lo stesso Schulze, che la letteratura non debba offrire solo una rappresentazione della realtà ma anche un progetto alternativo all'esistente, capace di forza critica e immaginativa, credo che una poetica di questo tipo, capace di declinarsi in autentica polifonia o molteplicità stilistica, sia oltremodo auspicabile. Tuttavia, non si tratterebbe tanto di tradurre in forma letteraria una pluralità di fatto, e non solo linguistica, ma di assumerne e svelarne le criticità, le inibizioni, i ritardi, le debolezze, le false pretese. Un’impresa ovviamente poi difficile da mettere in pratica.
Certo che l'intervento del pubblico
è stato infame, ridicolo e ignorante