Il plurilinguismo è la normalità
Nel 2012 Katrin Wisniewski, Chiara Vettori e Andrea Abel – le ultime due ricercatrici presso l’Eurac di Bolzano – pubblicarono un libro nel quale si cercava di capire in quale misura gli studenti altoatesini conoscono la seconda lingua, quali sono i fattori che ne influenzano motivazione e apprendimento, nonché, più in generale, come sia strutturato, anche dal punto di vista psicosociale, il particolare contesto nel quale un tale apprendimento effettivamente si sviluppa (“Gli studenti altoatesini e la seconda lingua: indagine linguistica e psicosociale./Die Südtiroler SchülerInnen und die Zweitsprache: eine linguistische und sozialpsychologische Untersuchung. 2 volumi/ 2 Bände. Bolzano - Bozen: Eurac”). Adesso la ricerca è consultabile gratuitamente anche online [QUI]. Un’occasione per rivolgere ad Andrea Abel alcune domande su temi di costante attualità.
Andrea Abel, recentemente la giunta provinciale ha deciso di privilegiare e potenziare la soluzione offerta dai Centri linguistici, piuttosto che puntare su un apprendimento extrascolastico delle lingue da parte dei bambini con retroterra migratorio. Come giudica il dibattito che ha preceduto questa decisione?
Andrea Abel: Beh, non mi pare si sia trattato di un vero e proprio dibattito, almeno non nel senso di una discussione approfondita sul piano dei contenuti così come sarebbe stato invece necessario, per esempio coinvolgendo esperti di linguistica o di didattica.
La presenza sempre più sensibile di questi bambini nelle scuole dell'Alto Adige/Südtirol pone in questione il modello scolastico locale?
Si tratta di una sfida, ma non solo per il sistema scolastico locale. È qualcosa che riguarda anche molti altri contesti. Il nostro approccio educativo – come del resto anche quello di altri paesi come l’Austria o la Germania – è ancora orientato dal presupposto che gli studenti siano in larga maggioranza monolingui. Perciò sembra quasi che tutti gli sforzi tendano a perseguire una normalizzazione basata sull’omogeneità linguistica. In futuro questo concetto di normalità perderà peso. Il plurilinguismo dovrà acquisire un valore sempre più centrale.
Ma qui da noi il futuro è già oggi. Concretamente, com'è possibile che bambini provenienti da altri contesti culturali possano, per esempio, impadronirsi in modo equilibrato sia dell'italiano che del tedesco?
Dobbiamo partire dal presupposto che la nostra facoltà linguistica sia predisposta ad evolversi in senso plurale. Il plurilinguismo non è qualcosa che riguarda solo individui particolarmente dotati, come si pensava ancora fino a qualche anno fa. Anche gli eventuali aspetti problematici sono in larghissima parte ombreggiati da tutta una serie di vantaggi. Inoltre, è il plurilinguismo che su scala planetaria rappresenta la norma, di conseguenza il monolinguismo è l’eccezione. L’apprendimento si sviluppa molto più rapidamente, in modo più articolato e sfruttando maggiori connessioni se, oltre a una prima lingua, vengono attivati anche altri idiomi. Ma ovviamente le lingue si devono apprendere all’interno di particolari percorsi didattici, dunque in modo eminente a scuola, tenendo conto anche degli aspetti emozionali e sociali che potrebbero emarginare i gruppi svantaggiati.
Che cosa pensa della recente apertura, comunicata dalla Landesrätin Sabina Kasslatter Mur, nei confronti della metodologia Clil? Ci saranno resistenze oppure ormai si tratta di una “svolta” che la società sudtirolese accoglierà senza problemi?
Credo che questa apertura rappresenti qualcosa di “naturale”, una svolta – se di svolta vogliamo parlare – preparata in varia forma già da lungo tempo. Anche a me sembra che nella società si siano andate progressivamente riducendo le preoccupazioni relative all’introduzione di modelli di apprendimento linguistico “immersivi”, anche se ovviamente ci sarà ancora qualcuno che opporrà resistenze. In generale vedo di buon occhio la possibilità che a scuola i bambini possano usufruire della possibilità di “fare un bagno”, o almeno una “doccia”, nell’altra lingua.
Lei ritiene che la didattica Clil riesca a produrre risultati sensibilmente migliori di quelli ottenuti con una metodologia più tradizionale d'insegnamento linguistico?
Il Clil ha sicuramente grandi potenzialità, soprattutto per quanto riguarda l’accrescimento di un vocabolario specifico in più lingue. Vedremo come tale metodologia verrà recepita e se saprà motivare gli studenti. Ovviamente spero che ciò non ci faccia dimenticare una cosa importantissima, peraltro evidenziata anche dai risultati del nostro studio: una lingua si apprende praticandola anche in un contesto extrascolastico. Voglio dire: i ragazzi possono comunicare senza problemi nella seconda lingua anche parlando di un film, delle proprie esperienze, dei propri progetti? E dispongono poi di sufficienti occasioni per farlo? Nelle nostre prossime ricerche indagheremo in che modo l’apprendimento linguistico si sta modificando e quali risultati scaturiscono da tali trasformazioni. Così si potrà capire anche gli effetti della metodologia Clil sul lungo periodo.
Viel Bla Bla, Realitaet sieht anders aus...
Vor allem die italienischen Medien in Suedtirol sprechen viel von Mehrsprachigkeit, dabei wàre es schon positiv, wenn die Mehrheit der Italiener in Suedtirol ueberhaupt die Zweitsprache beherrschen wuerde. Eine Zweisprachigkeit anzustreben waere hier wohl sinnvoller als eine unrealistische Mehrsprachigkeit. Wenn italienischsprachige Verkauefer in Bozens Geschaeften (zB FOOTLOCKER) bundesdeutsche Kunden auf Englisch anstatt auf Deutsch bedienen, ist wohl der Weg zu einer Zwei- geschweige denn Mehrsprachigkeit noch sehr sehr weit :_).