“Poteva accadere anche a me”
La notte tra il 7 e l’8 gennaio, all’Ospedale Pertini di Roma, un neonato è morto nel reparto di Ostetricia e Ginecologia schiacciato dal peso della propria madre. La donna, fortemente provata dal parto, aveva chiesto ripetutamente aiuto al personale sanitario, che invece l’ha lasciata sola a badare al neonato, finendo per crollare sfinita in un sonno profondo che si è rivelato fatale.
La tragica vicenda, ora sotto al vaglio della magistratura, ha riacceso i riflettori sul tema della violenza ostetrica, un insieme di comportamenti applicati in ambito ospedaliero che vanno a compromettere la salute riproduttiva e sessuale delle donne, tra cui l’eccesso di interventi medici, la somministrazione di cure e farmaci senza consenso o in generale la mancanza di rispetto del corpo femminile e della libertà di scelta della donna su di esso.
La prima volta che si è iniziato a parlare di violenza ostetrica è stata solamente nel 2007 in Venezuela, quando la prassi è stata definita dalla “Ley Organica sobre el Derecho de las Mujeres a una Vida Libre” come: “l’'appropriazione del corpo e dei processi riproduttivi della donna da parte del personale sanitario, che si esprime in un trattamento disumano, nell’abuso di medicalizzazione e nella patologizzazione dei processi naturali, avente come conseguenza la perdita di autonomia e delle capacità di decidere liberamente del proprio corpo e della propria sessualità, impattando negativamente sulla qualità della vita della donna”.
Sette anni dopo, l'Organizzazione mondiale della sanità (Oms), in un documento intitolato “La prevenzione ed eliminazione dell’abuso e della mancanza di rispetto durante l’assistenza al parto presso le strutture ospedaliere” ha codificato tutta una serie di condotte da considerare traumatiche contro la donna al momento del parto, includendo abusi fisici e verbali, umiliazioni, procedure mediche coercitive o non autorizzate, la mancanza di riservatezza e la violazione della privacy, l’assenza di un consenso informato, il rifiuto di offrire terapie per il dolore (soprattutto l’epidurale), ma anche la trascuratezza nell’assistenza sottoponendo la donna a concreti e la “detenzione di coloro che hanno partorito e dei loro bambini nelle strutture dopo la nascita connessa all’impossibilità di pagare”. Nel documento emerge inoltre che le donne non sposate, giovani, appartenenti a contesti socio economici sfavorevoli e affette da HIV sono le più soggette ad abusi.
Stando ai risultati della ricerca portata avanti dall’Istituto Burlo Garofalo di Trieste, che ha provato a fornire un quadro rispetto alla situazione italiana, è emerso che su 4824 donne che hanno partorito da marzo 2020 a febbraio 2021 (quindi durante le fasi più acute della crisi Covid-19), sono 3.981 quelle che hanno riportato un’esperienza negativa. Il 78,4% delle intervistate non ha potuto essere assistito dal partner, il 39,2% non è stata coinvolta nelle scelte mediche, il 24,8% ha lamentato il mancato rispetto della propria dignità mentre il 12,7% ha dichiarato di aver subito veri e propri abusi.
La violenza ostetrica tuttavia non è un fenomeno eccezionale da imputare a un periodo straordinario come la pandemia. OvoItalia, l'Osservatorio sulla violenza ostetrica in Italia, già nel 2017 osservava in un’indagine che circa il 21% delle madri italiane ha subito un forma di violenza ostetrica durante il parto, mentre il 41% ha dichiarato di essere stato vittima di pratiche lesive per la propria dignità psicofisica. Si stima inoltre che sono 1,6 milioni le donne che sono state sottoposte a un intervento di episiotomia, l’incisione chirurgica del perineo, senza alcun consenso informato.
Anche Bolzano ha dimostrato che il fenomeno è piuttosto radicato. Il caso Elisa, una giovane mamma intervistata i mesi scorsi da salto.bz, è molto simile a quello che nella capitale è sfociato in tragedia “Il parto in sé non è stato particolarmente complicato, ma i giorni immediatamente successivi sono stati terribili – aveva raccontato –. Ho avuto difficoltà nell’allattamento, ma il personale ospedaliero si è dimostrato sbrigativo ed insensibile, liquidando la questione come un problema di inadeguatezza personale. In seguito al parto si sono poi verificate delle complicazioni, che mi hanno portato ad affrontare dei nuovi interventi, in un vortice di incontri con diversi ginecologi della struttura, sia uomini che donne, i quali hanno ripetutamente minimizzato il mio dolore, fino a negare la conoscenza che io stessa avevo del mio corpo, in nome di una superiorità professionale assolutamente non riscontrata. Durante l’ultimo intervento – continua la testimonianza – l’intero personale ha ignorato il mio dolore e le mie difficoltà, tanto da arrivare a perpetrare dei trattamenti senza procedere con una comunicazione adeguata [...]. Quest’esperienza mi ha profondamente traumatizzato, non solo per il dolore fisico che ho provato per mesi, ma anche per il trauma psicologico che mi è stato arrecato”.
Purtroppo continuiamo invece a raccogliere racconti di tante donne che testimoniano esperienze molto diverse, che parlano di sguardi frettolosi, gesti inappropriati, veloci consigli di routine, prescrizioni rigide o, peggio, colpevolizzazioni e giudizi di inadeguatezza come madre e trattamenti percepiti come vere e proprie violenze perché senza alcun rispetto della loro persona
L’Associazione Nazionale Il Melograno, attiva anche nel capoluogo e che svolge un servizio di accompagnamento e sostegno alle donne che si stanno preparando a diventare madri, ha preso posizione rispetto ai fatti del Pertini, ricordando tuttavia che anzichè focalizzarsi sulla ricerca morbosa di un colpevole, è necessario riportare l’attenzione sulla condizione di abbandono e solitudine delle neomamme, e non solo perché non si hanno accanto le persone che possano dare aiuti concreti: “Ciascuna donna che ha appena partorito dovrebbe completa, basata sulla comprensione piena dei suoi vissuti, sull’ascolto e sul supporto attento e rispettoso di tutti i suoi bisogni, unici e personali – sottolinea l’Associazione –. Purtroppo continuiamo invece a raccogliere racconti di tante donne che testimoniano esperienze molto diverse, che parlano di sguardi frettolosi, gesti inappropriati, veloci consigli di routine, prescrizioni rigide o, peggio, colpevolizzazioni e giudizi di inadeguatezza come madre e trattamenti percepiti come vere e proprie violenze perché senza alcun rispetto della loro persona. Anche i social già da tempo raccolgono racconti di questo tipo e oggi – aggiunge Il Melograno – sono come un fiume in piena, migliaia di donne gridano poteva accadere anche a me. Linee Guida ed Evidenze scientifiche ci sono. Ma ogni documento ufficiale rimane solo sulla carta se non si traduce in cambiamenti concreti”.
Un tema importantissimo. La
Un tema importantissimo. La gravidanza e il parto dovrebbero essere una esperienza positiva. Invece per molte donne è una delusione. Vengono trattate da malate e il parto poi per tante è traumatico.