Gesellschaft | Scuola

La scuola bilingue non è un mito

ff Das Südtiroler Wochenmagazin riporta: Rivoluzione silenziosa
Da anni i genitori iscrivono i figli alla scuola materna (e non solo, ndr) dell’altra lingua.
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Foto: Taylor Flowe on Unsplash

La massima “pedagogica” di Anton Zelger (allora assessore alla cultura e scuola tedesca), pronunciata nel 1978: “Je klarer wir uns trennen, desto besser verstehen wir uns“, “Più ci separiamo meglio ci capiamo”, ha fatto il suo tempo e i progressi della pedagogia nella scuola hanno ormai messo radici. Non sono poche le famiglie di entrambi i gruppi che vorrebbero iscrivere i propri figli ad una scuola con insegnamento bilingue secondo il modello ladino, con lingua straniera, così come richiesta nelle varie mozioni presentate in provincia e puntualmente bocciate. L’ultima mozione è stata presentata in sede di Consiglio Comunale a Merano ed è stata approvata all’unanimità. Una vittoria per chi l’ha fortemente voluta, un’inaspettata speranza per chi non ci credeva più. Nelle settimane seguenti altri articoli riportavano la volontà politica di realizzare questa istituzione. Sembrava ormai fatta. Ma mai dire gatto se non ce l’hai nel sacco. Infatti ecco che dopo poco più di un mese il quotidiano Alto Adige titola “Proporz e scuola bilingue - Il doppio “no” di Arno.” Ed è bastato per far cadere le braccia. Non so quale sia la personale intima convinzione di Arno Kompatscher sulla scuola bilingue; è originario di un territorio che confina con la Ladinia dolomitica. Sa quindi bene, non solo come Presidente, ma anche per vicinato, che la scuola ladina gode di un insegnamento bilingue - italiano e tedesco -paritetico, grazie al quale i ladini sono bilingue e integrati in entrambi i maggioritari gruppi linguistici. Si può ben capire che le affermazioni di un politico, in campagna elettorale e in odore di ricandidatura in seno al suo partito, sono inevitabilmente orientate al consenso.

Nel suo articolo “Il falso mito della proporzionale” su salto.bz, Luca Marcon spiega come lo statuto di autonomia del 1972 e la conseguente applicazione della proporz (che era nata per rimediare ad una discriminazione occupazionale della minoranza linguistica sudtirolese) abbia causato una compressione occupazionale per il gruppo linguistico italiano nel pubblico impiego, storicamente suo appannaggio. Inoltre la politica di contenimento dell’industria locale applicata per decenni e storicamente prerogativa del gruppo linguistico italiano è da ricondurre ad un preciso chiaro orientamento della leadership del gruppo etnico maggioritario. Lo statuto di autonomia ha quindi prima bloccato e poi compresso l’offerta occupazionale del gruppo linguistico italiano senza però applicare per quest’ultimo alcun altro correttivo speculare per gli altri settori occupazionali.  

L’accesso alle risorse economiche, alle possibilità occupazionali riguardano la sopravvivenza di un popolo nel territorio in cui risiede. E’ chiaro che quanto appena esposto abbia messo consapevolmente in sofferenza il gruppo italiano locale. Una sofferenza che dura anche nel presente e che può trovare un miglioramento nell’acquisizione di un bilinguismo spendibile nella realtà sociale, economica e culturale del territorio. Ideale ultima spiaggia per risolvere almeno in parte le condizioni di inferiorità economica e sociale in cui versa in generale l’altoatesino.

Gran parte dei cittadini sudtirolesi e altoatesini hanno una vaga se non nulla conoscenza di questo passato storico che i più giovani non hanno nemmeno vissuto, di cui non sono stati quindi partecipi e responsabili.

Ritengo che questioni di sopravvivenza abbiano la precedenza su questioni culturali di affermazione, rafforzamento della propria identità (vorrei poi capire a quale cultura di appartenenza si riferisce Luca Marcon quando riporta la definizione di scuola. Quella sudtirolese, europea, occidentale o universale?), nonché di ricerca di elaborazione di una narrazione condivisa di e da entrambi i gruppi. Ciò non toglie che sia importante trovare spazio anche per questi ultimi aspetti culturali. Non credo sia difficile ora costruire insieme una narrazione storica condivisa di entrambe le culture e avere valori comuni su cui basare una futura convivenza “miteinander” nel mantenimento della propria identità culturale che si arricchisce e acquista valore nel confronto.