Questa settimana non parliamo di un libro, ma di libri e, ancora più precisamente, di libri sulla montagna e sulla difficoltà di tradurli da una lingua all’altra nel modo migliore.
Se ne è parlato, nei giorni scorsi, a Trento in un convegno organizzato, nell’ambito del programma del Film Festival della Montagna, per iniziativa di un giornalista che da sempre si occupa con una passione almeno pari alla competenza di tutti i temi legati alla montagna: Leonardo Bizzaro.
Si è parlato dunque, con gli interventi di alcune traduttrici e traduttori di come la cosiddetta letteratura di montagna (definizione secondo alcuni limitante) abbia bisogno per essere trasposta da una lingua all’altra di una competenza specifica e di una professionalità tanto ampia da comprendere, secondo una delle professioniste del settore Paola Mazzarelli, anche una conoscenza “sul campo) dei luoghi che si devono descrivere. Indispensabile poi la capacità di impadronirsi di un linguaggio tecnico che non ammette imprecisioni: “corda doppia” e “doppia corda” non sono la stessa cosa e non si possono fare traduzioni a senso.
Molti altri gli spunti che sono venuti dalle diverse relazioni ma, in perfetto allineamento con lo spirito dei tempi, c’è un tema che si è, in un modo o nell’altro insinuato in quasi tutti gli interventi: quello sull’avvento dell’intelligenza artificiale e su ciò che questo potrà significare, ora e in futuro, anche in un campo come quello dell’editoria di montagna.
Ne ha parlato in modo diretto Antonio Bibbò, docente all’Università di Trento e traduttore dall’inglese di opere di grandi autori come Virginia Woolf. Dopo aver delineato gli ultimi sviluppi della crescita di un fenomeno che, non tutti forse se n’erano accorti, è entrato nel nostro utilizzo quotidiano in varie maniere da molti anni, ha tracciato una prognosi per il futuro non certo rassicurante. Se oggi l’intelligenza artificiale, soprattutto per il modo con cui sino ad ora è stata “nutrita” presenta ancora dei grossi problemi di utilizzo, tutto fa pensare che nei prossimi vent’anni molte di queste carenze verranno superate. Resta il fatto che soprattutto per quanto riguarda la parola scritta l’AI continuerà a produrre del materiale di levatura culturale modesta se non altro perché il suo universo di riferimento sarà sempre quello di un generico mainstream.
Meno orientata ad un futuro più o meno lontano, ma agganciato ad un presente già inquietante l’analisi della traduttrice Christine Kopp, secondo la quale quella di utilizzare l’intelligenza artificiale per un primo abbozzo di traduzione dei testi, affidando poi allo specialista il mero compito di revisione, con un congruo abbassamento dei compensi, è prassi ormai invalsa presso molte case editrici, con l’effetto di abbassare sicuramente il livello qualitativo del lavoro finito, dato che, si è sottolineato numerose volte durante il convegno, il traduttore veramente bravo non si limita a trasporre meccanicamente il testo da una lingua all’altra ma lo riscrive dal punto di vista letterario.
Meno pessimista l’ultimo oratore della mattinata, l’interprete e traduttore poliglotta Luca Calvi secondo il quale, perlomeno per ora, i professionisti della parola scritta e parlata e della trasposizione di essa da una lingua all’altra che abbiano realmente un forte livello di professionalità e di competenza non dovranno temere la concorrenza dell’intelligenza artificiale, incapace di cogliere le sfumature che danno veramente vita ad una traduzione e che portano il lettore o lo spettatore nella dimensione reale di ciò che si vuole rendere.
Sia come sia, il tema si impone all’attenzione di tutti specie in una realtà come la nostra nella quale lo scambio linguistico, la traduzione, il capirsi tra soggetti di madrelingua diversa è uno dei problemi essenziali nella vita di tutti i giorni.