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Commento a "Certificare le competenze"

E' solo la ricchezza di saperi che sollecita la mente ad esercitare le sue innate curiosità di raffronto e comparazione
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Gentile professoressa Maria Prodi,

mi permetta qualche parola di commento al suo editoriale “Come certificare le competenze” apparso su il T Quotidiano del 21/7.

Sono d’accordo con lei sull’inadeguatezza di tanti insegnanti; lo sono meno quando incolpa l’attuale ministro di non farsene carico, nonostante abbia dichiarato apertamente l’intenzione di adoperarsi per recuperare autorevolezza ai docenti. Cosa dovrebbe fare secondo lei il ministro per ottenere risultati soddisfacenti in tempo breve? rinnovare il corpo docente? Mi scusi sa, ma dopo 50anni di sei politico, dove troverebbe la materia prima per la sostituzione? Per adesso è già tanto che protegga gli insegnanti dalle interferenze del Tar, dei Tolc, e delle famiglie e che solleciti sovrintendenti e presidi all’immediato ripristino del merito, ché non c’è altro modo – mi creda – per avere in un futuro prossimo insegnanti (ma anche medici, ingegneri, ecc.) di qualità: a selezionare, bisogna iniziare fin dai primi anni delle superiori; farlo dopo la laurea serve a poco!

Molto in disaccordo mi trova, invece, il suo giudizio circa l’aleatorietà di valutazione cui sono soggette le prove scolastiche di italiano scritto: “Date a 10 insegnanti di lettere lo stesso elaborato di italiano e otterrete dieci 10 valutazioni diverse”. Non offenda la sua intelligenza, lasci queste dicerie agli studenti improvvidi, a giustificazione dei loro insuccessi. Da sempre il tema d’italiano è l’accertamento più sicuro per misurare le capacità logico-sintattiche e critiche del candidato: 10 insegnanti responsabili e imparziali possono anche discordare tra loro (ma non di molto) nell’assegnazione del voto numerico (10, 9, 8, .., 0) ma ben difficilmente nel determinare la graduatoria valoriale (I, II, III, .., ultimo). Non avalli un simile pregiudizio. Quando l’Esame di Stato era serio, gli esaminatori – non solo di liceo, ma anche di istituto tecnico – tenevano in grande considerazione il voto in italiano scritto, nel formulare i giudizi di maturità.

E veniamo alle conclusioni del suo scritto: visto che l’esame di maturità, così com’è oggi articolato, non può essere un equo filtro per indirizzare il giovane nelle scelte future, visto che i test predisposti dalle università per bypassarlo sono altrettanto inefficaci (prova ne sia la studentessa trentina dichiarata idonea per l’università nonostante le sue 5 materie insufficienti), che fare? si potrebbe certamente incrementare la personalizzazione del percorso scolastico individualizzato (metodologia già sperimentata che non ha dato però grandi risultati), ma soprattutto (qui sta la novità!) puntare sulle competenze: “la scuola dovrebbe imparare dalla formazione professionale il significato della certificazione delle competenze e come questa si possa implementare concretamente, per riuscire a consegnare in uscita attestazioni realmente utili e spendibili”. Mi sbaglierò, ma non credo che le competenze accertabili in un istituto professionale possano servire da guida per un liceo: certificare la perizia nel disegnare e tornire un pezzo, non è come il valutare la capacità di produrre un testo scritto. Se analizzassimo attentamente la definizione di “competenza” (così la definisce C.Thelot, il maggior esperto europeo in questo campo: “capacità di applicare le conoscenze in diversi contesti, attitudini e atteggiamenti mentali che favoriscono l’apprendimento autonomo”) ci accorgeremmo che l’operazione mentale in questione non differisce poi molto da quella che un tempo veniva chiamata più semplicemente “capacità critica”. Ora non credo che per una tale dote, ci siano algoritmi docimologici in grado di trarne le misure precise così da consegnare – come lei afferma – attestazioni utili e spendibili. La difficoltà sta nel fatto che è impossibile valutarla a sé, avulsa dalle conoscenze, a loro volta ingiudicabili se private di mediazione critica.

E poi, diciamocelo, è una novità un po’ datata! È da un lustro ormai che non si sente più nelle aule il ritornello “meno conoscenze, più competenze”, da quando gli stessi esperti hanno incominciato a mostrare forti perplessità su come misurarla questa benedetta competenza.

È solo la ricchezza di saperi, frutto di uno studio fervido e costante, che sollecita la mente ad esercitare le sue innate curiosità di raffronto e comparazione. Su questa ricchezza, chiara e facile da valutare, dunque, come sempre si è fatto, si basi la valutazione che se è rigorosa e responsabilizzante le competenze fioriscono da sole.