Perciò bisognerebbe smetterla con lo sbandierare il valore delle identità. L'identità non è un corredo, è un processo. Noi ci formiamo e trasformiamo in relazione agli altri, e se proprio bisogna avere “cura dell'identità”, questa cura dovrebbe consistere nell'aggiornarla, non nel proteggerla come un fortino. Il “you can be who you are” di von der Leyen sembra invece voler rassicurare: ognuno può essere ciò che è, senza la preoccupazione di dover cambiare o di lasciarsi contaminare. In un certo senso risponde a Nietzsche che in termini drastici dice “Werde, wer du bist”: il superuomo è colui che attua se stesso, il suo io bello e definito, al di là del bene e del male, sdegnando ciò che è umano, troppo umano, in una nuova aurora, costi quel che costi. Al tormentato filosofo è costato il ben dell'intelletto, mentre quando sono state le nazioni a sentirsi investite di simili missioni, la storia è finita in tragedia. Meglio sarebbe lasciar perdere chi si è, ovvero chi si ritiene di essere: vale per la singola persona e vale per le comunità più allargate.
Un approccio prudente e realistico dovrebbe chiarire che la convivenza tra diversi pone delle difficoltà e che non basta una dichiarazione di buona volontà a superarle. Lo vediamo in Alto Adige/Südtirol, dove in fondo viviamo una situazione privilegiata, con regole definite e abbondanza di risorse; possiamo quindi immaginare quale impresa sia mettere insieme 27 stati, ognuno dei quali manda il proprio leader a Bruxelles a difendere i rispettivi “interessi nazionali”.
L'Unione europea non può essere un collage di interessi nazionali. Se vuole essere qualcosa di più e se per arrivarci bisogna intraprendere un percorso faticoso, fatto anche di rinunce, allora chi crede in quel progetto non deve avere paura di dirlo e a chiare lettere, trattando le opinioni pubbliche da persone responsabili. Non la si può neppure presentare come l'azzurro del cielo. L'apertura delle frontiere e l'adozione della moneta unica non hanno portato solo vantaggi, ma hanno avviato una ristrutturazione economica che fa le sue vittime. Quindi bisognerebbe prepararsi a cambiare, a rivedere giudizi e aspettative, a imparare l'arte di vivere nel mondo globalizzato. È sotto gli occhi di tutti che la storia sta accelerando, anche se non siamo al “lacrime, sangue e sudore” di churchilliana memoria.