La SVP nasce con la caduta della dittatura fascista attribuendosi il compito e l’obiettivo di offrire tutela e rappresentanza politica alle minoranze ladina e tedesca. Tra i suoi fondatori ci sono menti tra le più illuminate del Suedtirol. E’ un partito “a-ideologico” (senza ideologia) che si prefigge di ricostruire la società sudtirolese dopo i decenni bui della dittatura nazifascista e che, per fare questo, raccoglie attorno a sé un po’ tutte le componenti economico sociali della comunità di lingua tedesca e ladina delle città e delle valli.
Fare parte della svp era come suonare nella banda, cantare nel coro, dare una mano ai bisognosi in parrocchia, fare il doposcuola gratuito, partecipare alle riunioni di categoria (contadini artigiani commercianti) ecc ecc . Nel dopoguerra la comunità tedesca e ladina creano la svp che a sua volta si fa comunità. Le sue uniche pregiudiziali sono, agli albori, l’antifascismo e un anticomunismo viscerale ascrivibile alla presenza diffusa sul territorio di certo cattolicesimo conservatore.
Così la svp si è fatta partito stato, condizione che le ha permesso di governare senza soluzione di continuità dal dopoguerra in poi. Per molti decenni è stata un monolite che ha impedito di fatto una “normalizzazione” del quadro politico di lingua tedesca e ladina. E quando quel mondo ha deciso di emanciparsi dal partito stato, lo ha fatto con l’obiettivo di sostituirlo mantenendo però il suo stesso modello.
Altra cosa è stato il mondo italiano dove, fino alla crisi dei grandi partiti novecenteschi, le forze politiche locali hanno rispecchiato grosso modo il quadro nazionale con un’ampia offerta per l’elettorato. L’unico partito della prima repubblica a rompere il rigido schema etnico e ad aver candidato ed eletto nelle istituzioni uomini e donne di lingua tedesca è stato il PCI KPI.
A favorire il voto etnico, oltre alla presenza della SVP, ha contribuito senz’altro lo svilupparsi ed il rafforzarsi di comunità parallele, linguisticamente separate, a partire dalla scuola, la formazione, l’associazionismo in tutte le sue espressioni. E l’informazione (quella che raggiunge anche l’ultimo maso) ha avuto un ruolo determinante oscurando i partiti che non afferivano alla comunità tedesca e ladina. Un soggetto (qualsiasi esso sia) se non compare nel racconto giornalistico della realtà, per l’opinione pubblica non esiste.
Lo Statuto, nato a tutela delle minoranze, ne garantisce la loro rappresentanza.
Alla sua nascita la rappresentanza linguistica e politica praticamente si sovrapponevano. A rappresentare la minoranza tedesca e ladina c’era la SVP e per gli italiani c’erano la DC, il PSI, il PRI, il PCI. Formare le giunte era un gioco da ragazzi. Erano esecutivi politici che vedevano la SVP allearsi con partiti che erano al governo anche a Roma. Poi, con la crisi dei partiti e la fine delle ideologie, formare gli organismi di governo è diventato sempre più difficile. E lo è ancor più oggi che in casa SVP non ci sono più paletti ideologici. La pregiudiziale anticomunista era stata archiviata con la caduta del muro di Berlino, quella antifascista l’ha mandata di fatto in soffitta la famiglia Ebner con la linea editoriale assunta dal Dolomiten da quando al governo del Paese c’è FdI . [Per inciso i sudtirolesi hanno conosciuto di persona il fascismo mentre il comunismo è stato più che altro uno ”spauracchio” usato a fini politici.]
Se l’autosufficienza della SVP è stata la sua forza, l’inseguire lo stesso modello da parte di forze politiche che l’ avrebbero voluta sostituire è stato un errore.
Non costruire alleanze intra etniche e compatibili dal punto di vista valoriale e politico si è rivelata una miopia politica che oggi pagano quei cittadini che vorrebbero questa terra governata in continuità con la propria storia migliore.
Ma in mancanza di questo “azzardo”, se i partiti e movimenti che si sono dichiarati interetnici, avessero avuto un risultato elettorale interetnico, probabilmente la formazione della Giunta sarebbe oggi una questione esclusivamente politica. Sul tavolo ci sarebbero solo i programmi per il prossimo quinquennio; non ci sarebbe il problema della rappresentanza linguistica e la percentuale degli italiani eletti forse corrisponderebbe alla consistenza del gruppo linguistico certificata dal censimento.
Ma l’elettore, che vive in un mondo suddiviso etnicamente, perché mai al momento del voto dovrebbe fare una scelta oltre il proprio orizzonte linguistico?
La fa chi vive a cavallo delle culture, chi è politicizzato.
Se quei partiti che fanno dell’interetnicità il proprio cavallo di battaglia, l’interetnicità la praticheranno nella quotidianità ed avranno la capacità di costruire campagne elettorali “blindate” in modo da far eleggere candidati/e di tutti e tre i gruppi linguistici, anche il proprio elettore meno interetnico li seguirà.
Tertium non datur finché il nostro sarà un “Ohneeinander leben” e non una convivenza reale.