Il Sudtirolo visto con occhi romani
Se dovessimo comparare la generazione precarizzata di oggi a una figura geometrica il cerchio sarebbe forse la scelta più indicata. Una ruota il cui destino è quello di muoversi. In mezzo a questa contemporaneità disorientata e frettolosa in cui l’invito alla pazienza è ormai un’istigazione alla violenza cercare fortuna all’estero (o quasi) è la prima delle sfide da affrontare, è il terreno di gioco dove si provano le combo, si prende confidenza con l’ambiente intorno e coscienza delle opportunità. A volte lo slancio iniziale è temperato dalla tentazione umana della nostalgia di casa, altre l’energia cinetica da cui siamo alimentati è tale da renderci simili ai pescecani che nuotano, per natura, esclusivamente in avanti.
E come sarebbe testare la versione beta di una vita possibile in Alto Adige se la stazione di partenza fosse, mettiamo il caso, l’opulenta, giunonica Roma? Il primo colpo d’occhio – senza squilli di retorica – andrebbe su quel genetico senso di civiltà che tiene lucida la reputazione di un’intera regione e chi è educato alla caotica indifferenza e sciatteria delle grandi città, permanenti nei loro difetti, tende a guardare con gli angoli della bocca che si spostano all’ingiù in segno di soddisfazione e nel contempo sfuggire il contatto visivo con un certo imbarazzo perché “beh, giù da noi non funziona esattamente così”. Il cemento della società è anche il rispetto delle regole comuni, che evita con agilità consumata i pressapochismi e le furbizie e punta dritto ad una visione d’insieme attiva che non sia solo un precetto asettico e impolverato. Il Südtirol è un motore ben lubrificato che muove i suoi ingranaggi armoniosamente, dai collegamenti urbani alla sanità, dalla convivenza rodata di auto, biciclette e pedoni al bilinguismo come risorsa, dall’aria poco inquinata alla cura del territorio: miraggi per tutti gli assetati di modernità ed evoluzione civile. Del resto niente come constatare che l’erba del giardino di qualcun altro è di un brillante verde speranza (una tonalità di colore passata di moda altrove) ci trasforma in vecchi tromboni poco autoindulgenti che si lamentano a ciclo continuo, ma restituire a Cesare quel che gli spetta per diritto di conquista è un detto che va onorato soprattutto da chi con quel primo imperatore condivide i natali.
Cosa succede però quando il metodo, la costanza dei comportamenti, l’etica, la perizia sono considerate qualità non trasmissibili? Quando la coesione sociale e identitaria ha trame fitte quasi invisibili alla retina? Che la grinta, il talento e la buona volontà non bastano da soli a trapassare quello scudo di diffidenza che rallenta l’innescarsi di una fiducia reciproca indispensabile. Per i giovani trasferitisi in Alto Adige e a caccia di lavoro il rischio di non venire ammessi alla competizione perché non originari del luogo, e di aver quindi fatto un investimento miope, è alto, fa germogliare frustrazione e avvilimento che diventano tanto insidiosi quanto superflui. Occorre insistere, corteggiare la propria tenacia, imparare in fretta che costa fatica ma che sta agli ospiti dimostrare di essere buoni cittadini, cittadini utili.
"...ma restituire a Cesare
"...ma restituire a Cesare quel che gli spetta per diritto di conquista è un detto che va onorato soprattutto da chi con quel primo imperatore condivide i natali."
Cioé ?
Credo intendesse che, seppur
Credo intendesse che, seppur piena di difetti, Roma rimane sempre nei cuori dei romani :)