Fiducia
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Politik | Accadde domani

Fidarsi è bene…

…ma non fidarsi (dell’Italia) è meglio. Un commento al dibattito sulla riforma dello Statuto di autonomia.
  • Portando discorso alle estreme conseguenze, si potrebbe dire che è solo una questione di sfiducia. Nell’Italia e negli italiani.

    Nel dibattito che si è aperto all’indomani della pubblicazione del disegno di legge costituzionale frutto dell’intesa tra il Governo e i Presidenti di Trento e Bolzano, risuona l’eco di una questione che si propaga attraverso i decenni sin da quando fu varato il famoso “Pacchetto”.

    Nell’eccellente sinossi che Fabio Gobbato ha realizzato, mettendo a confronto le evoluzioni del testo della riforma, a partire da quella siglata SVP per arrivare a quella finale, ci sono in effetti diverse questioni su cui si è discusso e su cui si sono trovate soluzioni di compromesso, ma è abbastanza chiaro che quella politicamente più rilevante si trova nelle parti del documento dove vengono delineati i rapporti gerarchici tra le potestà legislative delle due autonomie speciali e i poteri di indirizzo e coordinamento che lo Stato può continuare a vantare e dove vengono invece chiarite le possibilità di intervento dello Stato sugli Statuti speciali.

    Nel dibattito risuona l’eco di una questione che si propaga attraverso i decenni sin da quando fu varato il famoso “Pacchetto”.

    Storia antica, le cui radici affondano nel dibattito interno che, alla fine degli anni 60, la Südtiroler Volkspartei dovette affrontare nel momento in cui si trattava di dare il via libera al complesso di norme uscite dalla lunga trattativa con Roma. Il voto favorevole, nello storico congresso di Merano, fu conquistato a strettissima maggioranza. È interessante notare che tra le obiezioni di maggior peso espresse da coloro che votarono no alla risoluzione di Magnago vi fu quella secondo cui con quell’accordo ci si affidava troppo alle mani degli italiani che avrebbero potuto togliere a loro piacimento quanto avevano concesso. È, questo, uno degli argomenti che portarono a sostegno della loro posizione anche i due parlamentari SVP che nel successivo dibattito in parlamento sulla legge costituzionale si misero in qualche modo di traverso rispetto all’avanzamento della riforma. Non si fidava di quella costruzione giuridica il deputato Hans Dietl che difatti votò no e fu espulso dal partito. Diffidente anche il senatore Peter Brugger che mascherò il suo dissenso con un’astensione e un’assenza giustificata e che nel partito invece rimase. Non erano i soli. A paventare il tradimento dell’infida classe politica romana erano in parecchi, tra i quali, ad esempio, quell’Alfons Benedikter che comunque fu il grande tessitore delle intese maturate successivamente nei vent’anni di trattativa per l’attuazione di quell’autonomia.

    La questione della fiducia tornò a galla, e c’era da aspettarselo, quando, tra il 1991 e il 1992, si approssimò la scadenza entro la quale occorreva chiarire che le norme del Pacchetto erano state completamente attuate e che quindi l’Austria avrebbe dovuto riconoscerlo chiudendo la controversia internazionale davanti all’ONU con il rilascio della famosa quietanza liberatoria. Benedikter ed altri esponenti della Südtiroler Volkspartei sostennero apertamente che di chiusura non si poteva parlare a fronte dell’esercizio da parte di Roma dei famosi poteri di coordinamento e indirizzo. Risolto con un compromesso questo problema venne alla luce un’altra questione, che aveva comunque gli stessi risvolti. Si discusse a lungo di una sorta di ancoraggio internazionale dell’autonomia, sempre nell’ottica di bloccare eventuali tentativi di manomissione da parte di Roma.

    Le cose andarono come andarono e negli anni successivi, piuttosto che essere compressa o smembrata, l’autonomia è stata potentemente rafforzata con la concessione di competenze non previste tra quelle del “Pacchetto” e con la definizione di un finanziamento garantito e blindato attraverso la successione di una serie di intese.

  • La clausola di intesa

    In tempi più recenti la aperta “questione fiducia” torna di attualità. La formula, questa volta, è quella della clausola di intesa che renderebbe inattaccabile tutto il sistema statutario se non vi sia una comunione di intenti tra Roma, Trento e Bolzano. La clausola entra a far parte del progetto di quel terzo statuto, collegato alla grande riforma costituzionale del governo Renzi e che avrebbe dovuto raccogliere anche gli stimoli e le proposte nate da un processo partecipativo a livello provinciale. Il clamoroso tonfo della riforma Renzi manda tutto in soffitta per qualche anno, ma, come si è visto il tema dell’intesa rispunta nel momento in cui, accogliendo la disponibilità della neo-Premier Giorgia Meloni, Arno Kompatscher inserisce tra i “desiderata” anche una serie di robusti meccanismi che dovrebbero portare ad una blindatura totale dello Statuto. È l’arma finale contro ogni tentativo, da parte dell’infida Roma, di metter mano all’assetto autonomistico delle due province (non va mai dimenticato, anche se spesso lo si fa, che il gioco coinvolge anche Trento) tanto da aver fatto parlare di una quasi-indipendenza o, per dirla in lingua tedesca, di quella Vollautonomie di cui ogni tanto si parla tra Salorno e Brennero.

    Non appena le proposte SVP per Trento e Bolzano, che dopo un po’ vengono sganciate da quelle relative alle altre regioni a statuto speciale, sono di pubblico dominio c’è però anche chi dice che sarà difficile che vengano accettate così come sono state espresse.

    Non è poco ma non è nemmeno quella fortezza inviolabile che i teorici della sfiducia a tutti i costi avevano immaginato.

    È quel che succede al termine della lunga trattativa. Della blindatura totale resta l’impegno di Roma a non modificare l’assetto scaturito dall’attuazione dell’autonomia conclusasi nel 1992. Non è poco ma non è nemmeno quella fortezza inviolabile che i teorici della sfiducia a tutti i costi avevano immaginato.

    In chiusura non resta che tornare indietro nel tempo per riprendere un discorso già fatto più volte su queste pagine. Sin dall’ultima fase di negoziazione del “Pacchetto” si è stabilito, sulla base di un’intesa politica non scritta ma sempre osservata, che ogni passaggio della trattativa politica avrebbe avuto seguito solo se le parti fossero state d’accordo. Fu così per l’intesa del 1968, per il travagliato percorso della legge costituzionale che diede vita al secondo Statuto, per la defatigante e interminabile trattativa sulle norme di attuazione. Si andava avanti solo se c’era l’intesa. Se questa mancava si restava fermi, a volte anche per anni. Così è successo anche dal 1992 in poi, sino al dialogo che ha portato all’accordo che ora passa al vaglio degli organi legislativi locali.

    Sino ad ora quindi il sistema dell’intesa, anche se non blindata da una norma di legge, sembra aver funzionato. Gli scettici a tutti i costi potrebbero ricordare però che i tentativi di manomissione unilaterale dello statuto vi furono, in tempi più o meno recenti, con le proposte di disegni di legge costituzionali sul tema del censimento oppure con quelli passati alla storia come “pacchetto degli italiani”. È vero come è vero però che questi tentativi non hanno mai avuto uno sbocco reale a livello parlamentare e che hanno in comune il fatto di essere stati concepiti e scritti da quelle stesse forze che oggi hanno gestito in termini molto diversi, sia per i contenuti che per il metodo, il dialogo con i politici sudtirolesi.

    Probabilmente non è abbastanza per placare le ansie di chi continua a ritenere Roma campione di infedeltà, ma qualcosa, alla fin fine, è.

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Josef Fulterer So., 27.04.2025 - 06:11

98,37 % für KOMPATSCHERs Autonomie-Reform. Da war der Magnago seiner-Zeit deutlich listiger. Die Autonomie-Reform muss ja noch den beiden Parlamenten gefallen, damit dort nicht allzuviel hängen bleibt!

So., 27.04.2025 - 06:11 Permalink
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pérvasion So., 27.04.2025 - 23:15

Über die Hälfte der autonomen Zuständigkeiten wurden seit 1992 beschnitten. Vielleicht ist es Herrn Ferrandi ja entgangen.

So., 27.04.2025 - 23:15 Permalink