Solo per amor di precisione,…
Solo per amor di precisione, faccio presente che la bandiera del disegno è fatta al contrario, sempreché si volesse rappresentare quella italiana.
Per il resto, come di consueto, nulla da eccepire.
Sulla partita a rubabandiera disputatasi qualche giorno fa in quel di Merano si è detto e si è scritto ormai praticamente tutto a livello locale e in campo nazionale. All’attempato cronista non resta che annotare l’episodio su un ideale taccuino nel quale sono elencati fatti e fatterelli, curiosi e spinosi al tempo stesso, che la storia ha incastonato nella vicenda che passa sotto il nome di questione altoatesina. Di alcuni di essi egli è stato testimone diretto ed altri, i più antichi, li ha scoperti nelle cronache più o meno ingiallite dal tempo.
I fatti di Merano, ad esempio, richiamano alla memoria quanto avvenne il 13 ottobre del 1921, in occasione della prima visita nelle terre annesse di re Vittorio Emanuele III. Accadde allora che il borgomastro bolzanino Julius Perathoner manifestasse al Sovrano tutto il disgusto dei sudtirolesi per il passaggio all’Italia, ma soprattutto avvenne che lo facesse unicamente in lingua tedesca. Il Re, dicono le cronache, rimase impassibile, ma la cosa destò scandalo e, un anno dopo, fu uno dei capi di imputazione in base ai quali i fascisti chiesero e ottennero dal moribondo Governo Facta la rimozione di Perathoner.
Questo avveniva a pochi mesi di distanza dalla fatidica data del novembre 1918, data con la quale si fa iniziare ufficialmente la questione altoatesina, ma gli scontri a sfondo etnico avvenivano ben prima del fatale conflitto. Basti pensare, solo per fare due esempi, alle polemiche e alle terga ostentatamente girate dai pangermanisti per protestare contro le visite pastorali a Bolzano del Vescovo italiano di Trento oppure al grido d’allarme sull’italianizzazione della nascente industria turistica che fu lanciato quando, agli albori del secolo, le banche trentine misero le mani sui grandi alberghi del Passo della Mendola, costruiti anni prima dai sudtirolesi che però erano andati in crisi e che avevano dovuto cedere. Di un rilancio di quelle grandi strutture semideserte, detto per inciso, si parla ancora oggi.
Torniamo ai sindaci che, all’indomani degli avvenimenti che abbiamo raccontato, cessano di far parlare di sé stessi. Scompaiono, infatti, sostituiti dai podestà nominati dall’alto. Per rivederli all’opera occorrerà attendere un’altra guerra e un altro dopoguerra. Ne ritroviamo un folto gruppo raccolto per assistere, nel settembre del 1956, alla cerimonia inaugurale della rinata Fiera di Bolzano. In sala c’è anche il Capo dello Stato Gronchi, ma la lettura del discorso ufficiale è affidata al ministro dell’interno Fernando Tambroni. I primi cittadini della Südtiroler Volkspartei, come del resto gli altri esponenti del partito presenti, alla fine dell’allocuzione rimangono raggelati senza applaudire. Il ministro ha tenuto un discorso durissimo nel quale vengono rigettate senza alcuna possibilità di apertura al dialogo le richieste avanzate dalla SVP in una fase di incipiente crisi della prima autonomia regionale e si promette mano durissima anche sul piano dell’ordine pubblico.
Come prima reazione la Südtiroler Volkspartei indice una grande manifestazione di protesta per la domenica seguente. Il prefetto la vieta con la scusa che, a Bolzano, quel giorno, si tiene il corteo folcloristico tradizionalmente organizzato per l’apertura della Fiera. La SVP allora dispone che le bande musicali e gruppi folcloristici sudtirolesi rifiutino di partecipare al corteo. Il prefetto a questo punto precetta, con la collaborazione dell’ENAL, bande e gruppi in costume provenienti da mezza Italia del Nord. Questo il clima, questi gli animi del tempo all’imbocco del tunnel di una crisi che sarebbe durata a lungo.
La fascia tricolore passata di mano a Merano è la stessa che indossano anche i giudici popolari chiamati, assieme ai togati, a comporre una corte d’assise. La indossavano anche anni or sono quando venivano chiamati a giudicare in processi che proprio il tricolore avevano come parte lesa. Si diceva allora, tra i cronisti di giudiziaria di Bolzano, che sui tavoli della Procura il codice penale fosse sempre aperto alla pagina dove erano elencati i cosiddetti reati di vilipendio, fiore all’occhiello del fascistissimo Codice Rocco e tra i quali figurava anche quello riguardante la bandiera. Succedeva così ogni tanto che qualche giovane, nelle valli, mescolasse imprudentemente un malinteso patriottismo con qualche bicchiere di vino di troppo. Veniva allora ammainato il tricolore dal pennone situato davanti a qualche albergo e vi si commettevano sopra atti poco urbani. Tanto bastava per portare i responsabili davanti ai giudici dell’assise. Vi comparve, stessa imputazione, anche il direttore del Dolomiten che, in un articolo, aveva scritto sulla bandiera e sullo stato che rappresentava cose sicuramente non molto benevole, ma, va detto, molto meno pesanti di quelle che di lì a poco avrebbero pronunciato Umberto Bossi e i suoi seguaci durante i loro riti padani. Il processo dunque si fece, con una condanna in primo grado cassata nei successivi gradi di giudizio. Com’era quasi ovvio prevedere, qualcuno, nel florilegio di commenti ai fatti di Merano, ha rispolverato l’idea di processare la Sindaca per vilipendio alla bandiera.
Un altro filone che riserva sempre nuove sorprese è quello delle cronache sportive. Dal telecronista Rai rampognato dai superiori perché, correttamente, rifiutava di completare il nome di Gustav Thoeni con la vocale italianizzante, passando per l’altro campione, Klaus Dibiasi che superò indenne la trappola forse a causa di un cognome tranquillizzante, per arrivare sino alla riluttanza di un Sinner cui si rimprovera volentieri un’italianità considerata troppo sbiadita.
In mezzo tutta una serie di faccende poco edificanti. Tornano alla mente le vere e proprie molestie cui vennero sottoposti, in occasione delle olimpiadi di Torino, altleti di origine altoatesina da parte di alcuni giornalisti che si divertivano a compiere l’esegesi sulla loro scarsa attitudine a cantare l’Inno di Mameli.
Questi e molti altri episodi che costellano le cronache altoatesine degli ultimi cent’anni hanno una cosa in comune: riescono come pochi a far scattare una sorta di riflesso condizionato nel coro e fuori dal coro della categoria dei commentatori più o meno seriali a livello nazionale. È sempre successo, succede e succederà sempre. È quasi un riflesso istintivo evocato da un inconscio collettivo che si nutre di stimoli primordiali. Saranno i Cimbri che scivolano a valle sui loro scudi, la rossa barba di Federico umiliato a Legnano, la marcia di Radetzky, il bisnonno caduto sul Carso. Poi, in molti, si affannano a spiegare che loro sono privi di pregiudizi, dell’Alto Adige sanno tutto, ci vengono spesso in vacanza o a presentare qualche libro e qui hanno amici. C’è anche la sottospecie che dice di aver capito tutto parlando con Alexander Langer.
Tutto vero e tutto giusto, ma il rubabandiera no per cortesia.
Solo per amor di precisione, faccio presente che la bandiera del disegno è fatta al contrario, sempreché si volesse rappresentare quella italiana.
Per il resto, come di consueto, nulla da eccepire.
Solo per amor di precisione, faccio presente che la bandiera del disegno è fatta al contrario, sempreché si volesse rappresentare quella italiana.
Per il resto, come di consueto, nulla da eccepire.
Sie haben es ganz richtig erkannt: Es handelt sich um die ungarische Trikolore.
In der ungarischen Flagge sind die Streifen horizontal.
Wenn wir Rot mit Orange verwechseln, dann ist es die Flagge der Elfenbeinküste.
Questo purtroppo è uno dei tanti problemi delle immagini generate in AI. Meglio quelle realizzate dall'intelligenza umana ;)
Risposta all'articolo del sig. Ferrandi:
trovo la faccenda assolutamente non divertente e spero si inizi a finire con questi mobbing antisudtirolesi reiterati.