Politik | Indipendentismo

I costi della secessione

Una tavola rotonda all'Eurac si confronta sul “Gedankenexperiment” di un Sudtirolo indipendente. I vertici di Noiland: “Uno Stato è fattibile”. I ricercatori Eurac: “La permanenza nell'Unione europea non è scontata”.
Stato Sudtirolo, Eurac
Foto: SALTO/Val
  • Da vent’anni il tema dell’indipendenza e di una statualità sudtirolese ha varcato la soglia di quei salotti che un tempo mai avrebbero pronunciato la parola autodeterminazione, già cara ai secessionisti à la Eva Klotz. Sinora il merito di questo sdoganamento “a sinistra” dell’indipendentismo andava al blog “linksgrün” Brennerbasisdemokratie, ma dallo scorso anno una pubblicazione dell’associazione Noiland, dal titolo “Kann Südtirol Staat” (“E se il Sudtirolo diventasse uno Stato? – Il libro con quaranta risposte per un futuro indipendente”) sta cercando di risvegliare un dibattito pubblico su un ipotetico Stato del Sudtirolo. Mercoledì sera (10 settembre) s'è tenuta una tavola rotonda all’Eurac di Bolzano, moderata da Petra Malfertheiner, con un confronto tra i promotori dell’associazione Noiland e gli esperti in materia dell’Eurac. Il confronto è ruotato attorno a due interrogativi: a quali condizioni il Sudtirolo potrebbe staccarsi dall'Italia? E soprattutto, quale sarebbe il prezzo da pagare in termini economici e sociali?

  • Solo un esperimento?

    “Un esperimento mentale, così innocente, riesce a scatenare l’ira di alcuni” ha esordito nella sua introduzione Roland Psenner, presidente di Eurac Research, “ma forse non è solo un esperimento, ma una domanda. Perché il Sudtirolo e non la terra ladina? Oppure l’Euregio tirolese, resuscitando un sogno dopo settecento anni? E poi: indipendenza significa escludersi dall’UE? Liberarsi dall’Italia significherebbe liberarsi anche dall’Unione europea? Vogliamo restare Repubblica del Sudtirolo – perché non diventare un principato come paradiso fiscale? Diventeremmo ricchissimi”, conclude con una battuta Psenner.

  • Dalla riforma dello Statuto all'indipendenza: (da sx) Petra Malfertheiner (Eurac), Francisco Javier Romero Caro (Eurac), Sigmund Kripp (Noiland) e Francesco Palermo (Eurac). Foto: SALTO/Val
  • “È un Gedankenexperiment” conferma Marco Manfrini, vicepresidente di Noiland ed esponente della SVP, dopo i tentativi falliti di Scozia e Catalogna e cercando una terza dimensione tra autonomia e indipendenza. “Una settimana fa si è celebrata la Giornata dell’Autonomia: non è sufficiente la riforma dello Statuto? Perché si dovrebbe andare oltre?”, domanda Malfertheiner, e Manfrini risponde con una battuta: “A Durnwalder abbiamo offerto anche la corona”, ma scherzi a parte, “vanno analizzate inadeguatezze e limiti: c’è una certa sofferenza, malessere, disagio o forse più semplicemente disaffezione all’Autonomia, anche per l’intervento della Corte costituzionale. Si tratta di richiedere forme di autonomia più ampia, come è da tradizione tirolese. Una Willensnation, una libera scelta oltre la falsa promessa dell’omogeneità”.

  • La riforma che delude

    Per Francesco Palermo, in effetti, “l’adeguamento ovvero la manutenzione dello Statuto potrà sì ridurre i conflitti con la Corte costituzionale, ma al tempo stesso potrebbe innescare un processo pericoloso. Presentata in chiave rivendicativa – ci sono state tolte, non ci sono state tolte competenze, a volte interpretate certo in maniera restrittiva e ingiustificata – la riforma non potrà restituire l’idea originaria di Autonomia”. Secondo Palermo si rischia anzi di generare frustrazione: “Una riforma tanto sbandierata che risolve solo problemi tecnici come quelli degli appalti, senza che i cittadini se ne accorgano. Non sarebbe il primo caso di aspettative deluse: quasi tutte le rivendicazioni separatiste in Europa occidentale – penso a Scozia e Catalogna – nascevano come richieste di maggior autonomia, che poi hanno disatteso le aspettative”.

     

    Le rivendicazioni separatiste di Scozia e Catalogna nascevano come richieste di maggior autonomia che hanno disatteso le aspettative.

     

    Dal 1941 a oggi sono nati circa 130 Stati, buona metà come prodotto di processi illegittimi: “Un processo può nascere illegittimo e diventare legittimo: oppure si resta nel limbo. Il Kosovo è un esempio di come il diritto internazionale rincorra la realtà fattuale. L’Alto Adige non ha i presupposti giuridici né le motivazioni legittime per l’indipendenza: non c’è oppressione né decolonizzazione, ma qualcosa può sempre accadere. E la riforma dello Statuto può innescare processi dal percorso incerto”.

  • La traduzione italiana del libro “Kann Südtirol Staat”: “E se il Sudtirolo diventasse uno Stato” è uscito quest’anno. Foto: Noiland
  • A detta dell’ex senatore e costituzionalista bolzanino c’è poi “una difficoltà di fondo: non sappiamo vendere l’Autonomia, ovvero convincere gli elettori della sua bontà, comunicare i vantaggi di un modello che funziona in un territorio ricchissimo. Non escludo perciò che nel corso della mia vita possano esserci passaggi magari giuridicamente improponibili, ma basta poco per innescarli”.

  • Rischi sociali ed economici

    Parlando del caso Catalogna, per Francisco Javier Romero Caro (Eurac) “la crema catalana non è lo strudel. Nessuno Stato ha riconosciuto la dichiarazione di indipendenza catalana, durata appena 14 giorni. È un processo che ha un costo: divide la società, lascia ferite profonde che richiedono molto tempo per guarire. In Catalogna ancora oggi si vivono le conseguenze del 2017, con un problema di convivenza interna. E prepararsi alla secessione ha significato trascurare temi concreti come caro-casa o integrazione. È accaduto anche in Quebec: la secessione è un processo divisivo, costoso e con effetti duraturi” sostiene il ricercatore. Anche la Catalogna parla tre lingue “ma rappresenta il 16% della popolazione spagnola: le conseguenze di una sua secessione non sono comparabili con l’Alto Adige. Inoltre, la Catalogna ha certamente poteri importanti – polizia, sistema carcerario – ma l’Alto Adige vanta un rapporto bilaterale con lo Stato che la Catalogna può solo sognare. La nostra autonomia finanziaria è più sviluppata: tratteniamo più risorse grazie all’Accordo di Milano”.

  • Alice Valdesalici (al centro) tra Marco Manfrini e Harald Mair (Noiland): per la ricercatrice Eurac "l’Alto Adige gode di una forte autonomia finanziaria sul lato della spesa". Foto: SALTO/Val
  • Rispetto al lato ecomomico-finanziario, secondo Alice Valdesalici (Eurac) “l’Alto Adige gode di una forte autonomia finanziaria sul lato della spesa: le risorse possono essere utilizzate liberamente per le competenze proprie. Ma l’autonomia di decidere la propria dotazione finanziaria è molto più debole: si tratta di finanza derivata, con una partecipazione di nove decimi al gettito dei tributi stabiliti a livello centrale. È una garanzia forte, ancorata nello Statuto e modificabile solo con accordo bilaterale, ma resta un sistema con “regole d’acciaio su basi di terracotta”: lo Stato può sempre intervenire su Irpef, Irap e altri tributi. Non c’è autonomia tributaria vera e propria e la riforma dell’Autonomia non tocca questo aspetto”. Un Alto Adige indipendente non sarebbe esente dai costi della secessione, spiega Valdesalici: “Non sono ottimista sui calcoli: “Avremmo qualche spesa in più e qualche risorsa in meno. E quale sarebbe il tasso di interesse sul debito pubblico? E le entrate dall’UE? Ci sarebbe il rischio che le imprese trasferiscano la sede altrove. È più una scommessa che un calcolo. Quanto al debito pubblico, non esistono regole chiare: in ogni caso ci sarebbe da accollarsi una quota, piccola ma significativa”. Sul fronte della moneta, “solo l’adesione all’eurozona permetterebbe di avere voce in capitolo: ma con un debito potenzialmente superiore al 60% del Pil, l’ingresso richiederebbe un voto unanime. Senza paracadute di solidarietà, il rischio-Paese ricadrebbe interamente sulle spalle dell’Alto Adige. E i rischi sono davvero molti”, conclude la ricercatrice dell’Eurac.

  • Un esercito e battere moneta

    “Si può sviluppare l’Autonomia per arrivare allo Stato. Le due cose non si escludono”, sostiene Harald Mair, presidente di Noiland. “Vero, un nuovo stato ha nuove spese: per esempio abbiamo dovuto fare una stima su un esercito, sull’esempio del Lussemburgo. Ma con un avanzo di 600 milioni di euro, potremmo sopravvivere senza grandi problemi. Lo Stato del Sudtirolo dovrebbe accollarsi 24 miliardi di euro di debiti, ma prenderebbe anche del patrimonio. Non è facile fondare un nuovo Stato, ma è fattibile”. Resta però il nodo dell’Unione europea. Per Francisco Javier Romero Caro “l’appartenenza all’UE dopo un’eventuale secessione non sarebbe automatica. È un rischio e bisogna trovare unanimità, non è semplicissimo il riconoscimento internazionale: Grecia, Romania e Spagna non riconoscono il Kosovo”, per un ingresso automatico “bisognerebbe modificare i Trattati”. I Trattati non prevedono l’allargamento interno, un reingresso, la permanenza” confermano Manfrini e Sigmund Kripp (Noiland) “ma per farci uscire dovrebbero toglierci la cittadinanza europea” (che però è connessa a quella italiana, ndr). Una secessione dall’Italia non porterebbe a un’uscita dalla UE. La UE non potrebbe permettersi una exclave sulla linea del Brennero”. “Nessuno può toglierci l’Euro” chiosa Mair, “potremmo fare un accordo bilaterale come San Marino. Si potrebbe anche fare una propria moneta, ma porterebbe con sé tantissimi rischi”.

  • (a dx) Harald Mair, presidente di Noiland: “Non è facile fondare un nuovo Stato, ma è fattibile”. Foto: SALTO/Val
  • “Ammettendo la via negoziale e una volontà interna della popolazione, c’è una lacuna – spiega nel suo intervento conclusivo Francesco Palermo – ovvero come si fa? L’UE dovrebbe prevedere dei processi di autodeterminazione ma non ci sono, i trattati devono essere cambiati. Il ‘diritto a decidere’ dà il via al processo? È più complesso di così, non basta una chiara volontà popolare del più del 50%, bensì maggioranze qualificate. E non è mai menzionata la Corte costituzionale, che ha un peso. Già nel 2015, su richiesta del Consiglio regionale del Veneto, si espresse sulla secessione – bocciandola”. Dal pubblico qualcuno chiede: “E il Trentino? Se ve ne andate, prendete anche noi!”. “In Trentino non c’è la massa critica” risponde Kripp. Gli fa ecoMair: “Uno Stato del Sudtirolo potrebbe collaborare meglio col Trentino. Stesso tema per le valli ladine”. Sull’effettiva esistenza di una “massa critica” anche in Sudtirolo, soprattutto nei gruppi linguistici italiano e ladino, i relatori non si sono espressi: sarà per la prossima tavola rotonda.