Kultur | Civiltà

“Non metteteci in un unico calderone”

Affollato dibattito ieri al Circolo Est Ovest di Merano con protagonisti il giovane altoatesino musulmano Oumar Ka e don Paolo Renner.

L’Occidente è in pericolo?
Con questa domanda volutamente provocatoria si sono confrontati ieri al Circolo Culturale Est Ovest don Paolo Renner e il giovane Oumar Ka, membro dell’associazione dei giovani musulmani di Bolzano BMY. Stipate nella piccola sede del Circolo in vicolo Passiria moltissime persone, desiderose di ottenere risposte o almeno spunti per comprendere quanto sta avvenendo in Europa, dopo i sanguinosi attentati di Parigi dei giorni scorsi. 

Al moderatore Markus Lobis è toccato il compito di tenere con fatica il filo di un discorso che tendeva a sfuggire, muovendosi scivolosamente tra i massimi sistemi e la concreta paura del vicino di casa, dagli stereotipi alle superficiali contrapposizioni in termini di presunta superiore civiltà. 
La difficoltà principale nel corso del dibattito è stata quella di separare i numerosi piani che si intrecciano in queste questioni e di tenere a bada l’emotività. In questo senso va dato atto a relatori e moderatore: lo sforzo ha dato risultati interessanti soprattutto nella fase del dibattito con il pubblico quando soprattutto Oumar Ka, superato l’imbarazzo iniziale del doversi confrontare con le dotte prese di posizione di don Renner, da un lato ha capito di dover lasciar da parte ogni rivendicazione (“anche i cristiani sono stati e sono violenti”) e dall’altro ha potuto rispondere in maniera più semplice e spontanea alle concrete domande del pubblico. Domande, queste ultime, quasi tutte incentrate sulla necessità di conoscere, capire, come si può essere oggi giovani musulmani, magari scuri di pelle, di origine africana, europei, italiani, e magari… sentirsi a pieno titolo altoatesini o sudtirolesi. 

Se da un lato Renner ha relativizzato - affermando che la violenza non è un’esclusiva di una qualche religione e vi possono essere anche cristiani (o atei) pericolosi - e che quindi tutto sta nel come si vive la propria appartenenza ideologica - Oumar Ka ha dichiarato senza mezzi termini che "l’estremismo islamico di per sé è esterno all’Islam". E di condannare il terrorismo "non in quanto musulmano ma in quanto essere umano".
Il giovane bolzanino si è quindi lamentato delle ripetute richieste pervenute ai musulmani in questi giorni di dissociarsi da quanto avvenuto a Parigi e dagli atti di violenza dell’estremismo islamico (Al Qaida e Isis). 
Non possiamo dissociarci da qualcosa al quale non ci siamo mai associati” ha detto semplicemente Ka. 

Nel dibattito con il pubblico il discorso quindi si è spostato sul piano dei diritti umani e della democrazia. Il nodo della questione, in molte domande dei presenti è stato quello del legame reale o presunto tra la religione e situazione democratica e di salvaguardia dei diritti umani nei paesi di cultura islamica. 
A tutti i presenti è risultato chiaro che la riflessione tendeva a complicarsi, richiedendo livelli di approfondimento che trascendevano gli scopi della serata (ironicamente Markus Lobis a questo proposito si è affrettato ad affermare: “di certo non risolvere qui e oggi tutti i problemi dell’umanità”). 

Oumar Ka ha quindi concentrato la sua attenzione sul tentativo di smontare una serie di stereotipi (“la maggior parte dei musulmani qui in Europa non sono praticanti”, “i musulmani di per sé non fanno proselitismo”, “nella maggior parte dei nostri paesi d’origine in realtà non viviamo costrizioni di ordine religioso”, “è un atto di arroganza volerci mettere tutti in un unico calderone”).
Ka ha concluso il suo intervento rilanciando un appello che in questi ultimi giorni è risuonato pressoché ovunque: “le prime vittime del terrorismo islamico sono i musulmani”. 

Gli ultimi scampoli della discussione hanno quindi spostato il discorso sul piano politico ed economico, attraverso la comune riflessione sulla necessità che il cosiddetto Occidente si liberi dalla tentazione di condannare, trovando il modo invece di promuovere la democrazia e la consapevolezza culturale diffusa nei paesi dove la maggior parte della popolazione è di religione islamica. Abbandonando le ipocrisie legate ad interessi economici che normalmente trovano scarso spazio anche nella ‘libera’ informazione occidentale.