Svolta langeriana?
Clamoroso a Bolzano: inaugurata la prima scuola che porta il nome di Alexander Langer. Solo chi conosce poco la storia di questa provincia, e dunque non ha mai sentito nominare Langer e le sue battaglie a favore di una maggiore convivenza tra i diversi gruppi linguistici, potrebbe reagire con indifferenza. E infatti ecco come i giornali locali hanno oggi (9 settembre) riportato la notizia: “Scuola, il disgelo. Svolta langeriana” (Corriere dell'Alto Adige); “Die Langer-Schule” (Tageszeitung); “Scuola, la svolta: italiani e tedeschi insieme alla Langer” (Alto Adige); “Bildungseinrichtung und Treffpunkt” (Dolomiten).
Ma in cosa consisterebbe, dunque, la svolta? A più di quarant'anni dall'entrata in vigore del Secondo statuto di autonomia si tratta della prima volta - in realtà esistono precedenti, come le scuole Rosmini di via Knoller, sempre a Bolzano, che però furono osteggiati della politica divisoria degli anni Settanta - in cui un edificio scolastico ospiterà sezioni “italiane” e “tedesche” sotto un unico tetto e con tutti i crismi dell'ufficialità benedetta da mamma Provincia. Nessun fossato con coccodrilli tra le due entità, nessun cortile da gestire eventualmente utilizzando orari sfasati, ma, al contrario, spazi predisposti proprio per far incontrare bambini e docenti, nella speranza che vengano quindi valorizzati per comunicare in entrambe le lingue o, almeno, per abbattere l'indifferenza se non addirittura la diffidenza reciproca.
I politici e i dirigenti scolastici presenti all'inaugurazione della “Langer” non hanno ovviamente lesinato toni entusiastici. Rimane però ancora incerto se, una volta passata l'euforia da taglio del nastro, anche sul terreno dei fatti le promesse di cooperazione e integrazione riceveranno un effettivo sviluppo. Purtroppo, il primo passo non costituisce ancora sufficiente garanzia che si procederà nel giusto cammino. Anche perché, è importante ricordarlo, il cammino rimane difficile. Se le sezioni tedesche e quelle italiane – guidate da due direzioni ancora rigorosamente distinte – coesisteranno pacificamente all'interno di un medesimo edificio (e nessuno lo mette in dubbio) ciò non significa che dalla coesistenza (tutto sommato ancora un “nebeneinander”) possa poi sbocciare quel tanto agognato “miteinander” (ma si tratta poi veramente di un desiderio così diffuso?). La cooperazione, infatti, non avviene spontaneamente, quasi per magia, ma necessita di un'attenta programmazione, di una equa e mirata distribuzione di risorse e, soprattutto, di un impegno molto superiore rispetto a quello richiesto per far funzionare una scuola “monolingue”.
Sarebbe troppo cinico ribadire che di occasioni di incontro e di pratica interlinguistica i bolzanini – certo, fuori dalla scuola – ne hanno sempre avute a bizzeffe? Eppure, quanti di loro (soprattutto da parte italiana) ne hanno approfittato? Finora l'alibi più scontato era: non possiamo incontrarci e comunicare perché “ci tengono divisi”. Una verità parziale, visto che lo stare divisi procedeva e continua a procedere molto spesso anche dal basso, prodotto dalla fatica che implicherebbe uscire dalla propria “bolla” di consolidate abitudini culturali. Un edificio comune (al quale ovviamente dovranno aggiungersene altri) potrà riuscire nel miracolo di farla esplodere? La politica, ancorché in ritardo, sta lentamente cominciando a fare la sua parte. Ora tocca a tutti noi.
Niente da ribadire sul
Niente da ribadire sul concetto di educazione. Fermo restando che per mè una scuola non va dedicata ad un suicida.Punto.