Compassione e giustizia
Qualche giorno fa il consigliere comunale (socialista) Claudio Della Ratta ha scritto il seguente post su fb:
Ma se una persona è insensibile (o meno sensibile, perché solo dispiaciuta) nei confronti di chi, a causa delle guerre o per migliorare la propria esistenza, è costretto o sceglie di fuggire dal proprio Paese, significa che può essere annoverato tra i razzisti? Io non credo. Non si tratta di avversità alla diversa razza o provenienza, si tratta forse di egoismo o di insensibilità nei confronti di chi è più sfortunato. Ebbene, penso di essere tra questi.
Come è facile immaginarsi, ne è nata una discussione piuttosto accesa (alla quale ho partecipato anch'io). Vorrei però qui rimandare, anzi abolire la ricerca di una risposta al quesito (retorico?) di Della Ratta sul suo eventuale razzismo, in fin dei conti sono fatti suoi, e concentrarmi su qualcosa di più essenziale. La domanda che mi interessa è quella relativa alla differenza tra "compassione" e "giustizia", o per meglio dire vorrei capire se la "giustizia" (tema verso il quale, da socialista, il consigliere Della Ratta magari dimostrerebbe una maggiore sensibilità) si origini inequivocabilmente dal sentimento della "compassione". Per mia grande fortuna ho trovato la risposta in un testo di Hannah Arendt, dal quale adesso traggo questa lunga citazione.
La fraternità, che con la Rivoluzione francese si è aggiunta alla libertà e all'uguaglianza, da sempre categorie della sfera politica - questa fraternità trova il luogo naturale tra gli oppressi e i perseguitati, gli sfruttati e gli umiliati, che il XVIII secolo chiamò gli sventurati, i malherureux, e il XIX secolo i miserabili, les miserables. La compassione, che in Lessing e in Rousseau (sebbene in contesti molto diversi) giocò un ruolo fondamentale per la scoperta e la conferma di una natura umana comune a tutti gli uomini, divenne per la prima volta il motore centrale della rivoluzione in Robespierre. Da allora, è diventata parte inseparabile della storia delle rivoluzioni europee. Certo, la compassione è senza alcun dubbio un effetto naturale della creatura che colpisce involontariamente ogni persona normale alla vista della sofferenza, non importa quanto estranea essa possa essere, e di conseguenza, estendendosi all'intero genere umano, potrebbe costituire la base ideale di un sentimento in grado di istituire una società in cui gli uomini possano veramente diventare fratelli. Attraverso la compassione, l'umanitarismo rivoluzionario dell'umanità del XVIII secolo cercava una solidarietà con lo sventurato e il miserabile, per risalire alla fonte stessa della fraternità. Tuttavia divenne presto evidente che tale umanità, la cui forma più pura è privilegio del paria, non è trasmissibile e non può essere facilmente acquisita da coloro che non appartengono al gruppo dei paria. Non bastano né la compassione né la condivisione delle sofferenze. Non è qui il luogo per discutere il danno provocato dalla compassione alle rivoluzioni moderne, quando ha tentato di riscattare la massa degli sventurati, invece di istituire la giustizia per tutti. Per prendere una certa distanza rispetto a noi stessi e al modo moderno di sentire, potremmo richiamare brevemente come il mondo antico, tanto più esperto di noi nelle faccende politiche, considerava la compassione e l'umanitarismo della fraternità.
Interrompo la citazione, ma sarebbe interessante seguire l'opposizione finale sul diverso approccio del "mondo antico" nei confronti della compassione e dell'umanitarismo moderni, per sottolineare e ripetere quello che ho già evidenziato nel testo: "Tuttavia divenne presto evidente che tale umanità, la cui forma più pura è privilegio del paria, non è trasmissibile e non può essere facilmente acquisita da coloro che non appartengono al gruppo dei paria. Non bastano né la compassione né la condivisione delle sofferenze ". Mi pare che qui la Arendt si spinga ad affermare che ciò non sarebbe neppure auspicabile ai fini di istituire "la giustizia per tutti", visti i "danni" provocati dalla compassione nelle "rivoluzioni moderne". E dunque? Dunque è chiaro che la compassione - "privilegio dei paria" - non sia affatto quel passaggio obbligato che il consigliere Della Ratta dichiara di non voler attraversare, anche a costo di sentirsi dare del razzista. Razzista sarebbe piuttosto colui il quale si oppone a perseguire un'ideale di giustizia, indipendentemente dai suoi sentimenti personali. Ma sul punto specifico Della Ratta non si è espresso, evidentemente già pago di essersi dichiarato "insensibile".
Ricapitolando, una società più "compassionevole" non è necessariamente una società più giusta e la differenza non è da ricercare sul piano dei sentimenti privati, quanto nelle opere - in primo luogo legislative - rivolte a un esplicito contenimento delle ingiustizie. Se è del tutto inutile aspettarci da un consigliere comunale una sensibilità più spiccata di altre persone, il discorso cambia, e di molto, considerando i ruoli che ognuno di noi si trova ad occupare nella sfera pubblica.
Nonostante quanto appena detto, e spero lucidamente spiegato, mi rimane un dubbio. Ma davvero la compassione (senz'altro non doverosa, lo ripeto per tranquillizzare Della Ratta) è un sentimento inservibile per avvicinarsi all'ideale della giustizia? Non è possibile scorgere in essa almeno un ruolo, diciamo così, propedeutico?
Una lettera pubblicata dal settimanale Die Zeit riporta un episodio che vorrei riassumere in italiano (di seguito allego il testo originale). Su un treno tedesco, durante un controllo, un cittadino nordafricano è stato scoperto senza biglietto. Secondo le regole avrebbe dovuto essere consegnato alla polizia. Allora una donna si è offerta di pagare per lui il biglietto. 130 euro. Assistendo alla scena, chi ha scritto la lettera si è complimentata con la donna e le ha offerto un contributo. La donna, commossa, ha accettato. Anche altre persone, poi, hanno aggiunto i loro soldi.
Per fortuna su quel treno non viaggiava Della Ratta...
Un mio caro amico un giorno
Un mio caro amico un giorno mi illuminò citandomi la bella storia di Solidarność. Quel movimento, che viveva in un regime dittatoriale, non rivendicava la libertà (a differenza di alcuni partiti nostrani) ne tanto meno l'uguaglianza. Quel movimento poneva l'accento sulla solidarietà!
Io credo che alla base di tutto, prima del concetto di destra/sinistra, liberismo/comunismo/socialismo e così via, ci siano valori come rispetto, difesa della dignità,solidarietà.Tutti concetti che si possono riassumere con una parola: umanità! Senza tali valori non c'è praticamente nulla. Questo non lo dico io ma lo insegna la storia. Si potrà stare bene nel proprio orticello, ma sarà uno stato effimero, senza sviluppo, senza progresso. Ed è per questo che dobbiamo difendere l'umanità di questo mondo...
Fra tutti gli aggettivi
Fra tutti gli aggettivi citati a mio parere ne manca uno, il più importante: il rispetto.