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I pifferai del Virgolo

Alcune riflessioni sulla tendenza a far dipendere il futuro di Bolzano solo da quello che si farà o non si farà tra via Garibaldi, la stazione e il Virgolo.

Ci sarà ben stato un motivo - argomentava di recente un mio amico - se i nostri vecchi, che di queste cose ne capivano, hanno costruito delle bellissime passeggiate sulle pendici del Guncina e del Monte Tondo ed invece, per salire al Virgolo, hanno realizzato una Via Crucis.

Poco più che una battuta, ma è servita a farmi riflettere durante un periodo abbastanza lungo di assenza da Bolzano e di disintossicazione, salvo qualche sporadica occhiata alla home page di Salto, dalle truci vicende politiche locali. Sono arrivato così a pensare che noi bolzanini tutti, cittadini e amministratori, si sia rimasti vittime di una colossale allucinazione collettiva. Ci siamo convinti, forse perché incantati dal suono degli strumenti di una banda di abilissimi pifferai magici, che il destino della nostra città si giochi interamente in quel fazzoletto di terra che comprende la stazione ferroviaria e le sue immediate vicinanze, ivi compreso quel foruncolo di roccia che la sovrasta. Da mesi, da anni non si parla di altro e su altro non si combatte. Ma siamo proprio sicuri che le cose stiano in questa maniera?

Bolzano, va premesso, è una città fatta in un modo strano. La storia ha deciso che il suo nucleo originario nascesse in un angolo della grande conca. Lo sviluppo successivo, dal 1918 ad oggi, è avvenuto per forza di cose verso ovest e verso sud ed il centro antico è rimasto paradossalmente periferico rispetto al corpo della città moderna. Non a caso Bolzano è il luogo dove, come diceva il sindaco di un tempo Giancarlo Bolognini, gli autobus sono sempre pieni ma ci viaggia pochissima gente perché nessuno scende in attesa di sbarcare "in città" come usano dire i bolzanini quando devono recarsi dalle parti di piazza Walther.

Un paradosso urbanistico aggravato negli ultimi decenni dalla decisione, tutta politica, della Provincia Autonoma di stabilire tutti i suoi uffici, senza ormai quasi eccezione, proprio attorno al centro, con il bel risultato di rendere ancora più complessa la circolazione e di svuotare progressivamente zone come quella collocata sugli assi di corso Italia e corso Libertà, decretandone tra l'altro un decadimento che non basteranno qualche lampadina in più e due presepi nelle vetrine prima di Natale a fermare..
Ora su questo centro storico già così gravato da elementi di richiamo urbanistico, si vogliono far cadere altri e ancor più onerosi progetti. Tutto bene, a patto che si abbiano ben chiari anche i fattori negativi che sin qui, mi pare, siamo stati abbondantemente sottaciuti. Vediamo di farne un breve elenco.

 

Via Garibaldi e i giardini della stazione.

Mezzo secolo fa, quando chi scrive era ancora un ragazzino, la mamma gli raccomandò, come del resto facevano tutte le mamme dei bolzanini, per evitare accuratamente due luoghi della città: il Parco Petrarca dopo le otto di sera e i giardini della stazione a qualunque ora del giorno e della notte. Già allora dunque la zona era malfamata e, per quanto riguarda invece via Garibaldi, chi ha abitato questa città ricorda sicuramente il perenne presidio di alcune anziane signore che, ad onta dell'anagrafe, si ostinavano a praticare su quel pezzetto di marciapiede il mestiere più antico del mondo. Ed erano anni che precedevano di gran lunga l'avvento degli immigrati, dei negozietti etnici, dei money transfer.

Il fatto è che, in tutto il mondo, le zone immediatamente adiacenti alle stazioni ferroviarie sono l'inevitabile calamita per un'umanità marginale e dolente, non necessariamente dedita ad attività illegali, ma che comunque rende questi territori una sorta di "rifugio degli ultimi", ben poco compatibile con  le attività che normalmente si svolgono in altre parti della città. È una verità questa che dovrebbe essere ben chiara, senza bugie e senza proposte demagogiche, sia a coloro che parlano di recupero di una zona degradata della città, sia a coloro che opponendosi a questi piani dei privati vantano la necessità di restituire ai cittadini spazi verdi .

L'esempio della vicina Trento, in materia, è illuminante. Nonostante i lavori e le spese ingenti sostenute, piazza Dante resta un luogo poco raccomandabile. Per ottenere qualche risultato occorrerebbe forse recintare e chiudere il tutto col filo spinato durante le ore notturne e presidiarlo in armi durante quelle diurne con i risultati psicologici che tutti possono immaginare, ma probabilmente senza risolvere il problema. Si rifacciano dunque le case, gli alberghi e i negozi ma senza illudersi di cambiare faccia ad una zona di questo genere.

 

L'areale ferroviario.

Qui i pifferai magici hanno suonato un'intera sinfonia. Anche i più accaniti detrattori del progetto Benko sono convinti della bontà di un piano di recupero, dimenticando forse che uno degli elementi chiave di questo progetto è proprio costituito dall'inevitabile intervento dei privati.

A parte queste considerazioni, c'è da chiedersi come verranno utilizzati tutti gli ettari strappati alle rotaie. Le ipotesi, anche guardando il progetto dell'archistar viennese utilizzato per l'occasione, non sono poi molte: locali ad uso commerciale, uffici (pubblici e privati) e abitazioni.

Per quel che riguarda i negozi francamente non si capisce perché ciò che è stato definito come una sciagura per la realtà commerciale bolzanina se realizzato in via Alto Adige, dovrebbe essere un toccasana se costruito qualche centinaio di metri più lontano. Niente negozi dunque, dato che il rischio di mettere in pericolo il duraturo e redditizio monopolio degli affitti commerciali nel centro storico è troppo forte.

Sugli uffici non resta che ripetere quanto già accennato sopra. A Bolzano ci sono già migliaia e migliaia di metri quadrati di superficie per uffici desolatamente vuota. La Provincia, un tempo divoratrice bulimica di nuovi spazi, ormai è in fase di ripiegamento. I nuovi edifici da costruire sull'areale potrebbero essere riempiti solo a patto di svuotarne altri, accelerando magari quel processo di decadimento di altri quartieri già iniziato.

Non restano che le abitazioni. E qui di nuovo ci soccorre la saggezza degli anziani ferrovieri che, arrivati a Bolzano dopo il 1918, non esitarono ad appioppare alla zona il nomignolo poco tenero di "Siberia". È forse uno degli angoli più infelici dell'intera conca, poco adatto davvero ad ospitare case che si suppone dovrebbero essere più che lussuose. Anche qui ci soccorre l'esempio della vicina Trento. Non è bastato far firmare ad un'altra archistar, i progetti degli alloggi realizzati vicino al nuovo Muse per convincere gli acquirenti a metter mano al portafogli. Eppure anche lì, sulla carta, pareva un progetto da sogno.

 

Il Virgolo.

E torniamo al Virgolo e alla battuta del mio amico che poi proprio battuta non era. Certo i bolzanini del passato non si sono limitati a realizzare la famosa Via Crucis che porta alla bellissima chiesa del Calvario. C'era una cremagliera, poi sostituita dalla funivia, che fece la gloria di questo pezzetto di terra negli anni in cui i bolzanini ancora non potevano permettersi il lusso di una macchina per andare a passare i pomeriggi di festa dove preferivano. Con l'avvento dell'automobile la festa è finita. La cremagliera c'era anche sul Guncina ed è scomparsa, ma quelle passeggiate restano oggi uno dei tesori della città, così come quelle di Sant'Osvaldo. Il Virgolo invece, salvo il momentaneo utilizzo da parte di un circolo tennistico, è sparito completamente dagli orizzonti dei bolzanini, tornandovi, misteriosamente ma non troppo, solo quando un gruppo di costruttori ha deciso di tentare la sorte comprando i terreni dai  contadini in attesa di un futuribile piano di sviluppo edilizio. La cosa che incuriosisce è che tutti, palazzinari ed ecologisti, sono concordi nel ritenere assolutamente necessaria la realizzazione di un nuovo e costosissimo impianto di risalita come condizione per rendere fruibile la zona. Come se l'esistenza di una funivia, che tra l'altro costa agli altoatesini fior di soldi, fosse servita a garantire alla sovrastante località del Colle, uno sviluppo paragonabile a quello del Renon o di San Genesio.

La conclusione di tutto questo ragionamento? Potrebbe essere quella di ripensare attentamente, vista la fase di stallo cui la bocciatura del progetto Benko ha condotto, a tutto quanto è successo negli ultimi anni, smettendo di ascoltare la canzone dei pifferai magici, e a ridefinire, una volta per tutte, una scala delle priorità necessarie per la Bolzano dei prossimi venti o trent'anni, nella quale magari il centro finisca di essere l'unico oggetto di morbosa attenzione e ci si ricordi che il resto della città non può continuare ad essere considerato solo come un unico quartiere dormitorio.