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La domenica degli altri

La Chiesa, i piccoli commercianti e i sindacati alleati contro le aperture festive, ma di tutti gli altri "forzati" del lavoro domenicale non si preoccupa nessuno?

Ferragosto con le serrande alzate per parecchi negozi e grandi magazzini dell'Alto Adige. A Bolzano e Bressanone soprattutto i turisti, scacciati dal maltempo, hanno trovato un'alternativa nello shopping. All'indomani, puntuale, la presa di posizione del Vescovo che, per l'ennesima volta, si è richiamato al valori di una vita vissuta senza cedere ai demoni del consumismo, nel nome di giorni di festa religiosi vissuti nel riposo, nella famiglia, nella celebrazione dei riti tradizionali.

È una polemica, questa sul lavoro domenicale e festivo, che vede opposta da tempo la Chiesa ai titolari delle grandi catene di negozi, dei centri commerciali, degli ipermercati, che hanno di fatto abolito la chiusura settimanale dei loro esercizi. Una polemica nella quale, va ricordato, al magistero religioso si affiancano come alleati i piccoli negozianti, timorosi di essere ulteriormente schiacciati da una pratica commerciale cui non riescono ad opporsi e i sindacati dei dipendenti che contrastano vivacemente la pratica di imporre a commesse e commessi  il lavoro festivo.

La questione è annosa e si ripropone un po' ovunque, sia pur con accenti e caratteristiche diverse. In questi giorni, ha fatto parlare di sé, ad esempio, la querelle tra sindacati e municipio di Londra sulla proposta di aprire anche durante le ore notturne la metropolitana per soddisfare le esigenze di una città che ormai ha lasciato definitivamente dietro di sé la distinzione tra giorno e notte per quanto riguarda gli orari di lavoro, di vita, di fruizione dei servizi. Altra polemica, ma più casalinga, quella causata dalla decisione di una grande azienda di elettrodomestici di scavalcare le rappresentanze sindacali e di concordare direttamente con gli operatori orari e retribuzione del lavoro straordinario il giorno di Ferragosto.

A Bolzano però la questione finisce per assumere, proprio per quel che riguarda l'intervento della Chiesa, una caratteristica un po' particolare. È naturale infatti che i piccoli negozianti facciano muro contro le aperture domenicali della grande distribuzione delle catene. Per loro si tratta di vita o di morte. Altrettanto ovvio che sulla questione prendano una posizione decisa le organizzazioni sindacali anche se il rischio, come si è visto nel caso della grande azienda dei frigoriferi, è quello di restare spiazzati.

Quando però la Chiesa entra in campo proponendo una riflessione non più su questioni economiche o su opportunità contrattuali ma su valori assoluti che devono guidare la vita dell'uomo, è lecito porsi qualche interrogativo. Questi richiami, come detto, sono stati lanciati negli ultimi anni in coincidenza con l'affermarsi di un'abitudine ben definita: quella di tenere aperti i negozi. Eppure da sempre ci sono molte altre categorie di lavoratori per i quali quello del riposo domenicale e festivo è un diritto  negato.

Perché non pensare, ad esempio, allo stuolo di camerieri, cuochi, inservienti che tengono in piedi con il loro lavoro i bar, i ristoranti, gli alberghi, in Alto Adige come altrove. Per tutti costoro la domenica è un giorno di superlavoro nel quale non sarebbe nemmeno lontanamente possibile chiedere e ottenere il riposo da godere assieme ai propri familiari. Lavorano tutte le domeniche, a Natale, a Pasqua e a Ferragosto.

Se la questione è così come l'ha posta il vescovo Ivo Muser, non dovrebbe valere anche per costoro il diritto fondamentale al godimento del dì di festa?

Immagino senza sforzo l'indignata risposta: ma questi - si dirà - sono lavoratori che hanno scelto di operare in un settore per il quale le aperture festive domenicali sono una sorta di colonna portante, senza la quale tutto crollerebbe e quindi anche i loro salari. Quando sono stati assunti sapevano quello che li aspettava ed infatti non se ne lamentano più di tanto.

Come a dire che la questione è essenzialmente economica. Visto che bar e ristoranti fanno incassi record la domenica e nei giorni festivi, che gli impianti di risalita girano a mille che gli alberghi sono pieni a Ferragosto e tra Natale e Capodanno, è perfettamente giustificato che la gente vi lavori a ritmo continuo. Solo che, a voler esser pignoli, nel suo ammonimento la Chiesa non ha minimamente preso in considerazione i bilanci delle aziende, la loro redditività, il loro fatturato. Ha semplicemente detto che la nostra società dovrebbe essere non più orientata a consumare, spendere possedere, ma alla maturazione interiore dell'uomo che avviene anche fermando per un giorno il ritmo delle attività usuali e concedendo spazio alla maturazione degli affetti familiari.

Mi si spieghi allora perché dovrebbe essere negazione di ciò l'andare a far la spesa in un supermercato costringendo a rinunciare alla propria domenica commessi e cassieri, mentre invece viene considerato assolutamente naturale andare a pranzo in un ristorante facendo lavorare cuochi e camerieri, portare i figli in un parco dei divertimenti dove operano decine di addetti, o magari, secondo quella che è un'antica tradizione anche nelle nostre zone, passare il pomeriggio all'osteria a giocare a carte e bere vino.

A questo punto è lecito domandarsi dove porti questo ragionamento. Semplicemente alla constatazione per la quale l'indignazione morale rispetto alle aperture domenicali e festive dei negozi dovrebbe in qualche modo misurarsi con le proprie contraddizioni. La guerra economica tra piccoli e grandi esercizi e quella sindacale fanno parte della fase di maturazione e cambiamento della nostra società. Sono battaglie che, specie nella nostra provincia, vengono combattute con l'intervento attivo della politica schierata da sempre a favore del piccolo commercio e che cerca in ogni modo di contrastare provvedimenti di liberalizzazione varati a livello internazionale e nazionale. Se però tra le argomentazioni messi in campo si vogliono inserire anche quelle di grande valore etico proposte dalla Chiesa non ci si dimentichi che esse debbano essere fatte valere per tutti, non solo per i commessi inchiodati la domenica alla cassa di un supermercato ma anche per tutti coloro che senza essere impiegati in servizi inderogabili ed essenziali, alla domenica hanno dovuto rinunciare, per sempre.

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Sepp.Bacher Mi., 19.08.2015 - 13:41

Ich glaube, die Priester und Bischöfe sind die ersten, die das Gebot der Sonntagsruhe verletzen, denn für Sie ist der Sonntag der intensivste Arbeitstag, so wie in anderen Dienstleistungsberufen auch. Am siebten Tag sollst du ruhen! Ein wöchentlicher Ruhetag ist wichtig - warum muss es der Sonntag sein?!

Mi., 19.08.2015 - 13:41 Permalink
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Mattia Frizzera Mi., 19.08.2015 - 14:43

Vero, alla domenica lavorano anche tanti altri. Ma probabilmente nell'ambito del commercio lo "scontro" si è determinato perchè le aperture diventano "ideologiche": c'è chi pur sapendo di perderci economicamente (il personale costa moltissimo nei festivi) tiene aperto per discutibili questioni di "visibilità".

Mi., 19.08.2015 - 14:43 Permalink
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ferdinand tessadri Mi., 19.08.2015 - 21:52

Antwort auf von Mattia Frizzera

Se un commerciante vuol perdere soldi per"visibilità" sono affari suoi. Sono contrario a che ad un commerciante venga
imposto di chiudere o tenere aperto, pechè qualcun altro pensa di dover regolare la cosa. Se la domenica non fa affari,
chiuderà. Ma si sa che l' Unione commercianti, e compagnia politica relativa, sono anche in cerca di visibilità. Idem la Curia.

Mi., 19.08.2015 - 21:52 Permalink
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Sergio Sette Mi., 19.08.2015 - 16:14

Diciamo che ci sono aspetti di carattere sociale che andrebbero considerati: ad es. in una famiglia che ha persone con riposi setimanali in giornate diverse non si riesce mai a passare del tempo assieme. E' una questione di priorità : pensiamo sia più importante il lavoro, la crescita del PIL ecc. oppure la qualità di vita, la stabilità dei rapporti sociali, la famiglia ecc. ?
Sinceramente, pur non essendo nè cattolico o credente preferirei si tenesse un buon equilibrio fra le due cose, privilegiando la qualità della vita.
Riguardo alla domanda di quale differenza vi sia fra l'aprire un supermarket rispetto ad un'osteria la risposta è semplice: il secondo caso è un'eccezione rappresentata da particolari attività che proprio nel fine settimana vedono la loro clientela naturale, estendere la cosa al primo caso sarebbe trasformare l'eccezione (sensata, necessaria) in regola (non necessaria ma solo funzionale a particolari interessi)

Mi., 19.08.2015 - 16:14 Permalink
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Alberto Stenico Mi., 19.08.2015 - 17:59

Ad essere cambiati radicalmente negli ultimi anni, siamo noi consumatori. Alle prime aperture domenicali dei nostri supermarket, avrei giurato non avrebbe aderito quasi nessun consumatore bolzanino. Invece.....Dai piccoli negozi di vicinato, aperti fino a sabato a mezzogiorno e con regolare pausa pranzo durante la settimana, sono scappati i clienti...Alla spesa sobria e tradizionale, in negozi con poche centinaia di articoli, abbiamo sostituito la meta dove "si trova tutto". Siamo diventati così e nessuno vorrebbe tornare indietro. Nessuna legge ha imposto le aperture festive dei negozi: la legge le ha consentite ed i clienti (purtroppo, secondo me) le hanno approvate. Del resto la Chiesa, ai tempi del primo boom della motorizzazione, fine settimana libero e sci domenicale, si affrettò ad anticipare la S.Messa domenicale, al Sabato sera.

Mi., 19.08.2015 - 17:59 Permalink
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Sergio Sette Mi., 19.08.2015 - 18:16

Antwort auf von Alberto Stenico

Ma sei davvero sicuro che nessuno voglia tornare indietro ?
Ti sembra che questo nuovo modello sociale sia preferibile ?
Io trovo ad esempio tristissimo che la gente sia ridotta a fare compere la domenica, sia che si tratti di necessità (non ha tempo in altri momenti perchè troppo oberata da altri impegni) sia nel caso lo faccia perchè non ha niente di meglio da fare (che contando anche il posto meraviglioso dove viviamo è doppiamente triste). Poi magari è anche comodo, per carità, ma se ci si ferma un attimo ad analizzare gli effetti collaterali penso si possa fare a meno di tale comodità.
Senza parlare poi della qualità (e anche della scelta, ridottissima a causa della omegeinizzazione operata dalla grande distribuzione).
A mio parere è una scelta al ribasso dettata da semplici quanto poco convenienti (per i più) scelte di mercato.

Mi., 19.08.2015 - 18:16 Permalink
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ferdinand tessadri Mi., 19.08.2015 - 21:45

Antwort auf von Sergio Sette

Ma quale tristezza e relativo piagnisteo. Da cento anni la domenica mattina i negozi nei paesi restavano aperti perchè dopo la messa la gente li affollava. E il vescovo non ha mai messo parola. E per quale ragione uno si deve adeguare al suo modello
sociale? E' tristissimo che ci sia sempre ancora gente che crede di dover consigliare, od imporre, al prossimo come deve vivere. Sembrano i novelli sostituti dei preti. Se la gente non frequenta i negozi di domenica, chiuderanno.

Mi., 19.08.2015 - 21:45 Permalink
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Oscar Ferrari Mi., 19.08.2015 - 21:30

magari per qualcuno potrebbe essere più interessante sbrigare delle pratiche che comprarsi un vestito o un cellulare. Perchè gli uffici pubblici devono per forza essere esclusi dal discorso?

Mi., 19.08.2015 - 21:30 Permalink
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Alberto Stenico Mi., 19.08.2015 - 21:51

Caro Sergio Sette, diciamo che non Mi convince più che ci sia una separazione tra un "sistema" cattivo è un "popolo" buono. Sarà l'età o sarà il disincanto per aver sperimentato la distanza tra le buone intenzioni dichiarate e le azioni praticate. Personalmente la penso come te per quanto riguarda modelli di consumo e di vita e per quanto mi è possibile li pratico. Però credo che quello che ci succede intorno sia il risultato di quello che la maggioranza delle persone ha fatto proprio concretamente. I piccoli negozi ci sono ancora, basta andarci a far la spesa. I falegnami ci sono ancora e non occorrerebbe andare all'IKEA. In vacanza si potrebbe andare qui vicino, senza prendere aerei per mete esotiche. Si potrebbe mangiare solo verdura e frutta di stagione....Si potrebbe, si potrebbe, ma non si fa. Sostanzialmente e maggioritariamente non lo si vuole. Vuol dire semplicemente che siamo figli del nostro tempo, dobbiamo viverci dentro con le nostre idee, senza nostalgie di bei tempi andati che peraltro così belli non erano. Con obblighi e/o divieti dall'alto non si condiziona positivamente la mentalità delle persone. Ognuno è libero, di andare o meno a far la spesa la domenica. Se non ci andasse nessuno i negozi chiuderebbero di certo.

Mi., 19.08.2015 - 21:51 Permalink
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Paul Berger Sa., 04.03.2017 - 11:32

In Austria, Germania, Svizzera tutti i negozi e centri commerciali restano chiusi domenica e festivi e nessuno muóre di fame! Con 6 giorni in settimana noi tutti abbiamo sicuramente tempo abbastanza per fare la spesa!

Sa., 04.03.2017 - 11:32 Permalink