In attesa del 70º anniversario, che cadrà il prossimo anno, apprestiamoci ad assistere alle consuete celebrazioni per la firma del trattato De Gasperi Gruber avvenuta a Parigi il 5 settembre del 1946. Cerimonie in tono minore, lamenta su queste pagine Alberto Stenico. Si potrebbe in effetti fare parecchio di più, ma, visti i precedenti storici e l'aria che tira è già un miracolo che qualcosa si faccia.
A Bolzano, è bene non dimenticarlo mai, l'accordo di Parigi non ha mai goduto di grande popolarità. Per i sudtirolesi fu, nel migliore dei casi, un'abdicazione, un tradimento rispetto alle promesse di autodeterminazione circolate alla fine della guerra. Lo schiaffone che il povero Karl Gruber si prese in pieno volto, in una strada di Innsbruck, gli arrivò, idealmente, dalle mani di migliaia di sudtirolesi indignati dal fatto di ritrovarsi, ancora una volta, cittadini italiani. Dalla parte opposta non circolavano sentimenti più pacifici. Lo stesso De Gasperi, all'indomani della firma, fu processato dai componenti della delegazione italiana alla conferenza di pace di Parigi, accusato di aver svenduto inutilmente un pezzetto di sovranità nazionale. A puntare il dito, tanto per essere chiari, non erano solo i vecchi arnesi della diplomazia fascista o della destra liberale e nazionalista. Tra gli accusatori più implacabili vi era quell'Eugenio Reale, alto dirigente del partito comunista di Palmiro Togliatti, fede e le esecutore delle direttive staliniane, interprete dirigente della linea cominformista, assai poco tenera, in quegli anni, verso le rivendicazioni dei sudtirolesi.
Ed era solo l'inizio.
Per decenni dell'accordo di Parigi, in Alto Adige, si è parlato solo per contestarne l'attuazione da parte sudtirolese da austriaca, per sminuirne la portata e l'efficacia internazionale da parte italiana. Anche in tempi più recenti, risolta la grande crisi con la nascita della seconda autonomia, il trattato è rimasto sempre sullo sfondo, citato ed invocato all'occorrenza, ma raramente esibito per quello che è e che dovrebbe sempre più diventare: la vera e propria "magna charta" di un'autonomia della convivenza tra i gruppi linguistici che coesistono con difficoltà tra Salorno e il Brennero.
Le celebrazioni sono sempre state tiepide e poco sentite. Per sentir esaltare senza mezzi termini la lungimiranza di due uomini politici che seppero scommettere, in un'Europa ancora devastata dalla guerra e dagli odii nazionalistici, su un possibile futuro di convivenza, occorre andare, di tanto in tanto, a Vienna o a Roma, e quasi sempre a Trento dove si è fatto dell'accordo di Parigi un vero e proprio mito storico, facendo finta di ignorare che il Trentino non vi viene neppur menzionato.
Gli effetti di questa micragnosità si fanno sentire. Nel gruppo italiano, allevato per decenni a pane e nazionalismo da una destra che ha sempre visto nel De Gasperi - Gruber un tragico errore, fa molta fatica ad affermarsi un'opinione diversa. Meglio poi non chiedere neppure l'opinione di quei sudtirolesi, uno su tre se la matematica non è un'opinione, che alle ultime provinciali hanno votato per i partiti che sostengono l'autodeterminazione. C'è da dubitare in effetti che una giornata delle porte aperte basterà per cambiare le cose.