Gesellschaft | Media & società

Chiamatemi Erostrato

Alcune considerazioni sulla vicenda del bolzanino assurto a mediatica notorietà per le opinioni "estreme" espresse su Facebook.

La vicenda del bolzanino ora inquisito dalla magistratura per le opinioni espresse su Facebook in merito al bambino morto mentre tentava il viaggio della speranza verso i lidi europei,non meriterebbe soverchia attenzione, se non fosse che ci consente di svolgere alcune utili riflessioni e di ribadire alcuni principi che evidentemente, nei grande frastuono mediatico di questi tempi, si sono in parte perdute.

Il problema non è Internet.

È chiaro innanzitutto come vicende di questo genere non sono causate dall'avvento della rete. Le persone come il nostro concittadino ci sono sempre state anche prima della nascita del  pc. Le potevi trovare sedute al bancone di un bar, sulla panca di un'osteria, sulla panchina di un giardino pubblico. Tiravano un gran pugno sul tavolo e alzavano la voce per essere ben certi di attirare l'attenzione dei presenti e poi partivano con le loro filippiche contro il mondo, contro Dio, contro il bersaglio di turno, in un crescendo di aggettivi e di insulti mirato solo a sollecitare la reazione altrui, ingaggiare la rissa, molto spesso non solo verbale. Nemmeno l'alcol, si badi bene, era la causa di queste intemperanze, ma semmai solo un parziale lubrificante di un motore già bello acceso ed efficiente.

La reazione agli spropositi di questi personaggi era quasi sempre ben lontana dalle loro attese. La gente attorno faceva finta di non sentire, si spostava o, se il fenomeno tendeva a ripetersi, cambiava bar.

Poi è arrivato Internet che a questi soggetti ha solo offerto una possibilità nuova per raggiungere l'estasi della notorietà.

Si tratta infatti di persone affette da quella che, in gergo tecnico, viene definita una personalità di tipo "erostratico" (da Erostrato, pastore greco che pur di assurgere ad un qualche tipo di notorietà decise di dare alle fiamme il tempio di Artemide a Efeso. I suoi concittadini, per dargli giusta punizione, decretarono, inutilmente come si vede, che il suo nome fosse cancellato dalla storia). Il loro bisogno di farsi sentire, di trovare un pubblico, non importa se di critici o avversari, è talmente forte da far cadere ogni freno inibitorio, ogni limite dettato dalla logica, da buon gusto, dalla pietà.

I social media affermatisi nell'epoca di Internet si rivelano, in questo caso, uno strumento ideale per diffondere a una platea teoricamente infinita quei messaggi che prima rimbalzavano al massimo a qualche metro di distanza, ma da soli non basterebbero affatto a provocare quella triste notorietà che è poi lo scopo ultimo dell'intera operazione. Si guardi anche al caso di specie. La semplice pubblicazione su Facebook delle frasi poi incriminate non avrebbe dato luogo a grandi conseguenze. Qualche reazione stizzita o poco più. Occorreva un catalizzatore che estraesse dall'immensa palude dei milioni di "post" messi in rete ogni minuto proprio quello del nostro commentatore e ne facesse un "caso".

Come nei "talk show".

Il nostro catalizzatore ha preso questa volta le sembianze di una "blogger" da poco assurta al rango di commentatrice di costume per un quotidiano nazionale. È stata lei a individuare, con indubbia sagacia, nel "mare magnum" dei commenti quello, indubbiamente spropositato, del bolzanino e a rilanciarlo come se fosse la spia di un fenomeno molto più grande. Da quel momento la valanga mediatica, favorita anche dal particolarissimo svolgersi, in parallelo, delle vicende nazionali e internazionali sul tema dell'immigrazione, si è messa in moto con tutte le conseguenze che abbiamo visto e che ancora siamo destinati a vedere. È evidente che, da brava professionista della comunicazione e dell'informazione, la signora in questione, nell'affrontare il problema, avrebbe dovuto chiedersi se i commenti in questione erano stati scritti da persona che per il suo ruolo, per la sua rappresentatività sociale, politica, culturale poteva essere considerata come la sentinella avanzata di settori più o meno ampi della nostra società. Se si fosse posta questa domanda avrebbe dovuto rispondere inequivocabilmente con un no e quindi avrebbe dovuto lasciare perdere come totalmente irrilevante, sotto qualunque punto di vista, il commento in questione. Così facendo, però, avrebbe perso un'occasione per attirare un briciolo di futile e morboso interesse sulla sua attività. Viene qui alla luce il meccanismo che regola l'attività di questi operatori della comunicazione e/o dell'informazione. Il contenuto non importa, basta che faccia rumore. Tanto per fare un altro esempio, la signora in questione è la stessa che, un paio di mesi fa, pur di attirare su se stessa un po' di attenzione decise di partire all'attacco della figura dell'astronauta Samantha Cristoforetti. Nei giorni in cui tutti ne parlavano bene, le dedicò un paio di velenosi commenti. Si prese un bel po' di insulti ma l'obiettivo fu raggiunto. Come si vede le personalità erostratiche si moltiplicano.

Il meccanismo, si badi bene, è lo stesso che regola, in parte, il funzionamento dei talkshow televisivi. Gli ospiti, abbastanza spesso, non vengono scelti per le cose più o meno interessanti che sono in grado di dire, ma per l'attitudine che hanno ad erompere in piazzate e di insulti, ad avventarsi verbalmente, qualche volta anche fisicamente, sugli altri partecipanti, nell'abbandonare platealmente le loro poltroncine, scagliando a terra i microfoni e profferendo oscure minacce verso il vicino di sedia o il conduttore. È così che personaggi altrimenti condannati ad una giusta mediocrità, come ad esempio il critico d'arte Sgarbi o l'onorevole Alessandra Mussolini, continuano ad essere tra le "prime scelte" degli organizzatori di questi programmi.

Dovrebbe essere evidente, ma così evidentemente non è, che questa corsa ad arraffare ascolti e copie vendute con qualsiasi mezzo, rappresenta per i tradizionali mezzi di informazione e comunicazione una forma ben poco raffinata di suicidio. Il pubblico, drogato con questi sistemi, disabituato a valutare nel giusto opinioni espresse con moderazione, buon gusto, con quell'analisi a volte necessariamente complessa che esige dal lettore/telespettatore anche un po' d'impegno e di fatica per capire e formarsi un'opinione, pretenderà sempre di più, fino a che il limite naturale verrà raggiunto e resterà solo un vuoto disgusto.

L'analisi ci porta, in conclusione, ad alcune considerazioni che valgono anche ad illuminare lo scenario di alcune delle recenti polemiche sorte in Alto Adige proprio sul tema dell'uso di Internet.

Quella, proposta recentemente a livello politico, di bloccare, sui forum, tutti i commenti anonimi si rivela infatti una falsa soluzione. È vero che alcuni di questi cosiddetti "troll" si sentono autorizzati ad osare un po' di più rimanendo celati dietro un "nickname", ma è altrettanto vero, come dimostra il caso di specie, che la popolarità guadagnata sparandole più grosse degli altri è un premio altrettanto ambito.

Quanto alle possibili soluzioni dell'intero problema, non resta che concludere che non ve ne sono. L'unica strada da percorrere, a parere di chi scrive,è quella di creare all'interno della rete e dell'intero sistema dell'informazione della comunicazione dei luoghi sempre più ampi dove vengano applicate con intelligenza e rigore le regole della professionalità dell'etica deontologica, della responsabilità rispetto a ciò che si dice che ciò che si scrive. Saranno i campi trincerati dove esercitare la resistenza rispetto alla marea montante della futilità, della demagogia, della mancanza di rispetto nei confronti dell'umanità e della verità.

PS. A mio modo di vedere Salto è uno di questi luoghi.

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gorgias Di., 08.09.2015 - 20:53

Scrivere su facebook non è come brontolare nel bar, dove nella maggior dei casi si fa finta di non sentire, mà è come mettersi al centro della piazza e a gridare ad alta voce. Prima o poi le forze dell'ordine dovranno reagire.

Il raggionamento che si deve dare peso, se la persona ha una certa importanza, non la posso condividere, perchè prima la dice ella e poi senza ad acorgersi non si vede più la trasgressione.

Di., 08.09.2015 - 20:53 Permalink