Kultur | Tempi difficili

Perché il popolo non capisce l’arte contemporanea?

Tentativo non troppo snob di spiegare al popolo quello che non potrà comunque capire.

Il recente caso dell’opera d’arte eliminata dalle addette alla pulizia del Museion come fosse spazzatura l’ha dimostrato ancora una volta: il popolo non capisce l’arte contemporanea e - non capendola - tende a disprezzarla. Alla fine la ritiene un inutile (e costoso) balocco per pochi “iniziati”. Eroe del popolo è dunque il ragionier Fantozzi quando grida “La corazzata Потёмкин è una cagata pazzesca!”.  

Spiegare da dove nasca questa incomprensione è meno facile di quanto sembri, ma vorrei ugualmente provarci nel modo più diretto (e irriverente) possibile. Per farlo occorre in primo luogo chiedersi qual è l’orizzonte di attesa del popolo riguardo alle opere d’arte. Solo così, infatti, diventa comprensibile perché il popolo non può capire l’arte contemporanea. Unica avvertenza: se dico “popolo” semplifico ed estremizzo il mio personale snobismo (ciò non significa che non sia un po’ snob, anche se non sono così snob come potrebbe credere chi leggerà questo mio articolo).

Che cosa si aspetta il popolo da un’opera d’arte?

Il popolo pretende che un’opera d’arte sia comprensibile in base ad una pre-comprensione dell’artisticità formatasi approssimativamente tra la fine del medioevo e la nascita delle cosiddette avanguardie storiche (diciamo dalla fine del 1300 all’inizio del 1900). Per farla breve (e limitandoci alla “pittura”), secondo il popolo un’opera d’arte è un oggetto circoscritto, di forma rettangolare o quadrata, posto dentro una cornice. In questo modo abbiamo un “quadro” che, all’occorrenza, può essere appeso al muro di una chiesa o nel tinello di casa. Ovviamente il contenuto del quadro deve in qualche modo riprodurre qualcosa di altrettanto comprensibile e il criterio prevalente di apprezzamento, in base al quale ciò che è riprodotto può essere definito “riuscito” o “non riuscito”, dipende dal grado di verosimiglianza con quello che viene riprodotto. Se l’operazione è giudicata soddisfacente, il popolo esprime il suo giudizio propriamente di valore: bello, non tanto bello, brutto. Talvolta il riconoscimento della bellezza si accentua, e allora il popolo si emoziona. Forti emozioni sono provate dal popolo alle mostre degli impressionisti (riconoscibili dalle lunghe file agli ingressi dei musei che le ospitano). Dopo l’impressionismo, la cultura artistica del popolo in genere si arresta (già un artista come Picasso, per dire, viene avvertito come ostico e non è capito da tutti).

Quando si è rotto il paradigma della rappresentazione?

L’arte contemporanea nasce proprio quando la pre-comprensione dell’artisticità viene messa in questione. Le cosiddette avanguardie storiche (cubismo, futurismo, espressionismo, dadaismo…) propongono una sorta di abbandono della funzione riproduttiva dell’arte per sottolineare al contrario il processo creativo in se stesso. Ciò che gli artisti cominciano a fare non è, insomma, la semplice riproduzione di “ciò che sta là fuori”, ma evidenziano o come la realtà viene percepita soggettivamente dall’artista, oppure semplicemente gli strumenti e i processi del proprio operare. La massima evoluzione di questa tendenza si ha con l’astrattismo, l’informale e con altre correnti artistiche più recenti. Nella prima fase di tale evoluzione, i “quadri” diventano pure superfici di segni e colori, impronte di gesti, tracce che non rimandano a niente: solo a se stesse. In questo momento, davanti a simili opere, il popolo è perduto.

Il gioco infinito dei segni

Una volta liberatasi dal giogo della rappresentazione, l’arte contemporanea procede poi in ogni direzione possibile e, in breve, ogni oggetto (anche il più comune e persino repellente, come una lattina di birra o il secchio della spazzatura che sta sotto al lavandino) può essere investito di una qualche “funzione estetica”. Il discrimine tra ciò che è arte e ciò che non lo è – QUESTA E’ LA COSA CHE DEVE ESSERE AFFERRATA – non inerisce più necessariamente le fattezze dell’oggetto stesso, ma può e anzi deve essere individuato nel gioco complesso che si instaura tra la volontà espressiva del facitore e gli spazi culturali che sono preposti a veicolarne i contenuti espressivi. In pratica: basta che una galleria o un museo decidano di esporre quello che un artista propone loro (secondo criteri che non posso adesso spiegare) e quella “cosa” (non importa cosa sia, ripeto, giacché può essere letteralmente TUTTO) “diventa” un’opera d’arte. È il gioco infinito dei segni e dell’infinita interpretazione degli stessi. Un gioco, evidentemente, al quale non tutti sanno giocare.

Come ci si comporta davanti a una rivoluzione del genere?

Gli atteggiamenti possibili sono due (ovviamente estremizzo). O si capisce il motivo profondo della rivoluzione anti-rappresentativa (ma non è una cosa intuitiva, e dunque bisogna un po’ studiare per farlo) e se ne accettano le conseguenze, oppure si torna nel recinto dell’arte rappresentativa e ci si mette di nuovo in fila per godersi i girasoli di Van Gogh (che però, quando era vivo, non vendeva quasi nulla perché i suoi dipinti erano considerati a loro volta poco comprensibili). Il guaio, se di guaio si vuol parlare, è che chi ama i girasoli e odia, per esempio, la “Calamita cosmica” (opera di Gino De Dominicis), è intimamente convinto che solo i girasoli siano arte, e per questo si arrabbia molto quando sente, altro esempio, che la “merda d’artista” di Piero Manzoni può essere venduta a migliaia di euro al barattolo. Dunque non ci sta e pretende che la merda sia chiamata merda, non arte.

Riuscirà mai il popolo a capire l’arte contemporanea?

La risposta è no. Il gusto medio del popolo è un gusto, per l’appunto, “medio”, quindi abbastanza “di merda” e (paradossalmente) non può arrivare a capire che la merda di Manzoni (pur essendo sicuramente “anche” merda) non è “solo” merda. (Del tutto impossibile, poi, spiegare al popolo perché non tutte le merde possano finire in museo nonostante molte delle opere finite in un museo siano in realtà autentiche merde: ma qui si entra veramente nel difficile). Dalla merda di Manzoni il popolo continuerà ad aspettarsi sempre e solo che assomigli a un “quadro” di Renoir e – visto che palesemente non gli assomiglia – non potrà mai ammettere che si tratti di arte. Neppure di arte “diversa”, visto che i gusti del popolo sono dittatoriali e perciò propensi a ritenere che l’arte sia solo quella che ci si è abituati a riconoscere come tale. Quindi? Quindi bisogna avere pazienza e aspettare che i piccoli “incidenti” di percorso, come quello avvenuto al Museion, vengano dimenticati. Il popolo, del resto, anche se a volte finge il contrario, non dimostra un vero interesse neppure nei confronti dell’arte che sembrerebbe interessargli di più.