Kultur | Memoria

Il mio Pasolini

Quaranta gocce per il 40° anniversario della morte dell’intellettuale bolognese: “Dripping Pasolini”, un racconto ispirato.

L’anno che uscì Teorema, il 1968, Roger Ebert, (indimenticabile) critico cinematografico americano, disse che quando gli capitava di recensire Pasolini riceveva sempre lettere stizzite di cinefili che lamentavano il fatto di trovarsi davanti, tutte le volte, un film senza senso. Perciò, scrisse, chiunque pensi che il cinema debba avere in ogni circostanza un riconoscibile “common sense” dovrebbe stare alla larga da Teorema e chi invece volesse accettare la sfida finirebbe probabilmente col sentirsi disorientato, confuso, forse perfino indignato.
Costruire un prisma di sentimenti “totem” quando si tenta di accostarsi alla vita, all’arte, alla poetica di Pier Paolo Pasolini è un esercizio ozioso perché insolvibile: un suo verso, un fotogramma dei suoi film, una spregiudicata provocazione, una riflessione teorica genera ad ogni rinnovato approccio uno stordimento altro, forse un’epifania trascurata, qualcosa che prima era sfuggito. Ecco perché, verrebbe da dire, Pasolini è un viaggio che bisognerebbe compiere da soli. E poi tornare a raccontarlo. Dripping Pasolini (il nome “dripping” si ispira alla tecnica artistica di Jackson Pollock) è il racconto personale di Gabriele Di Luca, insegnante, editorialista del Corriere dell’Alto Adige e blogger di salto.bz; un ricordo del poeta dal multiforme ingegno - a quarant’anni dalla morte avvenuta il 2 novembre 1975 a Ostia - “attraverso 40 piccole inserzioni”, 40 scatti di memoria che ne indagano la vita e l’opera.

Comprimari della serata, che si è tenuta alla libreria Ubik di via Grappoli a Bolzano, i raffinati intermezzi musicali del violinista e direttore artistico e musicale dell’Ensemble Conductus Marcello Fera, e l’excursus storico-biografico di Pasolini a cura di Emanuela Scicchitano, professoressa di lettere al liceo Carducci. “Pasolini è quasi un Ulisse moderno che ci ci invita a sfidare il mondo della conoscenza; egli aveva una costante nostalgia del futuro, motivo per cui sperimentava di continuo, schiavo di una ‘disperata vitalità’”, ha spiegato Scicchitano mostrando poi l’opera di street art di Ernest Pignon-Ernest (apparsa sui muri di Roma lo scorso maggio e poi vandalizzata) che raffigura l’intellettuale bolognese mentre tiene in braccio se stesso, morente. Una sorta di “Pietà laica”, come è stata definita da qualcuno. 

Di Luca ha poi conquistato il “proscenio” evocando, in ogni fibra del suo appassionato monologo, il genio narrativo di Pasolini; la grandezza estetica; la sua peculiare conoscenza antropologica del reale; la grazia ruvida, monellesca dei suoi ragazzi di vita e l’innocenza perduta; la spinta esistenziale; la borgata e l’incoscienza dei reietti e molto altro ancora. Un potente generatore di immagini che è un antidoto infallibile contro l’incostanza della memoria.

34 (La solitudine). “Bisogna essere molto forti per amare la solitudine”. È l’attacco di un celebre frammento che porta il titolo Versi del testamento, ed è incastonato nella raccolta Trasumanar e organizzar del 1971. Pasolini è stato inchiodato alla solitudine, come lui stesso aveva compreso benissimo, trovando le parole più affilate per dirlo, dal moralismo e dal qualunquismo della società italiana, ovvero dalla loro “abietta alleanza”. Per sfuggire a una tale, sterminata, solitudine, non gli restava che farla deflagrare creativamente in opere sempre più dure, oppure, e sono rari momenti, defilarsi preparandosi a morire: “Non c’è cena o pranzo o soddisfazione del mondo, che valga una camminata senza fine per le strade povere, dove bisogna essere disgraziati e forti, fratelli dei cani”. (Gabriele Di Luca)

Il testo completo di Dripping Pasolini è disponibile a questo link.