Gesellschaft | L'incontro

Nel bunker della memoria

“Cadorna va cancellato dalle strade e dalla storia?”, e soprattutto: il dibattito interessa realmente ai cittadini o è solo un trampolino per le speculazioni politiche?

Cambiare il nome di via Cadorna a Bolzano: per alcuni un accanimento postumo, per altri condizione necessaria al fine di rimuovere una memoria inequivocabilmente scomoda. Una densa discussione sull’argomento (che il centenario della Grande Guerra ha contribuito a rinvigorire) si è tenuta ieri sera, 21 novembre, al Museion - organizzata dalle associazioni Arci e Deina nell'ambito di “Impronte di storia — una via per capire” - alla presenza di Hannes Obermair, storico e direttore dell'Archivio comunale ed Ettore Frangipane, giornalista e scrittore; moderatori Alessandro Huber, presidente di Deina ed esponente Pd, e Luca Sticcotti (salto.bz).  

“È bene affrontare la questione purché si seguano determinati criteri in modo da incanalare il dibattito nella giusta direzione - ha esordito Obermair -; Cadorna è stato uno dei generali più feroci del primo conflitto mondiale, denigrato dopo la sconfitta di Caporetto e riabilitato nel 1924 da Mussolini che lo nominò Maresciallo d’Italia, un’onorificenza fascista che concorre a rendere invisa la sua memoria”. 

Se si cambia la denominazione di via Cadorna - chiede Sticcotti - lo stesso processo va eseguito anche per le altre strade che portano nomi di ispirazione bellicista o fascista, e a Bolzano non mancano. Il caso di via Cadorna, spiega ancora Obermair, è emblematico, “anche per via del fatto che si trova vicino a una scuola, probabilmente molti studenti non se ne rendono conto o non sanno nemmeno chi è Luigi Cadorna ma la domanda resta, è educativo o diseducativo che la strada mantenga quel nome?”

Il generale Luigi Cadorna

Secondo Frangipane il tema generale è piuttosto complesso, Cadorna immolò indiscriminatamente centinaia di migliaia di soldati, eppure - afferma il giornalista - “non è più colpevole di tanti altri, la guerra, a quel tempo, si conduceva così, come del resto raccontano fedelmente film come Orizzonti di Gloria di Stanley Kubrick o Uomini contro di Francesco Rosi”. “Ciò che mi lascia perplesso - precisa Frangipane - è che un intero rione sia dedicato a una guerra”. Si parla, ad esempio, di via Armando Diaz e via Col di Lana, la quale richiama un episodio storico “che dobbiamo commemorare come una vittoria italiana o come una strage degli austriaci? Le possibilità di interpretazione sono molteplici ed è complicato decidere, ma a me sembra un dibattito che non interessi più di tanto alla collettività se non quando viene strumentalizzato politicamente, quando si lascia spazio alla polemica, al populismo e al nazionalismo più basso. Il punto è che alle vie non si dovrebbero dare nomi di battaglie o di eventi luttuosi”.

E se invece - azzarda Huber - nell’ottica di un opportuno depotenziamento, si decidesse di spiegare i toponimi, ad esempio depositando accanto al nome della via una targa per contestualizzare il relativo quadro storico? “Un’ipotesi interessante - risponde Frangipane - anche se c’è il rischio che una targa possa diventare oggetto di vandalismo”. “C’è una certa ‘maschilizzazione’ della nomenclatura delle strade, peraltro spesso imbevuta del bellicismo più becero - interviene Obermair che poi lancia una proposta -, perché non intitolare più strade alle donne? Alla giovane vincitrice del premio nobel per la pace Malala Yousafzai, per esempio, o alla scrittrice Simone de Beauvoir”. 

Idee arrivano infine anche dal pubblico in sala: coinvolgere i giovani nella decisione sui nomi delle vie, come “tattica pedagogica” e allenamento al problem solving o ancora di costituire un gruppo “civile”, immune dal contagio politico, che affronti una seria riflessione sul tema. Volontari cercansi.