Politik | gap generazionale

“Attuale come un floppy disk”

I giovani chiedono più spazio nella res publica. Repetto: “c'è la Consulta”, Huber: “vecchie logiche”. Cos'è che i politici si ostinano a non capire della new generation?

Da tempo ormai immemore si denuncia in modo trasversale una progressiva crisi di partecipazione giovanile alle strutture politiche tradizionali. Manca la fiducia nei partiti - considerati in molti casi ostacolo alla democrazia vera - ma non necessariamente nella cosa pubblica (garbata ovvietà che spesso, tuttavia, si tende a sottovalutare). A dirla con Ilvo Diamanti, insomma, “i giovani sono l'amplificatore del ri-sentimento politico della società italiana”. Sempre di più le nuove leve cercano (e trovano) canali non gerarchici - e la rete ne è un esempio lapalissiano -, pensatoi dove elaborare nuove idee, proposte e soluzioni con il tipico approccio pragmatico, vedendosi tuttavia spesso rispondere marameo dai cosiddetti “padri nobili” della politica. 

Accade ora che una domanda, da rubricare piuttosto sotto la voce “provocazione”, sia stata lanciata su Facebook dall’esponente Pd Sandro Repetto (tutta scritta in un caps lock quasi ammonitore): “trovo molto positivo che i giovani rivendichino spazi in ambito cittadino e ruoli in politica, Ma qualcuno di loro mi sa spiegare il mancato interesse nei confronti dell’istituenda consulta comunale che si prefigge proprio questo coinvolgimento?”. Il primo a rispondere è stato il collega di partito Alessandro Huber che ha sottolineato la vetustà del mezzo: “quando si parla il linguaggio degli anni Ottanta con chi negli anni ottanta è nato (se va bene), non ci si può stupire poi di non essere presi in considerazione. La consulta dei giovani è uno strumento attuale quanto il floppy disk”. A fargli eco, poco dopo, è stato Angelo Gennaccaro, l’ex candidato sindaco di “Io sto con Bolzano”: 

“In più battute abbiamo provato a chiedere qualcosa di più coraggioso, optando, con tutte le difficoltà del caso, ad una modifica dello statuto. Statuto che, modificato, avrebbe consentito almeno l'elezione diretta dei membri. Come evidenziato anche in aula, la consulta così strutturata, finisce per essere un luogo di nominati, tenendo così lontane le vere realtà giovanili cittadine, che, a mio dire, non possono essere sintetizzate solo attraverso associazioni giovanili o centri giovani. Di partecipazione giovanile in questo ‘esperimento’, ho faticato a vederne ombra. Da un amministrazione pubblica come la nostra, che si propone di coinvolgere i giovani cittadini nella formulazione delle proprie politiche, ci si sarebbe aspettato, quantomeno, qualcosa di meno macchinoso e più comprensibile”. 

Un episodio che, se possibile, sottolinea ancora più pervicacemente una distanza ormai siderale fra vecchia e nuova generazione. La Consulta è un organismo di rappresentanza giovanile nato nel 2014, pensato per essere “un tramite fra i ragazzi e l'amministrazione cittadina” - come la definì all’epoca l’assessore Mauro Randi - e composto da 18 giovani tra i 16 e i 25 anni. Un tentativo finito sostanzialmente nell’oblio. “Sono logiche stantie, si propone la Consulta delle donne, quella degli immigrati o dei giovani, come se queste fossero persone diversamente abili e strumenti del genere fossero l’unico modo per contribuire alla vita pubblica”, riferisce a salto.bz Alessandro Huber. “Come si fa a fare una Consulta dei nominati pensando ancora che la nostra società giri ancora nelle parrocchie, nei centri giovani o intorno a un certo tipo di associazionismo?” aggiunge il giovane esponente Pd.

Si tratta quasi di un cortocircuito semantico, ma, viene da chiedersi, è opportuno trascurare questa militanza spesso appassionata e generosa? “L’Italia non ha la predisposizione per inglobare le idee nuove o quelle fuori dal coro, i giovani non si riconoscono minimamente nella politica perché questa non dà risposte alle esigenze scandite dalla loro quotidianità. Capisco che Repetto abbia voluto porre l’attenzione sulla questione giovanile ma quella individuata non è certamente una modalità adatta ai tempi che corrono, c’è di base un gap generazionale, ampliato e accelerato anche dall’avvento delle nuove tecnologie, che va superato al più presto”, spiega Huber.

Alessandro Huber/Facebook

Il punto, precisa il membro della segreteria dem, è che “finché i giovani vengono inquadrati come un problema (perché, ad esempio, fanno baldoria in piazza delle Erbe la sera), e non come una risorsa, questa fascia elettorale nello specifico continuerà a non andare a votare”. Il problema è nel messaggio da veicolare: “bisogna che la politica locale torni ad occuparsi dei giovani e del loro futuro, del fatto che non trovano lavoro e che a trent’anni sono costretti ancora a vivere a casa dai genitori. Se si parla di queste cose si recupera credibilità, se si discute delle logiche delle alleanze, delle percentuali delle soglie di sbarramento per la legge elettorale difficilmente si riesce ad attirare le nuove generazioni”, avverte Huber.

Ciò non significa che chi è anagraficamente più lontano dal mondo giovanile non sappia rivolgersi a questa determinata categoria, “anche perché se non segnano le preferenze nemmeno sui rappresentanti politici più giovani qualche domanda dobbiamo farcela anche noi - ammette infine Huber - ma il fatto è che se un ventenne vuole andare a fare politica va a fare politica, non usa la Consulta, piuttosto si dovrebbe pensare a una sorta di patto intergenerazionale, valutare progetti condivisi e operazioni politiche che mettano al centro lo sviluppo della città anche per i più giovani, che altrimenti si ritroveranno un domani ad avere 40 anni senza mai essere stati trattati, in un certo senso, da adulti”.