Politik | toponomastica

Quali sono i veri relitti fascisti?

I cosiddetti relitti fascisti sono da anni oggetto di accese discussioni in provincia di Bolzano.
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Alcuni politici locali identificano questi relitti in monumenti, insegne o scritte istallate durante il periodo fascista per certificare l’italianità del territorio locale. E’ più che comprensibile che da molte parti della popolazione queste installazioni non siano visti con simpatia e che, per taluni personaggi, siano addirittura un vero e proprio oggetto di ossessione. Ma è giusto limitare a tali manufatti e simboli la memoria non ancora elaborata del trauma del totalitarismo fascista?

A giudicare dalla piega assunta dalla discussione sulla cosiddetta toponomastica, il lascito del fascismo sembra essere purtroppo molto più profondo e più radicale. I totalitarismi non avvelenano la società soltanto quando i regimi che li rappresentano sono in vita, ma anche dopo. Negli anni e nei decenni successivi. Alle volte anche nei secoli.

Il fascismo, come ogni altra forma di totalitarismo, si basa su alcuni principi che lo rendono evidente anche nei casi in cui, e non sono pochi nella storia, il sistema politico che ne è susseguito cerchi di ripudiarne, spesso in pompa magna, i valori e i principi fondanti.

Ma come è possibile che anche istituzioni e persone che si dichiarano fermamente antifasciste, che sono emerse dal periodo tragico della sopraffazione del più forte sul più debole, alla prova dei fatti, rivelino forme di pensiero così terribilmente tipiche dei sistemi totalitari?

Prendiamo come esempio l’onorevole Karl Zeller: stimato avvocato e paladino della rielaborazione del torto storico della toponomastica di Tolomei. Un politico dichiaratamente democratico, che si ispira, probabilmente in modo convinto, ai valori della democrazia. Possiamo rilevare nel suo comportamento e nelle sue parole degli ultimi mesi e giorni, tracce

delle ideologie totalitariste?

La domanda sembra provocatoria. Ma se rileggiamo le parole di Anna Harendt sulla banalità del male, potremmo scoprire che l’interrogativo poi così provocatorio non è. La Harendt è famosa per avere affermato che i gerarchi nazisti non erano persone sadiche e feroci, ma semplicemente individui con scarsa o nulla capacità critica, che eseguivano gli ordini e le convenzioni ritenute legittime dalle istituzioni e nella società in cui vivevano. Non brillanti sterminatori, ma persone con senso analitico modesto, prigioniere di schemi di cui faticavano in fondo a capire il significato più profondo.  La banalità del male per essere tale non implica lo sterminio fisico di milioni di persone. Il male è banale nella sua opprimente quotidianità.

Karl Zeller riassume nelle sue posizioni sulla toponomastica la convinzione che il torto subito dalla popolazione di lingua tedesca con l’italianizzazione dei nomi fascisti sia tale da richiedere un’opera di pulizia progressiva. Forse qualche nome potrà essere salvato, ma è necessario disporre di un meccanismo che verifichi la legittimità di tutti i nomi italiani. Uno a uno e tutto quello che non risulta in uso dovrà essere eliminato.  

La norma che prevede l’istituzione di una commissione paritetica dedita all’investigazione dell’uso effettivo dei nomi da parte dei diversi gruppi linguistici ha natura orwelliana. Dall’alto si pensa di decidere cosa è uso e cosa non lo è. Al di fuori dei confini della provincia di Bolzano, qualsiasi osservatore dotato di minimo senso di realtà, eguale se italiano, austriaco, inglese o eschimese, di fronte a tale proposta, o allargherebbe le braccia oppure si metterebbe a sorridere sull’effettivo fondamento democratico della soluzione. Qualcuno certo avanzerebbe dall’interno del sistema locale l’obiezione che solo chi è dentro può capire davvero il senso profondo della proposta. E’ una posizione che abbiamo più volte ascoltato in questi ultimi giorni e, a forza di ripeterla, qualcuno magari avrà anche pensato sia dotata di senso logico.  Ma come scriveva Max Weber, per fortuna, “’non occorre essere Cesare per intendere Cesare”. Non è necessario essere romani, per capire Roma. Ne essere sudtirolesi per comprendere il Sudtirolo.

Negli ultimi dieci anni sono spariti dalle cartellonistiche di montagna, ma anche di vallata, non solo i toponimi di fiumiciattoli, malghe o cime secondarie, ma anche le indicazioni in lingua italiana dei Comuni principali, delle tipologie di servizi di trasporto pubblico e delle caratteristiche delle configurazioni naturali del territorio (le specificazioni di cascate, fiumi eccetera che sono distinte dal successivo uso del toponimo). Di fronte a questa opera di pulizia linguistica, ossessiva e sistematica, dove erano i politici locali che si strappano oggi le vesti preoccupati della fine della pace sociale? Dove erano il vecchio leone Luis Durnwalder e la giovane colomba Kompatscher? Dove erano gli indefessi costruttori della convivenza? Dove gli assessori italiani e tedeschi alla cultura? Dove gli italiani “veramente autonomisti” che negli ultimi giorni hanno sentito così impellente il dovere etico e morale di dichiarare il proprio sostegno all’approvazione della norma sulla toponomastica? Forse ci dovremmo chiedere anche dove era la società civile della provincia di Bolzano, italiana, tedesca e ladina. Tutti in questioni più importanti impegnati, probabilmente.

Eppure, non si dovrebbe mai dimenticare che, ogni qual volta si è assistito nella storia alla rimozione di nomi e di elementi linguistici di un gruppo etnico, quel pensiero totalitarista che ha preso nel Novecento il nome di Fascismo era presente. Ogni qual volta un sistema di potere in nome di una lingua, di un popolo o di una razza prende decisioni che impongono l’eliminazione dei simboli e dei nomi che definiscono il bisogno di appartenenza e sicurezza di un gruppo minoritario abbiamo a che fare con i maleodoranti e spugnosi germi del pensiero totalitario.

Qualcuno sostiene che gli italiani non conoscano nemmeno i nomi della toponomastica minore della provincia per cui la rimozione dei nomi non utilizzati non può alimentare il sentimento di estraneità e disagio del gruppo linguistico minoritario. Le ragioni dell’opposizione all’approvazione della norma sulla toponomastica sarebbero dunque da ascriversi a un connaturato atteggiamento colonizzatore e nazionalista del gruppo italiano. Una sorta di caratteristica ascrittiva, secondo le opinioni dei più agguerriti oppositori dell’italianità, forse addirittura lombrosiana, riconoscibile dai tratti somatici della gente italica.

Se prendessimo seriamente questa argomentazione dovremmo però accettare anche l’ipotesi secondo cui i simboli, la lingua e i nomi non sono elementi costitutivi dell’identità di un gruppo sociale. Che per chiunque abbia un minimo di cultura umanistica, così come per chi a suo tempo si è impegnato in modo sincero per costruire una soluzione statutaria della questione sudtirolese, sarebbe come ammettere di non avere la più elementare base per comprendere i principi fondanti del funzionamento della mente umana. Perchè qui non si parla del singolo nome da eliminare, il nome della malga che nessuno conosce, ma di nomi che compongono un insieme culturale, un riferimento identitario che una volta messo in discussione in modo arbitrario non può generare, per il gruppo che di esso viene privato, comprensibile sconforto, sentimento di sudditanza e perdita irrimediabile del senso di appartenenza.

Tralasciamo dunque di commentare le prese di posizione, preoccupate e moraleggianti, di Palermo, Tommasini, Di Fede, e dei vari notabili del partito-stampella del vero sistema di potere locale che accusano il presidente del consiglio Bizzo di avere messo a repentaglio, con il suo veto all’approvazione della norma sulla toponomastica, il futuro stesso della convivenza locale. E torniamo al nostro avvocato Zeller e a quanti sostengono che l’eliminazione di nomi italiani settanta anni dopo la fine del fascismo costituirebbe la base per costruire, finalmente, una nuova era di prosperità e pacificazione sociale per tutti.  

Sono sinceri nelle loro convinzioni? Alcuni probabilmente si. Forse qualcuno pensa davvero  che il fantasma di Tolomei si aggiri ancora la notte per i sentieri di montagna, armato di piccone e badile, per ribadire i confini sacri della patria fascista. Ma se ci chiediamo per davvero se questi paladini della giustizia sono degli autentici democratici che lottano contro le ingiustizie causate dall’avvento dei totalitarismi, la risposta non può che essere negativa. Consapevolmente o meno, sono loro stessi il frutto del totalitarismo. Di cui incarnano ancora forme manifeste dell’ideale della supremazia di un gruppo sull’altro. Di cui esprimono il disinteresse nei confronti di chi non parla la propria stessa lingua e condivide la propria cultura. Da cui traggono la lezione che è attraverso le minacce e la forza che si raggiunge e si preserva il potere. Possiamo senza dubbio dire che se il totalitarismo è sopraffazione forzata, le parole di minaccia utilizzate da Zeller per ‘riportare alla ragione’ gli alleati non allineati sono parole fasciste. Possiamo certamente dire che l’eliminazione della toponomastica e della cartellonistica italiana in molte parti della provincia avvenuta senza che nessuno intervenisse per anni per dichiararne l’illegittimità, è un’azione tipica del pensiero totalitario.

A quali conclusioni dobbiamo arrivare allora se tutto quello che abbiamo visto in questi ultimi giorni non è solo una grande sceneggiata pre-elettorale che politici navigati hanno rappresentato per raccogliere i voti dalla pancia dell’elettore più sprovveduto?

La più triste e al tempo drammatica è che esiste ancora oggi in provincia di Bolzano un diffuso e inquietante armamentario di relitti fascisti. Che è composto non solo da manufatti e monumenti, ma anche forme di pensiero, atteggiamenti e comportamenti totalitaristici che devono essere scavati, resi visibili, e portati in superficie. Affinchè le ingiustizie del più forte sul più debole cessino di perpetuarsi. E affinche i nomi compaiano e scompaiano naturalmente, nell’uso autentico della vita quotidiana, senza che oggi nuovi gerarchi, e un domani magari nuovi podestà, ne decretino la rimozione, attraverso l’arbitrio e la forza.