Gesellschaft | Bilinguismo

Mono e stereo

Com’è difficile imparare la lingua del vicino. Riflessioni sul bilinguismo mancato in Alto Adige/Südtirol.
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Foto: suedtirolfoto.com
Certo, si può tirare in ballo il “sistema”. E' il “sistema” che ci tiene separati, che impedisce l'incontro, che ci chiude nelle “gabbie etniche” eccetera. Il “sistema” è un costrutto potente e suggestivo, però bisognerebbe anche osare chiedersi se davvero sia esso la causa prima e ultima del bilinguismo mancato in Alto Adige/Südtirol, documentato dallo studio Kolipsi 2.
A nostro parere c'è dell'altro. Diciamola così: non ci siamo poi tanto simpatici. Altoatesini e sudtirolesi non muoiono dal desiderio di incontrarsi e conoscersi. Non ci troviamo sufficientemente interessanti da volerci frequentare. Tutti concordiamo che è un vantaggio conoscere più lingue – in linea di principio. Però quando poi cerchiamo di viverlo, quel principio, finiamo quasi sempre per arrenderci. L'arte dello stare insieme richiede un certo impegno, una certa resistenza alle difficoltà che s'incontrano, ma evidentemente la motivazione non è sufficiente.
L'arte dello stare insieme richiede un certo impegno, una certa resistenza alle difficoltà che s'incontrano, ma evidentemente la motivazione non è sufficiente.
Naturalmente non tutto l'Alto Adige/Südtirol è così. Molte più persone che in passato vivono oggi in modalità stereo, o almeno conoscono la seconda lingua tanto da comprenderla e anche usarla. Questa crescita però sembra essersi fermata. Per quanto riguarda la comunità altoatesina, dopo l’entusiasmo degli anni ’90, regna una sorta di frustrazione per le difficoltà a raggiungere il “bilinguismo desiderato”.
Per quanto riguarda la comunità sudtirolese, è presto detto: andato a regime il principio del bilinguismo nella pubblica amministrazione, è venuta meno la necessità di usare l’italiano e quindi sono diventate sempre più rare le occasioni di parlarlo. Conclusione, se non per tutti, per la maggioranza delle persone: più comodo vivere in modalità mono, ognuno nel suo mondo, ognuno nella sua bolla.
Più comodo vivere in modalità mono, ognuno nel suo mondo, ognuno nella sua bolla.
Imparare una lingua, ovvero conoscere una nuova cultura, è un processo complesso, d'accordo. Però non partiamo da zero. Sappiamo cosa può favorirlo e cosa può ostacolarlo. Di certo, tutti i tormentoni etnici, a partire dalla toponomastica, funzionano da potente contro-motivazione. Illusorio è pensare che esistano metodi risolutivi: apprendimento “ludico”, “precoce”, immersione, Clil...
Ogni metodo, se applicato seriamente, ha i suoi vantaggi; ma la didattica ha i suoi limiti e nessuna può garantire studenti bilingui, così come si fabbricano pezzi in serie. Nefanda è poi l'aspettativa, incoscientemente coltivata, che una lingua possa essere data, ovvero ricevuta, come si dà o si riceve un sussidio, un posto di lavoro, una casa. Rivendicazionismo fuori luogo e fuori epoca.
Il “sistema”, la politica, la scuola devono dare possibilità e opportunità; devono creare condizioni favorevoli all'apprendimento e lavorare sulla motivazione: e in larga parte già lo fanno, anche se si può fare ancora di più. Dopo di che è la singola persona che ha da affrontare il suo percorso. Sarebbe bene ricordarlo ad alta voce.
 
Della scuola bisogna dire che quando anche fosse guidata dai più saggi, avesse i dirigenti più credibili, i professori più aggiornati, gli studenti più motivati, la didattica più efficace, le aule più attrezzate; quando anche riuscisse a lavorare nelle miglioristero condizioni immaginabili, la scuola, da sola, non ce la farebbe. La scuola, da sola, non basta per raggiungere un livello accettabile di bilinguismo in Alto Adige/Südtirol, perché studiare una lingua non basta: per apprenderla bisogna usarla. E per usarla bisogna frequentare chi la parla. E avere voglia di farlo.
Dovremmo essere convinti che quel contatto ci può portare sapere e piacere. Se però non lo siamo, c'è poco da aspettarsi.
Torniamo così al punto di partenza: parliamo sempre peggio la seconda lingua perché parliamo sempre meno con l'altro. A dispetto di molte dichiarazioni di principio, il nostro vicino non ci interessa. E' enfatico, ma inutile tirare in ballo la grande cultura italiana e la grande cultura tedesca, la funzione di questa terra come ponte tra culture. Il sudtirolese interessato alla cultura italiana, come il tedesco d'Austria o di Germania, va a cercarsela a Roma, in Toscana, in Sicilia se segue le orme di Goethe, insomma laddove essa è significativamente presente; di certo non va in via Torino a Bolzano. E viceversa un altoatesino interessato alla cultura tedesca, e così un abitante di un'altra città italiana, va a Berlino o a Vienna, non in Passeiertal – sia detto con tutto il rispetto per via Torino e la Passeiertal.
Per andare in quei luoghi, bisognerebbe essere interessati proprio a quelle specifiche realtà: alla comunità che abita i rioni costruiti negli anni '30, ovvero a quella che abita i paesi della valle. Dovremmo aver voglia di sapere di cosa parla e discute, come lavora, mangia, si diverte, in cosa crede. Dovremmo essere convinti che quel contatto ci può portare sapere e piacere. Se però non lo siamo, c'è poco da aspettarsi.