Nel 1885 veniva pubblicato in Francia il secondo dei romanzi che lo scrittore provenzale Alphonse Daudet dedicò a Tartarino di Tarascona, personaggio caricaturale, bugiardo matricolato, emblema di suprema infingardaggine. Nel libro, intitolato "Tartarino sulle Alpi", l'antieroe di Daudet, smessi i panni del cacciatore di belve feroci rivestiti nel primo volume, indossa quelli dell'alpinista e, sospinto da una moda che, proprio in quell'ultimo scorcio del secolo, stava prendendo piede, si spinge ai piedi delle grandi vette della Svizzera alla ricerca di emozioni e gloria.
Non staremo a seguire il protagonista in tutte le sue tragicomiche avventure. Ci basti rievocare quello che probabilmente rappresenta il culmine narrativo dell'intera storia. Ancora tremante per essere sfuggito alla morte, Tartarino viene a conoscenza, attraverso il segreto rivelato da un compatriota incontrato per caso, di una stupefacente realtà. Tutte le montagne della Svizzera, gli viene spiegato, non sono altro che un palcoscenico di cartapesta messo in piedi per soddisfare, senza pericolo alcuno, le brame dei novelli conquistatori di vette. Il fondo dei crepacci e' rivestito di gommapiuma, i torrenti sono regolati da complessi meccanismi idraulici.
Lasciamo all'eventuale curiosità del lettore lo scoprire come questa ennesima mirabolante fandonia finisca per generare una commedia degli equivoci che dopo aver sfiorato la tragedia si chiude, come sempre nei romanzi di Daudet, in amara farsa.
Lo spunto narrativo ci viene comodo, però, nel momento in cui gettiamo uno sguardo alla polemica di questi giorni, aspra, violenta, senza alcuna concessione reciproca tra gli opposti schieramenti come hanno da essere, oggidì, tutte le polemiche che si rispettino, nata dall'uccisione di un plantigrado nel Trentino.
Lungi da noi anche solo l'idea di andare ad infilarci tra gli opposti schieramenti, ma la questione ha toccato anche altri temi più generali come quello, appunto, del rapporto tra l'uomo e la natura che lo circonda. Un altro scrittore, ben lontano dall'ottocentesco Daudet, modernamente avvolto dalla sua bandana, reduce peraltro dall'aver manifestato chiari istinti omicidi verso i vandali che gli avevano rotto un vetro di casa, ha affermato tra l'altro che l'uomo dovrebbe ritrarsi davanti al tempio incontaminato della natura costituita dalla montagna, un universo nel quale egli è solamente un intruso.
Sembra quasi che lo scrittore, quello moderno s'intende, ritenga, quando si ferma sul limitare di un bosco, di aver di fronte un universo selvaggio incontaminato, dove vigono unicamente le leggi naturali, alle quali l'uomo non può far altro che inchinarsi.
Opinione rispettabile, ma, anche senza volersi rifare al paradosso ottocentesco che viene propinato al credulone Tartarino, piuttosto difficile da condividere.
È vero che, osservando le stupende fotografie scattate dai satelliti, nelle notti di cielo sereno, il semicerchio delle Alpi è come una nera parentesi nell'universo di luci dell'Europa urbanizzata. Da qui a pensare che quel buio possa ancora a rappresentare un'isola totalmente selvaggia ce ne corre. Forse è stato così sino a un paio di secoli fa, quando il rapporto con la montagna da parte delle genti che abitavano i suoi piedi è stato unicamente di sfruttamento economico, limitato nel tempo e nello spazio, dominato da un timore atavico per quei luoghi "alti" dove non si poteva e non si doveva vivere che poche settimane l'anno per non andare incontro a morte sicura. Un rapporto che, ben prima che Daudet scrivesse la sua parodia, era profondamente cambiato. Le esplorazioni di un'elite sono diventate, nel giro di qualche decennio, un'invasione di massa.
La verità, anche se a qualcuno essa dispiace, è che da molto tempo ormai la grande catena alpina di veramente selvaggio e naturale ha ben poco. All'epoca del turismo di massa, è divenuta il ben curato giardino dove vanno a ricrearsi milioni e milioni di abitanti delle pianure. Il fatto che esistano, tra i monti, zone ancora relativamente disabitate non cambia questo stato di fatto. O sono terre totalmente inospitali, oppure sono semplicemente paesi che l'uomo ha abbandonato a se stessi. Sono il simbolo dell'incuria, non della natura.
Il giardino delle Alpi è ovviamente ben diverso dal parco dei divertimenti di cartapesta nato dalla fantasia del romanziere francese. Aggrapparsi a una via ferrata mentre infuria un temporale continua a restare un esercizio altamente sconsigliabile, ma non più e non diversamente da quello di attraversare a piedi un'autostrada, di notte. L'uomo ha completamente antropizzato tutto il territorio, dal fondovalle, alle alte vette e la misura di questa attività è quella su cui si basa tutto il dibattito sulla tutela dell'ambiente, che spesso diviene solo tutela del paesaggio.
In questo giardino alpestre c'è posto ovviamente anche per gli animali. Anche qui però occorre aver ben chiaro che nella loro presenza, di qualunque specie siano, non c'è nulla di assolutamente selvaggio e naturale. Dietro ogni orso che si ciba di una pecora, c'è un impiegato amministrativo che rifonde i danni al proprietario del gregge. Ci piace però l'idea che nel nostro giardino alpino germoglino ancora le stelle alpine e passono sopravvivere i grandi carnivori che furono sterminati senza troppi scrupoli quando la montagna, tutta la montagna fu progressivamente assoggettata al volere dell'uomo.
Le Alpi non saranno quel circo di cartapesta immaginato nel 1885 da Alphonse Daudet, ma non sono neanche quell'isola selvaggia che esiste solo nella fantasia di un altro scrittore. Se ce ne rendessimo conto, forse, potremmo fare meglio i conti con il loro e il nostro futuro.