Il fatto che Silvio Berlusconi figuri tra i protagonisti dell'attuale campagna elettorale è qualcosa di miracoloso. La famosa “discesa in campo” – il momento che lo fece comparire al centro della galassia politica italiana – risale a ben 24 anni fa, poco meno di un quarto di secolo. Un periodo fin troppo vasto per non consentirci di comprendere nei minimi dettagli tutto ciò che è stato capace e in larghissima parte incapace di fare. I suoi più accesi sostenitori avevano così già pensato di averne avuto abbastanza. E persino i suoi detrattori, i persecutori che avrebbero voluto vederlo cancellato dall'azione della magistratura (dato che per via politica, cioè democratica, era così faticoso ombreggiarlo), i suoi più acerrimi nemici avevano cominciato a guardarlo con stanca indulgenza, come un ricordo, tutto sommato meno fastidioso del previsto, ma pur sempre un ricordo: distante, sbiadito, superato. E allora, come si spiega questa reviviscenza, questa resurrezione? Chi si è presentato davanti al suo sepolcro e ne ha fatto rotolare via la pietra pronunciando l'imperativo fatidico “Silvio, vieni fuori!”? Gli italiani ammazzano volentieri i propri idoli. Una volta relegato in un angolo, se non è sopravvenuta la morte fisica, difficilissimo che cambino idea e tornino ad acclamare qualcuno che ha visibilmente sulle spalle la polvere del fallimento. Invece Berlusconi è vivo e vegeto (più vegeto che vivo, per dir la verità) e ha ripreso a frequentare gli studi televisivi, risponde alle domande dei giornalisti (come un tempo, quasi tutte compiacenti) e assume addirittura pose da saggio statista di stampo europeo filo-merkeliano (cioè filo-culonainchiavabile). Un miracolo, appunto. Per spiegare il successo del primo Berlusconi, Edmondo Berselli aveva scritto: “Il fatto essenziale è che di Berlusconi sembrano avere bisogno non solo i berlusconiani innati, ma anche tutti gli altri. Ne ha bisogno la destra, per poter coalizzare leghisti e postfascisti superando le proprie idiosincrasie. Ne ha bisogno la sinistra, innamoratasi dell'idea di poter lottare contro un avversario, forse un nemico, così bene sbozzato” (Post italiani, 2003, pag. 56). Oggi questa analisi appare ben più datata del personaggio al quale si riferisce. Per spiegare in cosa consista il bisogno attuale del Berlusconi postremo dobbiamo arrenderci quindi a una evidenza angosciante: è il terrore dell'avvenire. Non avendo più alcuna capacità di sognare collettivamente qualcosa di nuovo, Berlusconi rappresenta la minima zattera legata con quelle poche sicurezze, déjà-vu e prevedibilità che ci permettono di tenerci abbarbicati a ciò che ci illudiamo ancora di essere. Per dirla con Ennio Flaiano: abbiamo ormai una tale sfiducia nel futuro, che facciamo progetti solo per il passato. Per questo molta gente è disposta a fingere di seguire ancora un tizio che, toccando ferro per lui, il prossimo 29 settembre compirà la bellezza di 82 anni.