Gli Italiani sono un popolo di filosofi. Filosofare diverte. All’uomo politico, poi, un po’ di conoscenze filosofiche hanno sempre giovato. Anche alcuni filosofi in carne e ossa gli sono stati sovente utili. Ogni regime ha avuto i suoi insegnanti di filosofia. Costoro si sono mossi nelle galassie del pensiero con la stessa agilità della massaia che va a fare la spesa. Vediamo, che cosa ci serve oggi? Qualche etto di burro, un litro di latte, una dozzina di uova, farina, pane, detersivo, sapone e un po’ di verdurine, ma bio.
Il filosofo contemporaneo si aggira nel grande supermercato delle idee e si serve compulsivamente. Un po’ di Kant, di quello non si può certo fare a meno oggigiorno. I greci? Perché no? Sono un evergreen, i greci. Aristotele, Platone e un po’ di Socrate, se si vuole proprio fare bella figura a cena. Come? Il carrello è pieno di vecchiume? Lo vogliamo modernizzare? Chi? Marx? Per carità, troppo compromesso. Marx proprio no, nemmeno bio. Hegel? Hegel! Che idea geniale! Hegel non lo conosce nessuno. O meglio, sì, tutti lo hanno sentito nominare, ma pochi lo hanno letto. E, tra quei pochi, quasi nessuno è riuscito a capirci qualcosa. Affare fatto. Prendiamo chili di Hegel. Con Hegel puoi farci quello che vuoi. La sua filosofia è tanto oscura che...può significare qualsiasi cosa.
Così, il dibattito pubblico italiano si è riempito improvvisamente di Grandi Filosofi che compaiono in televisione, scrivono libri, tengono conferenze a base di Hegel. Alcuni di loro scelgono la faccia di Hegel come immagine del profilo facebook. Altri postano video su youtube e per rendersi più esotici lo chiamano solennemente “lo Hegel”.
L’oscuro pensatore tedesco piace soprattutto ai filosofi assoldati dal nuovo corso populista. Hegel sarebbe stato il primo vero interprete dello Stato nazione. La sua etica, così come la sua filosofia, sarebbe culminata infatti nella potente affermazione della sovranità statale e nazionale. È davvero così? Non importa a nessuno, in fondo. Facciamo finta che sia così. E andiamo a raccontarlo a tutti in televisione. Così, Grandi Filosofi, che non leggono una parola di tedesco, se ne vanno in giro per l’Italia a raccontarci che Hegel aveva capito tutto e che se avesse beneficiato di una vita matusalemmica, se oggi fosse qui con noi, avrebbe di certo votato per il sovranismo.
Utilizzare la filosofia come un grande serbatoio di idee “usa e getta” è una grave malattia del pensiero. Una forma di demenza. O di schizofrenia. Di schizofrenia: questa moda scaturisce infatti da una dissociazione tra filosofia e storia, vale a dire dalla pretesa indipendenza del pensiero dal suo retroterra storico.
I Grandi Filosofi pensano che le idee non abbiano storia e che esse abitino i cieli dell’astrazione. Fuori dal tempo e dallo spazio, esse sono applicabili in ogni epoca e in ogni luogo. Poco importa se ne escono deformate, trasfigurate, deturpate. Importa che siano utili alla causa. Importa che siano addomesticabili agli scopi del regime. La verità, che oggi abbiamo dimenticato, è che tra storia e filosofia non vige una rigida ripartizione di competenze, come se vi potesse essere pensiero senza storia o storia senza pensiero. Abbiamo dimenticato, insomma, che tra storia e filosofia vi è e vi può essere solo identità. Quando si filosofeggia senza storicizzare ci si espone al rischio di falsificazioni. Si costruiscono stereotipi. Si contrabbanda per verità una qualche ideologia corrente.
Il filosofo che fa uso e consumo di idee è un ligio servitore del suo “Zeitgeist” e, sovente, del gruppo dominante che se ne fa interprete. Il filosofo consumista fa dire a Hegel quello che egli stesso vorrebbe che Hegel avesse detto. E vi è di peggio. Accanto all’utilizzo commerciale del pensiero quel filosofo commerciale abbraccia felicemente un’altra moda novecentesca e prende sul serio falsi profeti, ammettendoli senza indugio nel Pantheon della dottrina. Prende insomma dei granchi, scambia ombre per cose salde. Scambia nani per giganti.
Se entriamo in una qualsiasi libreria italiana, troveremo non poche traduzioni di Carl Schmitt. Se volessimo collezionare le tesi di dottorato dedicate in Italia a questo autore, potremmo riempirci dei magazzini. Tuttora molti filosofi e molti giuristi considerano il pensiero di Schmitt “utile” per decifrare il presente. Poco importa che questo triviale dilettante accademico abbia edificato le sue teorie per sostenere il regime nazionalsocialista. Poco importa che egli inventò la teoria polemologica dell’amico/nemico tra le tenebre che si addensavano ai suoi tempi. Poco importa, infine, che egli si vendette al regime per fare carriera. Se è utile, perché non accettarne la filosofia, astraendola dalla sua storia? Perché non accettare la storiella dell’amico/nemico, insieme con quella dello «stato di eccezione» che tanta sciagura portarono all’Europa e al mondo intero?
Perché non vendere Schmitt in libreria?
Anche Schmitt si aggirava nelle lande del pensiero con leggerezza. Acchiappava delle idee filosofiche un po’ di qua e un po’ di là e le proponeva al suo pubblico con abile e furbesca retorica. Ma oggi come allora ogni filosofia che prescinde dalla storia non è un innocente trastullo da addottrinati. Nasconde, al contrario, precise ideologie.