Gesellschaft | Gli studi

I sopravvissuti del coronavirus

Sindrome post-Covid, non sempre si guarisce del tutto. Le incognite sugli effetti a lungo termine. Alto Adige, l’epidemiologo Pattaro: “Vi spiego cosa potremo scoprire”.
Post-Covid
Foto: Unsplash

È nel qui e ora che la pandemia prospera, ma il dopo è già ora. Ammalarsi di Covid-19 può causare problemi per mesi. Non sempre infatti i pazienti, ufficialmente guariti da forme non necessariamente gravi dell’infezione, negativi al tampone, superano del tutto i postumi della malattia.

 

Gli studi, finora

 

Poco ancora si sa della cosiddetta “sindrome post-Covid” o “Covid lungo”. Eppure gli effetti a lungo termine della malattia “potrebbero rivelarsi un problema di salute pubblica più grande delle morti causate dal virus” afferma un gruppo di accademici britannici, autori del report Long Covid: Reviewing The Science And Assessing The Risk. Dallo studio del King’s college di Londra, realizzato con l’ausilio di un’app, coinvolgendo quattro milioni di persone, emerge che sessantamila pazienti hanno riportato disturbi per più di tre mesi dopo la fine della fase acuta (che dura al massimo 21 giorni). Spossatezza, mancanza di memoria, fiato corto, mal di testa e vertigini, alterazione dell’olfatto e del gusto, problemi di memoria, dolori articolari sono tra i sintomi più comuni nel post-Covid. Il 10% dei partecipanti allo studio ha presentato alcuni disturbi per un mese, mentre una percentuale tra l’1,5% e il 2% anche dopo tre mesi. In molti casi il virus - secondo i risultati preliminari dell’indagine britannica - provoca danni a più di un organo contemporaneamente.

Fra quelli già pubblicati un altro studio, questa volta a cura della celebre rivista scientifica Nature, mostra che le persone con infezioni gravi da Covid-19 potrebbero subire danni a lungo termine (problemi nei polmoni, ma anche nel cuore, nel sistema immunitario, nel cervello e altrove), “le prove di precedenti epidemie di questo tipo di virus, come la Sars, suggeriscono che questi effetti possono durare per anni”. Di solito i danni polmonari regrediscono progressivamente, puntualizzano i ricercatori che mettono in guardia anche sull’impatto a lungo termine dei casi meno gravi.

In merito ai danni sulla funzione cardiaca una ricerca pubblicata su JAMA Cardiology ha rilevato che su 100 pazienti che avevano avuto il Covid-19, 78 presentavano anomalie cardiache e molto spesso infiammazione del muscolo cardiaco a 10 settimane dalla diagnosi. Riguardo invece i disturbi cognitivi non è dimostrato che il virus abbia un’azione diretta sui neuroni, ma alcuni ricercatori ipotizzano che il coronavirus possa anche aumentare il rischio di sviluppare il morbo di Parkinson o quello di Alzheimer.

Ancora, uno studio effettuato su alcuni pazienti in Cina ha dimostrato che il 25% aveva una funzione polmonare anormale a distanza di tre mesi e che il 16% era ancora affaticato.

La Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs ha condotto un’indagine su 143 pazienti dimessi dall’ospedale; circa la metà di loro (il 53%) ha riportato stanchezza cronica e il 43% difficoltà a respirare a distanza di 2 mesi dalla fine della fase acuta dell’infezione. Dopo 2 mesi i pazienti lamentano in alcuni casi dolori alle articolazioni e al petto, e un buon 40% riferisce una riduzione della qualità di vita.

Un nuovo piccolo report condotto dall’università di Oxford su 10 pazienti tra i 19 e 69 anni, usando una nuova tecnica di risonanza magnetica - messa a punto dall’università di Sheffield - dimostra che i danni causati ai polmoni dalla Covid-19 sono ben visibili e persistono anche dopo oltre 3 mesi dall’infezione. Ora i ricercatori intendono ripetere la stessa sperimentazione su 100 persone per valutare se i risultati saranno i medesimi nei malati non ricoverati in ospedale e che non hanno avuto sintomi gravi. Il fine è scoprire se hanno danni ai polmoni, e se questi sono permanenti o passeggeri.

 

Il contributo altoatesino

 

Il campo entro cui si opera è ancora quello delle ipotesi, dato che non ci sono studi sistematici sul post-Covid. Quanto dureranno gli effetti della malattia, quale può essere l’entità del danno nel tempo, chi è più soggetto a contrarre il Covid lungo, qual è l’origine della sindrome sono i quesiti-cardine attorno ai quali ruotano le indagini che stanno impegnando gli scienziati.

Lo studio di follow-up più ampio è al momento il PHOSP-COVID, condotto nel Regno Unito per indagare gli effetti a lungo termine del Covid-19 in circa 10.000 soggetti per un anno.

Nell’ambito della ricerca farà la sua parte anche l’Alto Adige. Lo strumento è lo studio CHRIS, condotto in Val Venosta e nato con lo scopo di tracciare un quadro completo delle condizioni di salute della popolazione locale e migliorare la prevenzione, la diagnosi e i trattamenti delle malattie.

“Tredicimila persone hanno partecipato all’indagine e sono già state caratterizzate da un punto di vista clinico - riferisce a salto.bz Cristian Pattaro, epidemiologo, ricercatore presso l’Istituto di Biomedicina di Eurac Research e responsabile dello studio in questione -. Il loro stato di salute cardiovascolare e neurologico è stato monitorato fino al 2018, cioè quando ancora il Covid-19 non esisteva. Avevamo appena iniziato con il follow-up su 250 persone ma ci siamo dovuti fermare di fronte all’epidemia”. I piani giocoforza cambiano. Lo studio diventa allora un’occasione per comprendere, attraverso i dati raccolti, “i meccanismi dell’infezione da nuovo coronavirus e il rischio di trasmissione, le conseguenze nel lungo periodo e la durata dell’immunità”.

 

In sostanza, richiamando i partecipanti a sottoporsi a un secondo esame, “nel corso dei prossimi 5-6 anni sarà possibile avere dati puliti e solidi per esplorare quali serie di scenari potrebbe avere o non avere innescato l’infezione da coronavirus” osserva Pattaro. “È infatti grazie alla tempestività con cui stiamo raccogliendo le informazioni che potremo lavorare in futuro su basi sicure, perché sapremo che il processo di memoria del partecipante era corretto al tempo, avendo effettuato le rilevazioni durante la fase epidemica. Potremo quindi valutare se si manifesteranno ad esempio più eventi neurologici di qualche tipo, o se ci sarà una crescita degli indicatori di rischio cardiovascolare”.

Nel corso dei prossimi 5-6 anni sarà possibile avere dati puliti e solidi per esplorare quali serie di scenari potrebbe avere o non avere innescato l’infezione da coronavirus

Spiega Pattaro che il virus responsabile della Covid-19 penetra nelle nostre cellule legandosi al gene ACE2, gene che ha un ruolo fondamentale anche nella regolazione della pressione arteriosa. “Questo implica un effetto a lungo termine sulla salute cardiovascolare generale del paziente guarito dal coronavirus? Lo espone quindi a una mortalità precoce? O a eventi cardiovascolari in misura maggiore rispetto ad altre persone? Queste sono alcune delle domande a cui cercheremo di dare risposta. Tutto è ancora da scoprire”.

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Christian I Do., 10.12.2020 - 13:23

Questi studi sono sicuramente importanti e interessanti ma personalmente li trovo incompleti. Nel senso che parlano degli effetti a lungo termine riportando tanti sintomi e altrettante percentuali, ma non riportano possibili accorgimenti per contrastare l'insorgenza di queste complicazioni. Solo pochi media parlano della semplice assunzione di vitamina D (della quale noi tutti siamo carenti d'inverno!), vitamina C (ad alti dosaggi e solo da fonte naturale) e zinco per rafforzare il sistema immunitario e prevenire danni maggiori dovuti alla reazione immunitaria nel tessuto polmonare. Ma visto che se ne parla molto poco non si capisce la reale utilitá di questi consigli.
Visto che gli effetti a medio e lungo termine sono conosciuti sarebbe bello se gli stessi studi si occupassero anche delle possibili strategie per prevenire e limitare i danni.

Do., 10.12.2020 - 13:23 Permalink