Qualcuno potrà anche dirsene disturbato, ma siamo in guerra. Guerra anomala, se vogliamo, anche se la nostra storia, recente e remota è piena zeppa di accadimenti simili. A dichiararci guerra un organismo tanto minuscolo da sfuggire alla vista. Poco meno di due anni fa è uscito da qualche parte, lo stomaco di un pipistrello o la provetta di un laboratorio, ed ha iniziato la sua avanzata.
In questa guerra noi siamo contemporaneamente nemico e territorio da conquistare. Lui, il virus non agisce con lo scopo diretto di ucciderci. Vuole solo replicarsi all’infinito e noi, questa volta, siamo l’ambiente ideale per realizzare questa volontà. È successo molte volte nella storia dell’umanità e in un recente passato è capitato ad altre specie. Polli, maiali, bovini. Stavolta tocca di nuovo a noi, come nelle pestilenze medioevali o nella Spagnola del 18.
Solo che stavolta il nostro modello sociale fatto di grandi centri densi di popolazione e di possibilità di spostarsi freneticamente da un angolo all’altro del pianeta ha favorito la strategia dell’avversario, che è un nemico astuto ed ostinato.
Mette a frutto l’esperienza acquisita sul campo e cambia la propria natura per raggiungere lo scopo.
Siamo in guerra e ci difendiamo come possiamo.
Di primo acchito abbiamo rispolverato i rimedi classici: igiene, distanziamento, mezzi di protezione individuale come le famigerate mascherine. Poi, con un paio d’anni buoni di anticipo rispetto alle previsioni fatte all’inizio della pandemia, sono arrivati i vaccini.
La battaglia si prospetta lunga e difficile contro un avversario sfuggente e insidioso, ma lo strumento della vaccinazione, anche questo è un portato dell’esperienza passata, ci permetterà di isolare il nemico e di mussarne le armi più letali.
È una guerra asimmetrica che colpisce in modo ineguale.
A morire nella solitudine di un letto di terapia intensiva sono stati soprattutto anziani. Un’intera generazione decimata. Solo in Alto Adige se ne è andato un abitante ogni cinquecento. Se vi sembra poco.
Ci sono nel conto anche i guariti che si trascineranno i postumi per un tempo ancora imprecisato, ma ci sono anche le altre vittime. Danni collaterali verrebbe da chiamarli. Tutti coloro in primo luogo che in questi mesi non hanno potuto accedere alle cure per le loro malattie croniche o meno. In Alto Adige le diagnosi oncologiche sono calate, nei mesi scorsi del venti per cento. Sarebbe bello pensare che sia avvenuto perché i tumori si sono ritirati in buon ordine, ma così purtroppo non è.
Come sempre avviene in guerra ci sono i privilegiati. Sono coloro che, a torto o ragione si sentono immuni dal pericolo diretto, quelli che, per censo, possono tranquillamente voltare le spalle alla sanità pubblica stremata dallo sforzo di assistere i malati Covid e farsi curare nei centri privati dove con una carta di credito ben pasciuta si ottiene tutto, così come ci sono coloro che, al riparo di un reddito sicuro, possono ignorare il tormento dei molti che hanno visto il loro reddito sparire o ridursi drasticamente a causa delle limitazioni imposte dallo sforzo di contenere la pandemia.
Ci sono i ragazzi che stanno pagando duramente la chiusura fisica delle scuole e che sconteranno per tutta la vita questo handicap così come avvenne per i loro nonni e bisnonni che durante altre guerre furono costretti a rinunciare ad istruirsi.
A questo punto del conflitto ci sarebbe la possibilità di porre un limite serio a questi danni. La vaccinazione di massa potrebbe impedire o limitare la portata di altre ondate venefiche, permettere ai disgraziati che devono curarsi di farlo, ai bambini e ai ragazzi che devono ritrovare il filo smarrito del proprio lavoro di formazione di ricominciare, a interi settori produttivi di recuperare un minimo di efficienza.
È un obiettivo che, in Alto Adige più che altrove, sembra invece allontanarsi nel tempo.
Vi si oppongono tutta una serie di motivazioni più o meno condivisibili.
Ragionamenti cui potremmo anteporre una considerazione che scavalca di netto tutta la querelle sulla dittatura sanitarie e sul concetto vagamente anarcoide di libertà assoluta di disporre di sé stessi.
Bisognerebbe vaccinarsi con lo stesso spirito che anima chi parte per una guerra per difendere la propria terra e la propria gente. Sapendo che si potrà anche correre qualche rischio remoto e del tutto eventuale, ma che questo è necessario per evitare guai certi, prossimi e devastanti.
Occorrerebbe, vien da dire, un pizzico di patriottismo ed è paradossale che tra i più furibondi nel respingere questa chiamata alle armi vi sino alcuni tra coloro che della qualifica di patrioti si fregiano con ostentato orgoglio.