“CLIL in compresenza? Uno spreco”
Ancora a metà degli anni Novanta, chi, palando di apprendimento del tedesco, usava la locuzione “insegnamento veicolare” o, ancora peggio, "immersione" rischiava la scomunica. Potevi essere bollato come langeriano (ai tempi per i "governativi" era un'offesa da pronunciare con disprezzo) e finire nei campi di rieducazione autonomistica - se ci fossero stati - a recitare in loop il testo dell’articolo 19 dello Statuto: “Nella provincia di Bolzano l’insegnamento nelle scuole materne, elementari e secondarie è impartito nella lingua materna italiana o tedesca degli alunni da docenti per i quali tale lingua sia ugualmente quella materna. Nelle scuole elementari con inizio dalla seconda o dalla terza classe, secondo quanto sarà stabilito con legge provinciale su proposta vincolante del gruppo linguistico interessato, e in quelle secondarie è obbligatorio l’insegnamento della seconda lingua che è impartito da docenti per i quali tale lingua è quella materna”. Nei primi anni Duemila grazie al pionieristico lavoro delle dirigenti Rosetta Fronza e Mirca Passarella e alle prime sezioni sperimentali carbonare (Durnwalder non lo doveva sapere), il muro dei divieti ha iniziato a sgretolarsi e si è arrivati alle prime delibere dell’assessora Luisa Gnecchi e alla ufficializzazione della cosiddetta “scuola plurilingue” con Christian Tommasini.
L’approccio metodologico che prevede l’insegnamento di contenuti disciplinari in una lingua straniera è oggi conosciuto con l’acronimo CLIL, che sta per Content and Language Integrated Learning ed è consigliato dalle istituzioni europee a partire dai primi anni Duemila. Ovunque è considerato un metodo efficace per l’apprendimento delle lingue, ma richiede il rispetto di regole e procedure. Da un certo momento in poi, in Alto Adige, su pressione dei genitori, nella scuola italiana – e solo in quella – se ne è iniziato a fare un uso quasi smodato. I dirigenti, per non perdere studenti (ai tempi c’era un tentativo di esodo verso le elementari Longon e Manzoni) hanno iniziato a guerreggiare a suon di pacchetti da 12 -9 ore di tedesco, a suon di sezioni stra-bilingui, pseudo-bilingui e potenziate. Uno sforzo per molti aspetti comprensibile e sicuramente encomiabile (l’obiettivo di imparare meglio la seconda e la terza lingua è effettivamente un must per chi cresce dei figli in questa terra) che porta però con sé alcuni risvolti didattici potenzialmente negativi che sarebbero quanto meno da tematizzare e, soprattutto, da comunicare. Il tedesco un tanto al chilo crea inoltre grossi scompensi a livello di reperimento del personale docente e sull'impiego di quello oggi in servizio. Mancando reciprocità con la scuola tedesca si pone l’enorme e decisivo problema della preparazione degli insegnanti che svolgono le lezioni “immersive” che porta con nonchalance al costoso ripiego - spacciato per normalità - che è l’insegnamento in compresenza (due insegnanti fanno quello che dovrebbe fare un docente CLIL appositamente preparato). Non è colpa di nessuno, è un rimedio di fortuna che è diventato strutturale perché non si trovano insegnanti con il necessario percorso formativo. Non vi sarebbe nulla di particolarmente grave se le risorse per la scuola fossero infinite e questa “normalità” non togliesse denaro, ad esempio, per assumere gli insegnanti di sostegno che devono seguire la crescente ondata di ragazzi “certificati”. Abbiamo parlato di CLIL con Franca Quartapelle, tra le massime esperte della materia a livello nazionale, la donna che ha dato un contributo decisivo per l’adozione del metodo in Italia. Quartapelle ha collaborato con la Provincia di Trento e con la Sovrintendenza di lingua tedesca della Provincia di Bolzano.
Sul sito www.studiareiltedesco.com Franca Quartapelle si presenta così. “Ho scelto di diventare insegnante di tedesco negli ultimi anni del liceo, nella scuola tedesca di Milano. Ho insegnato nella scuola superiore, facendo ricerca didattica e sviluppando al contempo libri di testo e software per l’insegnamento del tedesco. L’interesse per la didattica mi ha consentito di essere coinvolta in diverse esperienze e di condurre seminari di formazione dei docenti. La mia attività si è concentrata intorno a tematiche connesse con la formazione degli insegnanti di lingua, il CLIL (insegnamento integrato di lingua e disciplina non linguistica), la didattica per progetti, la modularizzazione dei curricoli, il curricolo plurilingue, la valutazione degli apprendimenti. Ho curato la pubblicazione di volumi su questi argomenti.
salto.bz: Prof Quartapelle, lei viveva a Milano e proveniva da una famiglia con entrambi i genitori di lingua italiana. Come è arrivata a frequentare la scuola tedesca nel capoluogo lombardo?
Franca Quartapelle: Era a 50 metri da casa mia, ed era una scuola prestigiosa. Una ragazza di famiglia borghese aveva due obiettivi: imparare le lingue e suonare il pianoforte. E così i miei genitori mi iscrissero. Molte attività che vedo fare oggi nella scuola italiana, noi le facevamo ai miei tempi. Ad esempio da noi praticamente non si facevamo lezioni frontali, ma sempre interagite. La scuola italiana da questo punto di vista è in forte ritardo”.
Come è arrivata al CLIL e alla formazione dei docenti in questo ambito?
Ho frequentato la facoltà di lingue alla Cattolica di Milano e ho sempre avuto un interesse scientifico per le lingue. Quando ho cominciato mi sono imbattuta in una collega, Carla Fridel, che cercava una germanista interessata alla didattica e così ho cominciato a lavorare nell’ambito della formazione per i colleghi: Nei primi anni Duemila, su spinta delle istituzioni europee, si è iniziato a parlare del metodo CLIL per l’apprendimento delle lingue attraverso l’insegnamento delle discipline. Io insegnavo il tedesco nelle scuole superiori. Il metodo CLIL in Italia era sconosciuto. La Commissione europea lo indicava come metodo per l’apprendimento linguistico e indicava come fondamentale per i i giovani apprendere due lingue oltre la lingua materna, anche attraverso il CLIL, e spingeva per l’apprendimento precoce”.
Come reagì il mondo pedagogico in italia?
Con l’ispettrice Gisella Langé abbiamo lavorato all’interno di un progetto europeo per la diffusione dell CLIL con partner di tutta Europa. Io ho subito detto a Gisella: prima di partire dobbiamo formare gli insegnanti. E lei, anche giustamente, mi ha risposto: così non partiamo più. Il fatto è che il CLIL si è potuto diffondere con maggiore facilità nei paesi dove gli insegnanti hanno la doppia abilitazione, in una lingua e in una disciplina. In Italia invece le abilitazioni avvengono con accoppiamenti predeterminati: italiano e storia, matematica e fisica … . Mentre in Germania gli abbinamenti sono liberi e le discipline sono accoppiabili con una lingua, ci possono essere docenti di matematica e tedesco e inglese e fisica. In questi stati è molto più facile, quindi, portare avanti il il CLIL. In Italia le lingue sono cattedre “pure”. Allora cosa è successo? Ci siamo rivolti a insegnanti di lingua disposti a sollecitare e coinvolgere insegnanti di discipline non linguistiche perché condividessero un’esperienza innovativa e facessero loro da supporto in un insegnamento disciplinare. Il risultato: lezioni con più forte matrice linguistica che disciplinare..
In che senso?
Il CLIL per sua natura dovrebbe essere appannaggio degli insegnanti di disciplina, con un’ottima preparazione linguistica. In certi casi si possono fare delle lezioni in compresenza ma io sono nettamente contraria. In ogni caso la responsabilità didattica resta all’insegnante di disciplina.
Perché è contraria alla compresenza?
Ho fatto un’esperienza di CLIL in compresenza parecchi anni fa. Ho trovato un giovane insegnante di fisica che era incuriosito dalla mia preposta. Aveva una conoscenza basica del tedesco e si è preso un anno di tempo per approfondire la conoscenza linguistica con corsi al Goethe-Institut. Alla fine dell’anno era migliorato ma non si può dire che fosse autonomo. Quando aveva difficoltà a portare a termine il discorso, lo facevo io, che conoscevo la terminologia specifica, avendo frequentato il liceo scientifico in tedesco. Abbiamo scritto insieme i testi, preparavamo gli esercizi. Secondo me ha funzionato bene e alla fine eravamo soddisfatti. Gli studenti, però, devo ammetterlo avevano delle obiezioni. Si sono divertiti molto, hanno detto, ma perché hanno visto due insegnanti lavorare in modo non perfetto, uno in tedesco e l’altro, io, in fisica. Gli studenti si sono detti convinti che se avessimo fatto lezioni separate avrebbero imparato di più sia in tedesco sia in fisica. Io invece sono convinta che tutto sia funzionato bene, ma è anche vero che non si può valutare in sole 30 ore.
Ma se ha funzionato, perché dà un giudizio negativo della compresenza?
Perché è uno spreco. Il CLIL va fatto da docenti di disciplina con una buona padronanza linguistica. Se si mettono due docenti a fare quello che dovrebbe fare uno solo si spendono un sacco di soldi che potrebbero essere impiegati in diverso modo. Non mi sembra saggio. Costa davvero troppo. Noi insegnanti siamo pagati pochissimo. Invece che pagare poco due insegnanti che fanno il lavoro che dovrebbe fare uno da solo, sarebbe più intelligente impiegarne uno e pagarlo meglio. Io mi aspetterei che ci formassero meglio e ci pagassero meglio, facendoci lavorare uno per volta.
I ragazzi di cui parlava che preparazione linguistica avevano?
Erano studenti di quarta liceo scientifico, ed erano sul livello B2. Erano ragazzi del Liceo scientifico più rinomato di Milano. C’era ad esempio una studentessa con madre tedesca che prendeva spesso insufficienze nello scritto. C’erano un paio di studenti avevano frequentato la scuola elementare nella scuola tedesca. Comunque, nelle classi di tedesco, lingua che viene scelta benché sia considerata difficile - o forse proprio per questo - la motivazione allo studio è sempre alta..
Secondo lei, ha senso proporre il CLIL nei primi anni delle elementari quando c’è una conoscenza della lingua non molto buona?
Si può partire con il CLIL se c’è un livello A1-A2. Nel resto d’Italia in genere si raggiunge in prima media. Bisogna semplicemente che vengano impostate lezioni calibrate con la capacità ricettiva degli studenti. Una lezione di ginnastica la si può tranquillamente fare anche con il livello A1.
E quindi anche alle elementari.
Sì, certo, in linea di massima sì. Il nodo è sempre quello: avere insegnanti preparati, le lezioni vanno fatte in un certo modo con una didattica improntata al lavoro su progetto in modo che l’uso della lingua non resti chiuso nella classe. Si può immaginare di far organizzare ai ragazzi la gestione della biblioteca della scuola o far loro scrivere un copione per il teatro. Ai ragazzi di quarta superiore facemmo drammatizzare in lingua il conflitto tra copernicani e tolemaici. I ragazzi devono agire nell’altra lingua, non ascoltare e ripetere. C’è un problema di inquinamento? Si può far elaborare una petizione contro l’inquinamento. Bisogna usare la lingua per uno scopo, uno scopo che deve essere condiviso e interessare gli studenti.
In Alto Adige con il CLIL si fanno soprattutto Geografia e Matematica, quasi sempre in compresenza, dal momento che gli insegnanti di disciplina preparati linguisticamente si fatica a trovarli. Le lezioni come dovrebbero essere?
“Con il CLIL, ma in realtà non solo con il CLIL, le lezioni devono essere il più possibile interagite. Non è possibile che l’insegnante si metta dietro la cattedra e spieghi come avveniva 40 anni fa. Bisogna dimenticarsi del tutto le lezioni frontali. Le lezioni vanno strutturate su progetti. Si tratta di una didattica attiva che può comportare attività extrascolastiche e comunque deve avere una ricaduta all’esterno, se non della scuola, quanto meno all’esterno della classe. In Austria ad esempio ho assistito a una lezione a bambini delle elementari, facevano biologia in inglese, una lezione moto agita, sicuramente molto riuscita dal punto di vista didattico. In Alto Adige ho fatto alcuni lavori con insegnanti di italiano in una scuola tedesca. La mia impressione è che nella scuola altoatesina si punti ancora molto alle lezioni tradizionali. Ma la scuola deve essere un lavoro di scoperta. Non deve lasciare gli studenti passivi. L’apprendimento della lingua deve basarsi su attività comunicative, non ha senso porsi come obiettivo, come avviene, che i ragazzi ad un dato punto del loro percorso conoscano un certo numero di parole. Non si impara la lingua, così.
Quindi in Alto Adige che cosa consiglierebbe di fare.
Voi innanzitutto avete una grande fortuna. Non dovreste sprecare la grande occasione di impiegare ad esempio gli insegnanti di geografia o matematica delle scuole tedesche nelle scuole italiane e viceversa. Avreste già la soluzione pronta. Una decina di anni fa in una piccola città altoatesina la dirigente di un plesso scolastico decise di fare questa esperienza e dal punto di vista didattico funzionò benissimo.
Attualmente l’interesse per l’apprendimento della seconda lingua sembra esserci solo nella scuola di lingua italiana. Il fatto che le competenze in italiano dei ragazzi di madrelingua tedesca siano in nettissimo peggioramento (si veda studio Kolipsi dell'Eurac che fu "sepolto" dalle intendenze scolastiche, ndr) sembra non interessare nessuno. Per cui un passo del genere non verrà mai fatto. La politica preferisce che centinaia di famiglie italiane iscrivano i propri figli nelle scuole tedesche salvo poi lamentarsene e proporre corsi di tedesco per i genitori.
Facendo questo tipo di operazione a partire dalle scuole superiori non c’è nessun rischio di perdita e di rinuncia alla propria cultura e alla madrelingua. I ragazzi hanno già un’identità linguistica formata. Invece un insegnamento veicolare con professori ben preparati porterebbe molti benefici a tutti e nessuna perdita neppure a livello di apprendimento disciplinare. Non si toglie nulla, ma si aggiungono competenze. L’importante è procedere con una didattica attiva e basata su progetti.
»Attualmente l’interesse per
»Attualmente l’interesse per l’apprendimento della seconda lingua sembra esserci solo nella scuola di lingua italiana. Il fatto che le competenze in italiano dei ragazzi di madrelingua tedesca siano in nettissimo peggioramento (si veda studio Kolipsi dell'Eurac che fu "sepolto" dalle intendenze scolastiche, ndr) sembra non interessare nessuno. Per cui un passo del genere non verrà mai fatto.«
Da che cosa deduce tutto questo, signor Gobbato? A me risulta che i genitori, le consulte, l'assessorato di lingua tedesca si occupino molto dell'apprendimento della seconda lingua. Anzi, la mia impressione è che ci si preoccupi molto di questo e pochino di altre tematiche (fatto salvo, ovviamente, il tema del Covid).
Secondo me la copresenza non
Secondo me la copresenza non ha nulla a che fare con il CLIL, anzi lo contraddice.
Se usiamo al posto di "CLIL" il termine metafora "Immersione Linguistica" ( i due termini sono equivalenti dal punto di vista dell'approccio didattico), tutto diventa piu' chiaro: in quale ambiente linguistico si puo' mai immergere uno studente per apprendere i contenuti (e insieme ad essi la lingua ) se l'insegnante della materia conosce poco la lingua, tanto da dover essere affiancato da un insegnante di lingua e non di materia?
Non si tratta più di bagno linguistico.
Se poi la copresenza è intesa come ripetizione in lingua nota dei contenuti esposti nella lingua di immersione, allora il disastro è completo. Qui entra in campo la traduzione da una lingua a un'altra, lo strumento principe dell'insegnamento tradizionale delle lingue come materie (non come veicolo di contenuti).
Il CLIL dunque difficilmente può continuare ad essere chiamato CLIL se di mezzo ci sta la copresenza.
Antwort auf Secondo me la copresenza non von Enrico Hell
Convengo: la disciplina per
Convengo: la disciplina per la quale è previsto l'insegnamento in una lingua deve essere insegnata da una persona per la quale questa lingua è madrelingua. Naturalmente per quel che riguarda italiano e tedesco in provincia di BZ. Il CLIL serve soprattutto nell'insegnamento della disciplina prevista con insegnamento in lingua straniera in A.A. , di solito l'inglese. L'insegnante d'inglese deve essere anche insegnante di disciplina, avere insomma conseguito l'adeguata abilitazione.